Recensione a “Mezzaluna sciita” di S. Caputo
Islam Shia – Dopo essere stati costretti a soffermarci lungamente sulla prefazione di A. Negri* possiamo passare ora al libro di Caputo “Mezzaluna sciita“. L’autore, seppur animato da mille buone intenzioni e mosso da un’indubbia simpatia verso gli sciiti, mostra purtroppo una profonda confusione, frutto di una conoscenza molto approssimativa dell’Islam in generale e della scuola sciita in particolare. Sebbene egli specifichi sin dall’inizio come il testo “non vuole essere accademico, tutt’altro, piuttosto far conoscere lo Sciismo e gli sciiti attraverso l’esperienza sul campo” (pag. 46), ciò non può giustificare la sterminata serie di grossolani errori né soprattutto le gravi distorsioni dottrinali che nel corso della lettura troviamo in quasi ogni pagina.
Già la scelta del titolo, a dire il vero, non lasciava ben sperare. Quella di “mezzaluna sciita” è infatti un’espressione “coniata dalla mente corrotta dei regimi arabi” (la definizione è di Nasrallah) asserviti agli Stati Uniti e a Israele [1] che mira a insinuare l’esistenza di un progetto, sciita in generale e iraniano in particolare, studiato a tavolino per espandere la Shi’a nella regione del Vicino Oriente. L’obiettivo che lo sottende è ovviamente quello di agitare lo spettro della volontà espansionista della Repubblica Islamica e degli sciiti tout-cour t ai danni tanto dei governi limitrofi quanto delle masse di credenti sunniti arabi (e non solo), in piena sintonia con le volontà e i disegni divisori del mondo islamico e di isolamento dell’Iran orchestrati da Londra, Washington e Tel Aviv [2]. Non è un caso che le maggiori autorità sciite contemporanee, dall’Imam Khamenei a Seyyed Nasrallah, abbiano sin dall’origine e a più riprese duramente denunciato questa definizione [3], basata su pretese totalmente infondate, utilizzata per impaurire contemporaneamente le popolazioni sunnite e i governi della regione rispetto alla Shi’a e alla Repubblica Islamica, con l’obiettivo di spingerli ad allinearsi all’asse israelo-americano onde dare forma a una coalizione anti-iraniana e anti-Asse della Resistenza [4].
Tre premesse errate
All’inizio l’autore ci spiega: “sono tre le ragioni principali che cercherò di sviluppare nel corso del libro e che mi hanno avvicinato, come giornalista ma prima ancora come uomo, a questa fede” (pag. 49). Andiamo a leggerle.
1) “In primo luogo gli sciiti sono avversi allo sradicamento (dunque all’emigrazione massiva) poiché hanno un rapporto particolare e un attaccamento viscerale alla loro terra d’origine”. Non sappiamo come egli sia potuto giungere a simile conclusione (che lascerebbe intendere una propensione, per esempio dei fratelli sunniti, per il fenomeno migratorio), salvo poi egli stesso scrivere, parlando degli sciiti libanesi, che “molti di loro sono emigrati nell’Africa nera francofona e in America Latina” (pag. 147). Il caso dei libanesi non è affatto isolato, poiché non sono pochi gli sciiti iraniani, afghani, arabi o pakistani che per motivi diversi hanno lasciato la loro terra di origine per approdare in altre nazioni.
