Roma. Incontro “Amici della Siria”: il trionfo dell’ipocrisia
Una primavera che si sta trasformando sempre più in un inferno; possiamo sintetizzare così quanto sta accadendo all’interno del mondo arabo e soprattutto in quel paese che sta pagando lo scotto di vittime e di distruzione più alto rispetto a tutti i suoi vicini, ossia la Siria.
Partita dalla Tunisia e dall’Egitto per mandare via i regimi, rispettivamente, di Ben Alì e di Mubarak, la primavera dei popoli dell’altra sponda del Mediterraneo è stata poi prontamente cavalcata dalle potenze occidentali nel tentativo di non perdere il filo diretto con una delle zone più strategiche del mondo.
E così, nel marzo del 2011 è partito l’attacco al regime di Gheddafi, successivamente, constatando come era impossibile attaccare direttamente un altro regime scomodo della zona, ossia quello di Bashar al-Assad in Siria, allora dalle cancellerie occidentali è stato dato fiato al soffio che sta alimentando ed armando la cosiddetta “rivoluzione” siriana.
Cambia la forma, ma non la sostanza: il primo passo per distruggere l’equilibrio di una nazione, consiste nel delegittimare agli occhi internazionali il proprio governo. E’ stato così per Gheddafi, attualmente è così per il presidente siriano.
E’ di questi giorni la riunione a Roma del cosiddetto “gruppo di amici della Siria”, l’equivalente del “gruppo di contatto” che ha dato il via libera nel marzo 2011 ai bombardamenti su Tripoli e Bengasi; il gruppo, formato da 88 paesi, più l’Unione Europea, l’Unione Africana e la Lega Araba, dopo essersi riunita più volte l’anno scorso a Tunisi e Parigi, nelle scorse ore ha fatto tappa a Roma, incontrando anche Ahmed Muaz al Khatib, leader della cosiddetta “coalizione nazionale siriana”.
In questa riunione, di fatto si è sancito ciò che da circa 18 mesi viene ripetutamente detto, ossia che Assad è oramai finito, che deve lasciare e deve subire un processo per crimini contro l’umanità; il nostro Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha dichiarato: “Il regime siriano sta compiendo veri e propri crimini contro l’umanità che non possono rimanere impuniti”.
A fargli eco, anche il neo Segretario di Stato USA, John Kerry, anche lui presente a villa Madama: “Bashar al Assad è un leader disperato che ha sferrato attacchi feroci su Aleppo e usato missili Scud, falciando vite innocenti – sono le sue parole, prima di arrivare al nocciolo della questione – forniremo 60 milioni di dollari all’opposizione antiregime per operazioni giorno per giorno per raggiungere l’obiettivo di una transizione pacifica”.
Sono quindi le stesse parole usate contro il regime libico nel 2011, rivelatesi poi spesso infondate; queste frasi, anche oggi sembrano non palesare quella che è invece la realtà della situazione siriana e l’unico scopo pare essere quello di cacciare un regime troppo vicino all’Iran e troppo distante da Israele, anche a costo di alimentare una guerra civile che assume sempre più i connotati di una tragedia umanitaria difficilmente gestibile.
Da Damasco infatti, le notizie che filtrano direttamente dai campi di battaglia, parlano di un’altra situazione. La dottoressa siriana Nadia Khost (autrice di molte opere sul patrimonio culturale della civiltà araba) scrive che adesso che il regime siriano ha ripreso il sopravvento e sta dando gli ultimi colpi alla «resistenza», gli arrestati cominciano a confessare sinceramente e ne esce un quadro alquanto diverso dalle cronache della stampa occidentale. «Hanno assassinato uomini d’affari e professori d’università. – si legge – Ora sappiamo che ciascuno di noi può morire in caso di attacco delle bande armate»
Dunque, un quadro completamente rovesciato; altri testimoni parlano di un esercito di Assad spesso chiamato a rispondere a delle provocazione e costretto ad intervenire a difesa della popolazione civile. Inoltre, la guerra non è né in una fase di stallo, ma neanche in una fase in cui i cosiddetti “liberatori” stiano vincendo; anzi, sembra proprio che l’esercito di Assad stia lentamente riprendendo il controllo del paese.
La domanda allora, è una: come mai tante false notizie trapelate nei media occidentali? Una risposta la possono fornire, implicitamente, tre giornalisti di Al–Jazeera corrispondenti dal Libano, i quali hanno preferito non lavorare più per l’emittente del Qatar, in segno di protesta per la falsità delle notizie riportate dalla loro televisione nel raccontare il conflitto.
Ma vi è anche un’altra domanda che getta un’ombra di inquietudine: chi sono realmente coloro che stanno attaccando il regime siriano?
In Siria infatti, il regime di Assad era molto solido, non aveva particolari nemici interni, se non quelli provenienti da altre tribù, diverse rispetto quelle a cui appartiene la famiglia Assad, radicate soprattutto nella città di Homs; l’unica miccia era la questione religiosa, visto che non solo la presidenza, ma anche i ruoli politici più importanti sono in mano agli alawiti, un ramo della religione musulmana sciita, mentre i sunniti, netta maggioranza in Siria, spesso sono stati ai margini.
Sembra quindi molto chiaro come molti fattori esterni agli affari siriani, abbiano soffiato sul delicato nodo religioso, per far esplodere una guerra che di giorno in giorno produce tante vittime innocenti e sta distruggendo una già di per sé affannata economia.
Che i rivoltosi appartengano ad una galassia indefinita di estremisti salafiti, sembrerebbe confermato anche dal traffico di soldi e di finanziamenti che da alcune sette sunnite wahabite dell’Arabia Saudita filtrano verso la Siria; il paradosso è che, l’occidente rischia di armare e sostenere diversi movimenti estremisti, i quali destabilizzerebbero ulteriormente la regione.
Eppure evidentemente, le cancellerie europee ed i politici israeliani, sono disposti a pagare questo caro prezzo pur di mandare via un regime, come detto all’inizio, molto affine al governo di Teheran e poco propenso ad ogni apertura di dialogo con lo stato ebraico, nonostante i tentativi mediati dalla Turchia nel 2009.
I media occidentali però, questa volta, è giusto che inizino a raccontare la verità, inizino quindi a non prestare il fianco agli interessi di singoli governi, i quali stanno permettendo, in nome di una fantomatica democrazia irrealizzabile da uomini che si ritengono decisamente filo–islamici, un massacro giornaliero. L’errore fatto dalla società civile occidentale in occasione della guerra in Libia, non deve essere ripetuto; la primavera araba, non può trasformarsi in un’occasione servita in un piatto d’argento per sbarazzarsi di legittimi regimi la cui colpa è quella di essere poco accomodanti agli interessi, in primo luogo, israeliani ed occidentali.