Sabra e Chatila, un genocidio senza giustizia

Sono trascorsi trentasei anni da quel maledetto settembre del 1982, quando vennero massacrati migliaia di palestinesi dei campi profughi di Sabra e Chatila a Beirut. Il tutto ha avuto inizio il 14 settembre del 1982, Bachir Gemayel, presidente del Libano, muore in seguito a un attentato.
I generali Eytan e Sharon, alti responsabili militari israeliani, decidono di far entrare l’esercito israeliano a Beirut ovest e di inviare i falangisti nei campi dei rifugiati palestinesi. Il giorno seguente, i carri armati israeliani accerchiano i campi di Sabra e Chatila e pattugliano il perimetro di casa in casa.
Combattimenti scoppiano nel settore nord in cui militanti di sinistra e guerriglieri palestinesi resistono agli israeliani. Il 16 settembre i campi sono bloccati e i civili che sono riusciti a evitare la sorveglianza rientrano nelle loro case. Nel corso della giornata, le forze cristiane, formate da militanti di Haddad, venuti dal sud e dai falangisti venuti da Beirut est, passano le linee israeliane e si raggruppano a sud dell’aeroporto.
A partire dall’aeroporto, luogo di concentramento, si dirigono verso nord per stabilire il loro comando presso un posto di osservazione israeliano che domina i campi. Razzi illuminanti israeliani rischiarano il luogo, seicento miliziani cristiani invadono i campi. Colpi di cannone ed esplosioni si sentono per tutta la notte, i miliziani iniziano la mattanza, entrano ed escono dai campi, gli israeliani fanno da ispettori, discutono con i cristiani ma senza interferire.
Mentre si continuano a massacrare civili inermi, in maggioranza donne e bambini, i bulldozer scavano fosse comuni ed evacuano i cadaveri dai campi. Lo stesso giorno i miliziani cristiani invadono l’ospedale Akka uccidendo medici e infermieri. Il 18 settembre i miliziani sotto la minaccia delle armi, sgombrano il personale medico, i pazienti e i rifugiati dell’ospedale Gaza.
Quanti saranno realmente i morti tra i palestinesi? Gli abitanti dei campi sono certi, i morti sono almeno cinquemila, settemila contando i dispersi. Basta trovarsi oggi tra gli stretti e fatiscenti vicoli di Sabra e Chatila per riuscire a cogliere e percepire quel senso di ingiustizia, di rabbia, di dolore e di vendetta che nemmeno il tempo è riuscito a cancellare. Tra gli abitanti di quei campi sono ormai pochi i superstiti di quell’eccidio; convivono con il peso di quella immane tragedia e con la consapevolezza che alcuni dei mandanti di quella orribile strage siedono ancora impuniti tra i banchi del Parlamento libanese.
di Giovanni Sorbello