Riparte la corsa agli armamenti: il boom della spesa mondiale
Si era fermata nel 2009, bloccata dai morsi della crisi, ma ora riparte alla grande: secondo il rapporto che Jane’s Information Group (il più autorevole del settore), la spesa mondiale in armamenti è salita nel 2014 a 1547 mld di $, di nuovo in crescita dopo la contrazione degli anni scorsi.
Ma è assai diverso dai lontani anni della Guerra Fredda, quando le Superpotenze si svenavano per costosissimi arsenali nucleari sempre più potenti, capaci di distruggere il mondo intero infinite volte; ora sono le armi “convenzionali” a farla da padrone (quelle che chi le compra pensa di poter effettivamente usare) e, soprattutto, sono i protagonisti di questa corsa ad essere cambiati. Secondo una tendenza già in atto da tempo, il clou delle spese si sposta sempre più verso l’Est e il Sud del mondo, con effetti a prima vista paradossali.
Se si guardano i freddi dati, l’Africa Sub Sahariana ha un incremento di spesa del 18% fra il 2012 e il 2013, con l’Angola al primo posto assoluto nel mondo con un più 39,24%; è stupefacente come nazioni poverissime, con gravissimi problemi di fame, sottosviluppo, cronica assenza di infrastrutture essenziali, brucino porzioni immense dei loro magrissimi bilanci in armamenti. La spiegazione è purtroppo semplice: tutta l’area è punteggiata da continue crisi; il Sahel è un fiorire di conflitti dove gli scontri fra etnie si sovrappongono a quelli religiosi, con sullo sfondo gli interessi delle potenze occidentali, che hanno l’unico scopo di mantenere il controllo delle risorse naturali. In questo quadro desolante, di destabilizzazione perenne, le oligarchie al potere spendono anche ciò che non hanno per armare eserciti che sono spesso vere milizie personali, incuranti del resto.
Più a Sud la cosa non cambia poi di molto, con la zona dei Grandi Laghi in crisi perenne quanto sanguinosa, per la lotta per aggiudicarsi lo sfruttamento delle immense risorse del Kiwu e le altre regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, che coinvolge tutti gli Stati vicini, con la solita presenza delle multinazionali che usano i loro fantocci locali per spremere cinicamente i territori. In Nigeria, in Angola e in tanti altri luoghi non è poi diverso, fra lotte interetniche, sfruttamento di risorse e oppressione da parte di gruppi che prendono il potere e lo esercitano brutalmente troppo spesso a fini personali.
Certo, l’Africa Sub Sahariana incide solo per l’1% sulla spesa globale, ma su bilanci risibili è un’enormità che falcidia risorse indispensabili alla letterale sopravvivenza di intere popolazioni. La palma dell’aumento maggiore è tuttavia dell’Asia, con un incredibile più 22,3% del 2013 sul 2012, e parliamo di numeri pesanti in assoluto, con un 22% della spesa globale.
Sono due i focolai che alimentano la corsa; il primo è la volontà di egemonia della Cina, con circa 140 mld di $ di spesa stimati nel 2013 fra le pieghe di bilanci assai poco trasparenti; si ritiene che nel 2015 spenderà in armi più dell’Inghilterra, Francia e Germania messe insieme, e già ora è al secondo posto, staccando tutti gli altri nettamente. La crisi delle isole Senkaku (da noi già trattata in altro articolo) e il riarmo cinese, stanno spingendo tutti i Paesi dell’area a incrementare le spese militari, con i quasi 57 mld del Giappone (5°) e di seguito i 46 dell’India (7^), i 31,5 della Corea del Sud (che ha anche un’imprevedibile Corea del Nord da fronteggiare), e poi l’Australia, l’Indonesia e Singapore, tutte a spendere per non restare indietro.
L’altro focolaio è quello del Medio Oriente, con la sempre più aspra contrapposizione fra mondo sciita e quello sunnita, per la quale le monarchie del Golfo tentano di esorcizzare la paura che hanno dell’Iran continuando ad ammassare armamenti sofisticati che non hanno neppure a chi far utilizzare, probabilmente destinati a rimanere per sempre nei magazzini. Con il loro modo d’acquistare compulsivo, han trasformato l’area nel “Paese della Cuccagna” per chi vende armi con il più 35,72% dell’Oman, che ha raddoppiato la spesa dal 2011, passando da 4,7 a 9,2 mld; l’Iraq (più che mai alle prese con i suoi problemi interni, e con le aziende Usa che la fanno da padroni) ha un più 32,39%; il Bahrain più 28,72%, e l’Arabia Saudita, con i suoi quasi 43 mld, più 19,06%, in dieci anni ha triplicato la spesa, e l’anno prossimo sarà a ridosso dell’India, un Paese da oltre un miliardo d’abitanti! Ha un senso? Probabilmente solo quello della paura di ristretti gruppi di potere, terrorizzati di poter perdere i propri immensi privilegi.
