A Roma si consuma il fallimento del populismo
Francamente, gli eventi che stanno determinando il fallimento del populismo a Roma non ci appassionano neanche un po’, ma per la loro portata, e perché in essi affiorano tutti i limiti e le storture di un movimento a cui in troppi hanno affidato ciecamente le proprie speranze, vogliamo fare alcune considerazioni.
Virginia Raggi è giunta in Campidoglio sull’onda del disgusto, del rigetto di una classe politica inetta quanto corrotta, dello sfascio dell’amministrazione della Cosa Pubblica trattata unicamente come occasione d’arricchimento, d’accordo, ma non come conseguenza d’un credibile progetto politico, che il populismo a 5 Stelle non ha saputo articolare perché semplicemente non lo possiede. Né può averlo.
I sei mesi passati dal suo insediamento sono stati un clamoroso fallimento, ormai sotto gli occhi di tutti, per almeno tre ragioni: la prima è che il mantra “onestà”, ammesso e per nulla concesso visto ciò che sta emergendo che sia autentico e non semplicemente strumentale per cavalcare la rabbia della gente, può e deve essere l’ovvio approccio all’azione di governo, certamente non può sostituirsi ad essa. In ogni caso non può sostituirsi ad un credibile ed efficace progetto per l’amministrazione della città di Roma che nei fatti non si è visto.
E meno che mai può farlo, e veniamo alla seconda ragione, quando al populismo manca totalmente una classe politica, perché, piaccia o no, il “dilettantismo” non può essere considerato un valore aggiunto quando si è chiamati a dirigere fenomeni complessi.
Il risultato è stato quello di catapultare in Campidoglio personaggi estemporanei, privi di qualsiasi preparazione, che per governare in qualche modo una macchina amministrativa già complessa di sé, si sono affidati a soggetti quanto meno discutibili solo perché conosciuti. Persone che, in quel deserto di competenze, hanno assunto un potere immenso, che hanno esercitato impunemente con la totale copertura “politica” di vertici inadeguati che, senza di essi, a stento sarebbero stati capaci di trovare il proprio ufficio.
Soggetti, investiti con la massima superficialità di un ruolo strabordante, in nome di una visione del potere manichea (quando non interessata) che fa dei propri “amici” il “Bene” e rigetta chiunque altro come il “Male”.
D’accordo, imparare si può, ma lo si dovrebbe far prima di proporsi per dirigere la Cosa Pubblica, senza avere l’ottusa ed irresponsabile arroganza di poter governare a prescindere. Lo si dovrebbe quanto meno alle tante persone che hanno affidato incautamente la propria rabbia ad un populismo velleitario quanto inconcludente.
Ma c’è una terza ragione, assai più pesante delle altre, che decreta il fallimento del populismo a 5 Stelle (come degli altri) e lo rende incapace di colpire le vere storture di un sistema profondamente ingiusto e le radici dei suoi mali. In esso, a parte proclami dissonanti, non v’è traccia d’un sistema di valori organico, d’una visione della società compiuta, d’un progetto complessivo che orienti le scelte e sostenga l’azione politica, traducendola in coerenti azioni di governo. Né può averla.
Dietro una facciata nei fatti bugiarda di “diversità”, c’é il vuoto; il populismo a 5 Stelle è un movimento leaderistico che ha usato e usa il disagio della gente per costruire il piedistallo di potere di pochi. Pochissimi.
Un tempo simili movimenti (ce ne sono stati anche troppi nella Storia) affidavano la legittimazione dei propri leader al “Popolo”, che sapevano manovrare con gli strumenti della psicologia di massa. Questa nuova forma di populismo, per essere ancora più controllabile, s’affida a un’entità indistinta (e manipolabile) come il web, a cui sono demandate, ma solo alla bisogna, le decisioni, col risultato che qualche migliaio di “click”, non si sa come posti, dovrebbero decidere le politiche per un intero Paese.
A Roma, alla prova dei fatti, il populismo ha mostrato tutti i suoi limiti: leader incompetenti e inetti abbarbicati al potere; divisioni e feroci lotte fra fazioni; favoritismi e peggio, opacità e la diffusa tendenza a mettere le volpi nel pollaio purché fossero “amiche”; assenza di qualsiasi progetto concreto.
Ci dispiace per i tanti elettori che hanno dato l’ennesima apertura di credito in bianco a chi non lo meritava affatto; sappiamo (e comprendiamo) che alcuni di loro, delusi, si rifugeranno nel rigetto completo di ogni forma di politica, seguendo il motto: “Sono tutti uguali”. Sappiamo pure che altri vorranno chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza, continuando a seguire il populismo a 5 Stelle per esprimere una rabbia sempre più forte e frustrata.
A tutti vorremmo ricordare (e non siamo noi, ma la Storia a dirlo) che la protesta è inutile senza una consapevolezza che la guidi; senza la comprensione e la coscienza della radice dei mali che incatenano la società; senza un progetto complessivo che li affronti.
In assenza di ciò, e nel populismo a 5 Stelle non ve n’é traccia, la protesta non solo non scalfisce il potere, né tanto meno i meccanismi d’assoggetamento e d’ingiustizia, ma li rafforza, perché funge da utile valvola di sfogo indirizzando l’azione su obiettivi del tutto secondari, totalmente innocui per il sistema. Che ringrazia.
di Salvo Ardizzone