I risvolti dell’espansione della Turchia in Siria
L’intervento dell’esercito della Turchia in Siria, con lo sconfinamento nella regione settentrionale di Afrin iniziato lo scorso 20 gennaio, ha segnato l’inizio di un nuovo periodo nella politica estera turca. I rapporti sul campo indicano come l’esercito turco e i suoi alleati, composti prevalentemente da militanti del sedicente Stato islamico e del Fronte Al-Nusra, siano riusciti a conquistare l’enclave di Afrin dopo due mesi di battaglia, definita asimmetrica dall’agenzia stampa sciita “AhluBayt” (Abna).
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha recentemente annunciato che è giunto il momento per la seconda fase dell’Operazione Olive Branch, il cui obiettivo è quello di conquistare altre città a maggioranza curda come Manbij, Tell Abyad, Hasakah e Kobane. La domanda ora è: il leader della Turchia riuscirà a realizzare gli obiettivi militari in Siria in seguito agli attacchi missilistici degli ultimi giorni condotti da Usa, Francia e Gran Bretagna?
Il ruolo della Turchia nella repressione dei curdi siriani
Il confine tra Turchia e Siria conta di ben 930 chilometri e, prima della cattura di Afrin, almeno 800 chilometri di frontiera erano controllati dai curdi siriani. Questa è una delle motivazioni che ha spinto Erdogan a definire l’operazione Olive Brach come propedeutica per garantire la sicurezza nazionale. La Turchia sta affrontando inoltre il problema dei numerosi rifugiati siriani: i campi profughi turchi ospitano infatti circa tre milioni di sfollati siriani. La sistemazione dei rifugiati nelle aree catturate rappresenta per Ankara un duplice vantaggio: da un lato, può eliminare gli enormi costi legati al mantenimento dei campi sul suo territorio e, dall’altro, può cambiare il rapporto demografico del nord della Siria a proprio vantaggio in quanto i curdi perderanno la maggioranza e, con essa, la capacità di perseguire incisivamente l’indipendenza.
I piani di Erdogan e della Turchia potrebbero trovare però degli ostacoli. In primo luogo il presidente turco ha bisogno del sostegno degli Stati Uniti per portare avanti con successo i suoi piani. Inoltre, le politiche espansive di Erdogan dell’Asia occidentale potrebbero essere ridimensionate dall’intervento di Russia e l’Iran, fedeli alleati della Siria. Ipotesi che potrebbe mettere in pericolo la cooperazione del trio sull’iniziativa di Pace di Astana, ormai sempre più sbiadita e lontana in vista dei recenti venti di guerra che soffiano sul territorio siriano.
di Irene Masala