Reza Pahlavi in visita a Roma
Dopo aver effettuato la “storica” visita in Israele, Reza Pahlavi, figlio dello Shah d’Iran Mohammed Reza Pahlavi, è in Italia per un soggiorno nella capitale. Pahlavi, in tour alla ricerca di sostegno, si è recato in Israele dopo il totale fallimento dei suoi sforzi per formare un fronte anti-iraniano. Sfortunatamente per lui, le violenze e i crimini commessi nell’ultimo anno in Iran dai presunti “rivoltosi”, non hanno intaccato lo spirito e la forza del popolo iraniano.
Vale la pena ricordare che, il paladino delle libertà e dei diritti umani, da decenni svolge una vita lussuosa in Occidente grazie ai beni sottratti 44 anni fa al popolo iraniano.
La visita a Roma è stata organizzata da Mariofilippo Brambilla di Carpiano, amico di vecchia data della famiglia Pahlavi. Durante il soggiorno nella capitale, Reza Pahlavi incontrerà delegazioni di deputati e senatori, parteciperà alla trasmissione televisiva “Porta a Porta” condotta da Bruno Vespa e, il 27 aprile, incontrerà esuli della diaspora persiana in Italia presso Palazzo Ferrajoli.
Pahlavi, una figura impopolare che vive in esilio dalla Rivoluzione Islamica del 1979, ha intensificato le sue attività anti-iraniane sulla scia delle “rivolte” sostenute dall’estero in Iran. Ha supportato i terroristi che operano contro l’Iran, esortando l’Occidente a dare un sostegno attivo ai “rivoltosi” all’interno del Paese.
Rivolta del 1963 repressa nel sangue da Reza Pahlavi
Tra le tante atrocità commesse dal regime Pahlavi, vogliamo ricordare la rivolta popolare del 1963 innescata dall’arresto dell’Imam Khomeini, nel corso di un discorso in cui attaccò lo Shah filo-occidentale Reza Pahlavi ed Israele. Quella rivolta gettò le basi per la vittoriosa Rivoluzione Islamica del 1979.
Il 5 e 6 giugno del 1963, i manifestanti si trovarono di fronte i carri armati del regime nelle città iraniane di Qom, Teheran, Shiraz, Mashhad e Varamin. La violenta repressione provocò la morte di almeno 15mila persone.
La rivolta aprì un nuovo capitolo nella Resistenza popolare contro il regime dell’ex Shah, Mohammad Reza Pahlavi, che affrontò una crisi di legittimità dopo il colpo di Stato organizzato dalla Cia nel 1953. Dopo la rivolta, il regime intensificò la repressione con incarcerazioni, esecuzioni di dissidenti e membri del clero, alimentando ulteriori disordini.
Per non dimenticare i crimini dello Shah
L’Iran Ebrat Museum, è un museo istituito per ricordare le prigioni segrete della brutale polizia dello Shah Pahlavi. Sito a Teheran, il museo mostra i crimini e le torture a cui venivano sottoposti i prigionieri politici nell’Iran del regime Pahlavi, rovesciato nel 1979 grazie alla Rivoluzione Islamica condotta dall’Imam Khomeini.
Nel corso degli anni ’70, migliaia di prigionieri politici furono detenuti in celle minuscole e torturati dal Comitato misto Anti Sabotaggio, un ramo della terribile Savak (National intelligence e Organizzazione per la sicurezza) formata sotto la guida della Cia nel 1957 e addestrata dal Mossad.
La Savak, nota in Iran per i suoi metodi brutali, controllava tutti gli aspetti della vita politica e sociale iraniana. Ai giornalisti, personaggi della letteratura e accademici veniva imposta una rigida censura. Le università, i sindacati e le varie organizzazioni erano tutte soggette all’intensa sorveglianza degli agenti della Savak e dei suoi informatori.
Questo era l’Iran dello Shah, un Paese manovrato e sottomesso alle volontà degli Stati Uniti, dove gli orrendi crimini commessi contro il popolo iraniano non urtavano le sensibilità di un complice e colpevole Occidente. Non dobbiamo dimenticare la storia, quella vera, e soprattutto, non dimentichiamo i suoi carnefici di ieri e di oggi. Loro, non cambieranno mai!
di Redazione