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Cile: Bachelet tra dittatura e diritti umani

Aveva ben ragione chi non era entusiasta della nomina di Michelle Bachelet all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Due volte presidente del Cile, tra il 2006-2010 e il 2014-2018, Bachelet si è unita alla lista dei presidenti che, dopo la transizione alla democrazia, hanno sostenuto l’eredità della dittatura di Augusto Pinochet nella sua politica neo liberista.

Quando la politica è spogliata della memoria

Michelle Bachelet conosce bene le tattiche della dittatura. Suo padre, il generale Alberto Bachelet, morì di tortura per mano della direzione dell’intelligence nazionale (Dina) nel 1974. Michelle Bachelet e sua madre furono arrestate e torturate a Villa Grimaldi. In una dichiarazione del 2013, aveva rivelato che il suo torturatore non era altro che il capo della Dina, Manuel Contreras. Ma, quando la politica è spogliata della memoria, il ciclo di violazioni dei diritti umani è garantito.

Appena una settimana dopo le proteste scoppiate in Cile, con i cileni che affrontano la violenza militare per essere scesi in piazza e chiedere la fine della costituzione della dittatura, nonché le dimissioni del presidente Sebastian Piñera, Bachelet ha rilasciato una dichiarazione debole nella sua qualità di capo dell’Unhchr. “C’è bisogno di un dialogo aperto e sincero da parte di tutti gli attori coinvolti per aiutare a risolvere questa situazione, incluso un esame approfondito della vasta gamma di questioni socio-economiche alla base dell’attuale crisi”, ha affermato la Bachelet.

Dichiarazione a dir poco fuorviante su più livelli. Come può avvenire un dialogo aperto e sincero con un governo che approva le tattiche della dittatura in una democrazia? Come può la Bachelet definire la situazione in Cile come “l’attuale crisi”? La crisi in corso è una crisi che la transizione democratica ha rifiutato di affrontare. Come altri governi, la Bachelet ha avuto un ruolo nel preservare il progetto neoliberista scatenato in Cile dal colpo militare appoggiato dagli Stati Uniti.

Cile tra neoliberismo e violenza

Nel suo saggio sul neoliberismo in Cile, il defunto economista e diplomatico cileno Orlando Letelier che fu ucciso da un’autobomba nel 1976 come ordinato direttamente da Pinochet, così spigava le dinamiche tra neoliberismo e violenza: “Il piano economico è stato applicato, e nel contesto cileno poteva essere fatto solo con l’uccisione di migliaia di persone, l’istituzione di campi di concentramento in tutto il Paese, il carcere per oltre 100mila persone in tre anni, la chiusura di sindacati e organizzazioni e il divieto di tutte le attività politiche e tutte le forme di libera espressione”.

Letelier stava analizzando la logica violenta della dittatura di Pinochet per attuare politiche che reprimessero la classe lavoratrice per salvaguardare la minoranza d’élite in Cile. I governi successivi hanno mantenuto questa formula. 

Le leggi antiterrorismo

La memoria storica si fa sentire all’interno dei parametri stabiliti che hanno dato la priorità all’impunità per i governi e i militari. Così in termini di controllo della resistenza, le leggi antiterrorismo emanate da Pinochet rimangono uno dei mezzi preferiti per schiacciare il dissenso in Cile. La stessa Bachelet ha applicato le leggi antiterrorismo alla popolazione Mapuche nel tentativo di reprimerne la lotta per la bonifica delle terre e contro lo sfruttamento delle terre da parte del governo e delle multinazionali. Piñera ha promesso di riformare le leggi antiterrorismo per facilitare il processo Mapuche.

Durante la prima presidenza di Piñera, c’è stato un tentativo di alterare i libri di storia per eliminare i riferimenti alla dittatura, una mossa a cui si è opposta l’opposizione di sinistra. Tuttavia, quando Bachelet vinse le elezioni presidenziali per la seconda volta, la sua inazione sulla promessa di chiudere la lussuosa prigione di Punta Peuco che ospita agenti della Dina “incarcerati” per i loro crimini durante la dittatura, contribuì direttamente a ostacolare la memoria e la giustizia cilene.

Se questa attività criminale dei carabineros in Cile si fosse svolta in Siria, Cuba, Repubblica Democratica Popolare di Corea, Repubblica Bolivariana del Venezuela, Iran, Russia, Cina o in qualsiasi Paese non subordinato agli Stati Uniti e alla  “grande famiglia democratica europea”, queste immagini avrebbero fatto il giro del mondo. I media bombarderebbero l’opinione pubblica internazionale con “violazioni dei diritti umani”.

Per quanto riguarda i numeri dell’attuale repressione in Cile, fino a ieri erano 15 i morti, 1.659 i feriti, 4.364 i prigionieri, rimane sconosciuto il numero dei dispersi.

di Cristina Amoroso

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