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Myanmar intensifica repressione mentre i monaci si uniscono alle proteste

La polizia ha sparato lunedì scorso con un cannone ad acqua contro i manifestanti nella capitale del Myanmar, mentre decine di migliaia di persone si sono unite alle manifestazioni contro la rimozione da parte dei militari del leader eletto Aung San Suu Kyi

Gli appelli a partecipare alle proteste e a sostenere una campagna di disobbedienza civile sono diventati più forti e più organizzati dal colpo di stato della scorsa settimana, che ha suscitato una diffusa condanna internazionale. 

“Noi operatori sanitari stiamo conducendo questa campagna per sollecitare tutto il personale governativo a unirsi al movimento di disobbedienza civile. Il nostro messaggio al popolo è che miriamo ad abolire completamente questo regime militare e dobbiamo lottare per il nostro destino”, ha dichiarato Aye Misan, un’infermiera di un ospedale governativo durante una protesta nella grande città di Yangon.

La polizia della capitale del Myanmar, Naypyidaw, ha sparato raffiche di cannoni ad acqua contro un gruppo di manifestanti che si erano radunati lunedì scorso. 

Myanmar e repressione minoranze etniche

Migliaia di persone hanno marciato anche nella città costiera sudorientale di Dawei e nella capitale dello stato di Kachin nell’estremo nord. Le massicce folle riflettono il rifiuto del regime militare da parte di diversi gruppi etnici, anche coloro che hanno criticato Suu Kyi e hanno accusato il suo governo di trascurare le minoranze. 

A Yangon, un gruppo di monaci ha marciato in prima linea nelle proteste con lavoratori e studenti. Hanno sventolato bandiere buddiste multicolori accanto a striscioni rossi della Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Suu Kyi, che ha vinto le elezioni a novembre. Le proteste del fine settimana sono state le più grandi dalla “Rivoluzione dello zafferano” guidata dai monaci buddisti nel 2007. 

Finora le manifestazioni sono state tranquille, a differenza dei giri di vite sanguinosi durante le precedenti proteste nel 1988 e nel 2007.

di Yahya Sorbello

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