Come ultima notazione sull’area, nel rapporto Jane’s Israele rimane a 13 mld come spesa “ufficiale”, ma attenzione, abbiamo detto “ufficiale”, e poi, alla bisogna, ha sempre “qualcuno” che gli fornisce a piè di lista tutto quello che ritiene d’aver bisogno ed anche assai di più, attraverso la miriade di canali d’aiuti militari, collaborazioni, patnership privilegiate, costruite e continuamente incrementate in sessant’anni e passa; non ha certo bisogno d’incrementare nulla.
Discorso a parte è da fare per la Russia: per molti anni, dopo la dissoluzione dell’Urss, lo strumento militare era caduto nell’abbandono, con la flotta immobilizzata nei porti, gli aerei a terra privi di ricambi e manutenzione e i depositi dell’Esercito saccheggiati da personaggi oscuri, spesso divenuti poi oligarchi con gli immensi capitali accumulati. Ora però le cose son cambiate: Putin intende praticare una politica di potenza, facendo ruggire ancora l’orso russo: missili Iskander a Kaliningrad, quasi nel cuore dell’Europa; nuova difesa anti aerea; grandioso progetto di ammodernamento delle forze armate e grande attivismo in Armenia e nell’Asia Centrale. Con quasi 69 mld di spesa nel 2013, terzo paese al mondo, con un più 15,7% nel 2013, nei prossimi tre anni programma di aumentare del 44% le spese militari.
Certo, quei soldi servirebbero (e tanto!) ad ammodernare invece le infrastrutture russe che cadono a pezzi, e anche l’industria estrattiva di petrolio e gas (su cui si basa la ricchezza del Paese) ha un disperato bisogno d’investimenti: ma che importa? Che importa delle difficoltà economiche e delle spese colossali in altri settori (tipo olimpiadi di Sochi)? Ritiene che il semplice dividendo della forza servirà a pagare la bolletta; è un ragionamento che la storia ha visto fare anche troppe volte, ma tutte con risultati diversi dalle aspettative.
E in tutto questo, cosa fanno i Paesi della Nato?
Premesso che gli Usa sono un discorso a parte, cui abbiamo dedicato già un articolo, gli altri, avviluppati in una crisi che non li molla, e sotto la pressione di opinioni pubbliche spesso assai critiche, tagliano la spesa militare o, al massimo, tentano di mantenerla stabile. D’altronde, per alcuni di essi, Inghilterra (4^ al mondo con quasi 59 mld) e Francia (6^ con 53), lo strumento militare, usato spesso con spregiudicatezza, è stato ed è assai utile per i cosiddetti “interessi nazionali” (Libia e Sahel docent!). Certo, l’Europa Occidentale pesa ancora per il 15% sulla spesa globale, ma è in rapido regresso dinanzi all’ascesa degli altri.
E allora gli Usa? Con i 582 mld spesi nel 2013 e i 575 previsti per il 2014, restano e resteranno indiscutibilmente in testa, soprattutto in tutte le tecnologie e i sistemi d’arma innovativi, capaci d’assicurare un’assoluta supremazia su chiunque altro, e di parare e rintuzzare qualunque minaccia agli interessi che riterranno, a loro comodo, di perseguire in tutto il mondo.
A conclusione di questa lunga serie di dati, è desolante constatare che la Storia non abbia insegnato proprio nulla, e che per assurdo il mondo sia ancora più insicuro di prima. Al tempo andato, erano le due superpotenze a dettar legge e a esercitare due imperialismi contrapposti e indiscussi, che tuttavia si paralizzavano a vicenda con la deterrenza dell’olocausto nucleare; oggi, nuovi Paesi sgomitano per raggiungere la ribalta e spartirsi le risorse del globo, usando gli stessi mezzi che avevano tanto criticato (vedi la Cina); oppure c’è chi vuole riconquistarla (vedi la Russia), senza farsi alcuno scrupolo sui mezzi usati. È uno scenario micidiale, in cui imperialismi vecchi e nuovi, fuori dallo schema paralizzante della Guerra Fredda, pensano, con sempre maggior disinvoltura, di poter impiegare lo strumento militare per raggiungere i propri scopi, senza porsi il problema delle conseguenze devastanti che potrebbero innescare. Se ci pensate, a perderci sono sempre i popoli.
di Salvo Ardizzone