Il Sahel non è certo un luogo dove andare a farsi una vacanza: è una fascia sterminata a sud del Sahara che va dall’Atlantico al Mar Rosso. Gli Stati in cui è diviso (e sono tanti) hanno (quasi) tutti in comune siccità cronica e condizioni ambientali spesso estreme; povertà, anzi, miseria diffusa. Governi che si distinguono per corruzione, nepotismo e inefficienza; e per non farsi mancare proprio nulla, sono dilaniati da endemici conflitti fra etnie.
Sarebbe, anzi, è uno scenario desolante, a cui si aggiunge però un ulteriore potentissimo fattore, difficilmente citato nelle analisi dei politici e degli economisti perché politicamente scorretto: la criminalità organizzata. In un ambiente del genere, dove si può comprare praticamente tutto e i vari boss stranieri vengono visti dalle autorità come business man disponibili ad effettuare investimenti, le organizzazioni criminali internazionali hanno trovato un habitat ideale. Traffici di droga, armi, uomini, tutto va bene e si trasforma in soldi, e tanti.
Ne sa qualcosa la Dea, secondo la quale nel 2012 almeno il 40% della cocaina destinata al ricchissimo mercato europeo è transitata per la cosiddetta “Autostrada 10”, che dai porti di sbarco in Africa Occidentale, prosegue lungo il 10° parallelo prima di piegare verso il nord e le coste del Mediterraneo, rese infinitamente più porose dopo i rivolgimenti delle “primavere”. Una via più lunga di quelle tradizionali, certo, ma assai meno controllata e a rischio sequestri da parte delle forze di sicurezza. Per capirci, sempre secondo la Dea, alla stessa data erano almeno dieci i cartelli della droga operativi e stabilmente insediati in Africa, e taluni stati (vedi Benin, Guinea Bissau, Guinea Conakry) sono sulla via di divenire degli autentici narco Stati.
E per quanto riguarda le armi, se prima del crollo del regime di Gheddafi stime internazionali attestavano in 80/100 milioni (milioni!) le armi di piccolo calibro (principalmente di provenienza cinese o est europea) in circolazione nell’area, dopo il collasso la Libia e tutta la regione sono divenute un colossale super market delle armi provenienti dagli arsenali sistematicamente saccheggiati.
Sahel e traffici di esseri umani
I traffici di esseri umani (destinati all’immigrazione clandestina, prostituzione, traffico di organi), di medicinali contraffatti, pietre preziose e tant’altro ancora?
Per svolgere tranquillamente la propria attività, questi cartelli criminali hanno stretto accordi, collaborazioni, legami con tutte le organizzazioni terroristiche (e sono davvero tante) dell’area, che hanno preso in appalto diverse fasi dei traffici, ufficialmente per autofinanziarsi, nella realtà sviluppando in scala immensamente più ampia l’antica tradizione del brigantaggio. Così le varie fazioni di Aqmi (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, Ansar Al-Dine, Boko Haram, i Saharawi della Rsad, i Touareg di Mlna e tanti, tanti altri, accanto alla tradizionale attività terroristica (passandola molte volte in secondo piano o rendendola del tutto strumentale), hanno intessuto un inestricabile viluppo di alleanze, cambiamenti di fronte, fratture e accordi, faide e contrapposizioni, di conserva con le organizzazioni internazionali del crimine.
Inutile dire che, se già di per sé l’area è votata alla miseria, all’instabilità e ad una insicurezza generalizzata, sotto simili spinte può solo generare sempre più frequenti e pericolosi focolai di tensione; per citare solo gli ultimi è il caso del Mali (gennaio-febbraio 2013), poi della Repubblica Centro Africana (dicembre 2013) e subito dopo del Sud Sudan.
E l’Occidente?
Beh… come dappertutto ci sono gli Usa che fin dal 2008 hanno costituito e continuato a potenziare Africom, uno dei sei Comandi permanenti del Departement of Defence, e il SOCAFRICA (il Comando per le Operazioni Speciali in Africa), installando ed ampliando basi ufficiose (in svariati paesi, specie dell’ECOWAS – Economic Community of West African States) e ufficiali (a Gibuti), certo, ma l’unica loro reale occupazione continua ad essere la caccia al “jihadista” condotta da droni, forze speciali e paramilitari della Cia con il consueto tatto. Per il resto che importa? Le coste americane, quelle si, sono lontane dal Sahel.
Rimane la Francia a fare il gendarme del Sahel: missione Epervier in Ciad, Liocorne in Costa d’Avorio, Serval in Mali, Boalì prima ed ora Sangaris in Centro Africa. Ma il problema non è stabilizzare una situazione compromessa da bande di predoni che solo eserciti tali semplicemente di nome non riescono a controllare (per inciso, in tutta la regione, a parte la Nigeria, solo il Ciad dispone di Forze Armate che abbiano una qualche valenza, e non a caso i Francesi han perso parecchio tempo e soldi per riuscirci); paras e legionari riusciranno tranquillamente a cristallizzare la situazione, ma solo in attesa di tamponare la crisi successiva. E farlo costa.
Ma l’Inferno non aspetta e ancor meno tiene in conto i compiti di Bruxelles: in assenza di un credibile e robusto piano politico ed economico di complessiva stabilizzazione dell’area, i simulacri di stato già oggi in progressiva dissoluzione collasseranno e non ci sarà una missione Serval o Sangaris che potrà più tamponare in alcun modo la situazione. Allora ci sarà solo un’immensa area di Stati falliti, via di mezzo fra una colossale “Tortuga” e un folle emirato terroristico.
Stati cuscinetto
E gli Stati cuscinetto che separavano il Sahel dalle sponde del Mediterraneo, indeboliti dalle conseguenze delle varie “primavere”, non potranno certo fare molto. Anzi, uno di essi è già sulla brillante via di divenire esso stesso uno Stato fallito, con la Cirenaica preda di conati jihadisti e la Tripolitania in continue convulsioni nella lotta fra milizie (a proposito: ci piacerebbe sapere cosa pensano dell’attuale situazione le anime belle e i blogger entusiasti che inneggiavano alle rivoluzioni nella granitica certezza che bastasse buttar giù i dittatori per instaurare la vera democrazia e una nuova età dell’oro…).
Perciò attenti al vento del deserto; quando arriverà sulle coste del Mediterraneo – e continuando così arriverà presto – ci porterà tutto l’Inferno che sta montando dietro quelle sabbie. E tanti auguri a chi pensa che poche miglia di mare – pattugliate come si voglia – possano bastare a tenerlo lontano da casa sua.
di Salvo Ardizzone