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Terrorismo: il ruolo determinante delle milizie sciite

Da settembre l’attenzione dei media è focalizzata sull’intervento russo in Siria; ai raid aerei della Vvs (questi si efficaci, altro che quelli della coalizione Usa) ed ai rifornimenti di armi moderne vengono attribuite le continue sconfitte che le bande dei “ribelli” e dei Daesh stanno conoscendo da mesi. Ma se l’intervento russo è stato ed è determinante, lo è altrettanto il ruolo svolto dalle milizie sciite sul campo.

Dopo quasi cinque anni di guerra contro mercenari che ricevono continui rinforzi e aiuti d’ogni genere da un’infinità di Paesi, l’Esercito siriano, sia pur temprato dalle battaglie e consapevole di battersi per la sopravvivenza della Siria, difficilmente sarebbe stato in grado di alimentare da tre mesi offensive su più fronti.

Hezbollah è intervenuto in Siria già da anni, ma in passato la sua azione era circoscritta alle regioni confinanti con il Libano, all’area del Golan e a quella che da Damasco giunge alla Beka’a, tutte zone d’importanza strategica per il controllo del territorio libanese e per il contenimento di Israele. Solo negli ultimi mesi i combattenti di Hezbollah sono stati impiegati nel nord del Paese e altrove, considerata la loro qualità, per risolvere le situazioni più “spinose”.

Ma proprio per le caratteristiche “speciali” dei regolari del Partito di Dio, e per il loro numero tutto sommato relativamente contenuto, non avrebbe avuto senso utilizzarli come massa di manovra contro la miriade di bande che infestano la Siria. E d’altronde, non sarebbe stato possibile distogliere troppi uomini dai loro obiettivi strategici: il contenimento ed il confronto con Israele.

Per questo, in seguito a un accordo di Damasco con Teheran, a sostenere le brigate dell’Esercito siriano sono intervenute le milizie sciite irachene. Sotto l’inquadramento e il coordinamento dei Pasdaran, e più in specifico della Forza Quds comandata dal Generale Suleimani (onnipresente nei luoghi di crisi), sempre più numerose formazioni sciite si sono attivate in Siria combattendo contro i terroristi fin dal 2013.

Inizialmente il loro ruolo è stato quello di difendere i luoghi sacri agli sciiti, come il santuario di Sayyeda Zainab, a Damasco, e le popolazioni correligionarie dai massacri e dalle distruzioni dei “ribelli”. Successivamente, coerentemente alle crescenti esigenze della guerra, l’impiego delle milizie sciite s’è allargato ai fronti più caldi: al nord, nella zona di Aleppo, Idlib e Latakia, ed al centro, nella zona di Hama. Ma se fino a quest’estate il loro numero era significativo ma non determinante, dopo la creazione di un coordinamento strategico fra Siria ed Iraq sotto il patrocinio di Russia ed Iran, l’afflusso di volontari s’è accresciuto di pari passo con il loro ruolo.

In Iraq le milizie sciite hanno una storia che risale all’occupazione Usa e, ancora più indietro, alle formazioni che si ribellarono più volte contro il regime di Saddam Hussein. Le loro debolezze sono state le divisioni settarie e leadership spesso discutibili: solo di recente, sotto la spinta decisa del leader spirituale Al-Sistani, e l’impatto dell’aggressione Daesh, hanno trovato l’unità contro i nemici dell’Iraq, salvandolo dalla spallata terrorista dell’anno scorso e determinando l’offensiva che è in corso per liberare l’Anbar e le altre aree ancora occupate.

È inutile citarle tutte, sono tante e nella gran parte create da fuoriusciti da quella che storicamente era la più grande, l’Esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr, che combatté a lungo contro gli invasori americani e i loro alleati (italiani compresi). Adesso, equipaggiate dall’Iran e addestrate ed inquadrate dai Pasdaran, fanno la spola fra Iraq e Siria a seconda della necessità. È questa la massa di manovra che appoggia l’Esercito siriano e che gli sta permettendo di liberare sempre nuove aree dai terroristi.

Quella di Siria è una guerra logorante, spezzettata in una miriade di scontri: ogni altura, ogni villaggio va riconquistato, ripulendolo dalla banda che vi ha trovato alloggio taglieggiando la popolazione e depredando il territorio.

I Russi colpiscono dal cielo, e colpiscono duro distruggendo basi, depositi, posti di comando, concentramenti di materiali e uomini ed anche fornendo appoggio contro i nidi di resistenza. E lo stesso fanno con le artiglierie, i semoventi e i mezzi moderni che stanno dispiegando sempre più numerosi. Ma a terra, fra le colline aspre e le cittadine diroccate dai combattimenti, sono quelle milizie ad avanzare casa per casa, gruppo di alberi dopo gruppo di alberi, snidando i terroristi asserragliati.

Un lavoro duro e sanguinoso che la sudditanza di un Occidente complice e colluso vede con sospetto e spesso con rabbia. Ma è a quella gente che si deve se le bandiere del “califfo” e dei “ribelli” e i loro sponsor del Terrore (la lista è lunga: dalle petromonarchie del Golfo al “sultano” di Turchia, da Washington ad Israele, includendo molti ipocriti Paesi europei compresi quelli tardivamente ravvedutisi come la Francia) prima non hanno vinto ed ora sono sull’orlo della disfatta.

di Salvo Ardizzone

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