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Rohingya, l’ipocrisia di Papa Francesco

Continua la visita di Papa Francesco nel sud-est asiatico. Nella giornata di ieri è arrivato in Bangladesh dal Myanmar dopo una visita di tre giorni nel Paese birmano, e resterà in Bangladesh per altri tre giorni per poi concludere il suo tour di sei giorni.

Papa Francesco, nonostante le aspettative di un sostegno coraggioso e diretto ai rifugiati Rohingya, è stato molto reticente durante la sua visita e si è astenuto dal condannare pubblicamente il Myanmar per la campagna di pulizia etnica contro i musulmani del Paese. Il Papa ha fatto riferimento al gruppo di minoranze perseguitato solo come “rifugiati dallo stato di Rakhine” nel tentativo di non turbare le autorità del Myanmar.

Il dilemma è che se avesse usato il nome Rohingya, probabilmente avrebbe fatto infuriare la nazione a maggioranza buddista del Myanmar che a sua volta avrebbe potuto prendere di mira i cattolici nel Paese.

A differenza di Papa Francesco, Il presidente del Bangladesh, Abdul Hamid, ha condannato fermamente il Myanmar per aver commesso “atrocità spietate” contro i musulmani Rohingya. Hamid ha dichiarato che migliaia di uomini, donne e bambini Rohingya sono stati brutalmente uccisi, le loro case bruciate e migliaia di donne violentate dai militari.

Il Papa, giunto lunedì in Myanmar, ha ricevuto la visita non programmata del generale Min Aung Hlaing, capo dell’Esercito, che ha negato che nel Paese ci sia qualsiasi discriminazione religiosa, disconoscendo i palesi casi documentati di bestiale violenza perpetrata contro la minoranza Rohingya, definiti dall’Onu come una pulizia etnica da manuale.

Nel corso della campagna di violenze orchestrata dalle autorità, con il fattivo supporto degli estremisti buddisti, oltre 600mila musulmani sono stati costretti a fuggire nel vicino Bangladesh.

di Redazione

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