2) “L’Islam sciita non persegue un “pansciismo”, ovvero un discorso unitario, bensì riconcilia il credo religioso con le identità nazionali. Si è libanesi, iraniani, iracheni, siriani, prima ancora che sciiti”. La prima affermazione ci sembra alquanto bizzarra poiché presente all’interno di un libro intitolato e dedicato interamente a una sedicente “mezzaluna sciita”: testo nel quale si può leggere, ad esempio, che il Generale martire Soleimani era stato “incaricato di tessere nell’ombra quella Mezzaluna sciita…” (pag. 58) o che i combattenti di varie nazionalità, uccisi combattendo in Siria contro i miliziani takfiri, sono “martiri caduti in guerra per la mezzaluna sciita” (pag. 156). Ovviamente, come abbiamo già specificato, non vi è alcun progetto esclusivista né volontà settaria da parte sciita; l’esistenza ed adesione da parte dei musulmani di ogni scuola ed orientamento alla Ummah, la Comunità mondiale Islamica, è invece un chiaro e solido concetto coranico (cfr. ad esempio: 3: 110; 23: 52). Per qualsiasi musulmano il legame religioso e solidaristico che lo unisce alla Ummah Islamica, una comunità basata su princìpi e valori di natura squisitamente spirituale, prescinde, sorpassa e precede qualunque appartenenza etnica, linguistica o nazionale, sebbene ciò non vada comunque letto come una contrapposizione con queste [5].
L’affermazione ovviamente più grave è però quella secondo la quale “si è libanesi, iraniani, iracheni, siriani, prima ancora che sciiti”, una dichiarazione che nessun vero credente sciita sottoscriverebbe mai. Per comprenderne la gravità, e senza andare a scomodare le monumentali opere teologiche e giuridiche sciite, basterà riportare quanto l’Imam Khomeyni – che prima ancora che essere Guida della Rivoluzione e della Repubblica Islamica era un fine teologo, un profondo esegeta del Corano e un esperto giurisperito, oltre che un elevato mistico – disse nella prima delle due celebri missive inviate a Papa Giovanni Paolo II nel 1979. Facendo riferimento all’ultimo Primo Ministro del regime dello Shah, Shapour Bakhtiar, egli infatti dichiarò: “Diceva di essere prima iraniano e poi musulmano, benché questa sia un’affermazione blasfema (kufr)” [6].
3) “Lo sciismo è una religione della fede, ma soprattutto dell’attesa del ritorno del Dodicesimo Imam, l’Imam nascosto. Di conseguenza per loro l’evangelizzazione non è mai stata una priorità, ragion per cui a differenza delle monarchie del Golfo, le potenze sciite non finanziano moschee fuori dai loro confini nazionali, né invitano le loro comunità a rivendicare diritti comunitari nei Paesi in cui vivono”.
Se è vero che il proselitismo tipico di certe sette protestanti sia, dottrinalmente e storicamente, sempre stato estraneo all’Islam nella sua interezza – e non solo alla corrente sciita – ciò non esime, ma anzi impone a ogni credente musulmano – sunnita o sciita che sia − il dovere di esporre e far conoscere la verità dell’Islam agli altri, trattandosi di un messaggio liberatorio e salvifico universale. Quanto alla Shi’a quale “religione della fede”, e non delle opere, vi ritorneremo più avanti.
Non sappiamo a chi ci si riferisca parlando di “potenze sciite”, ma la Repubblica Islamica dell’Iran ha pubblicamente finanziato moschee e centri islamici in ogni parte del pianeta. In Europa i grandi centri islamici sciiti di Vienna e Londra − solo per citare due dei più noti − sono sorti grazie al supporto diretto iraniano, mentre quello di Amburgo ha una storia particolare in quanto creato già negli anni ’60 su intervento diretto del Grande Ayatullah Burujardi, allora massima autorità sciita mondiale e direttore della Hawzah Ilmiyyah (il seminario teologico sciita) della città santa iraniana di Qom, che vi inviò come responsabile e rappresentante una figura religiosa e rivoluzionaria di primo piano come l’Ayatullah Beheshti [7].
Sul presunto mancato invito alla “rivendicazione di diritti comunitari” nei Paesi in cui gli sciiti risiedono, citiamo l’esempio del “Majma Jahani Ahlalbait” (l’Assemblea Mondiale dell’Ahlalbait), una delle principali associazioni sciite internazionali esistenti. Si tratta di un’organizzazione mondiale con sede a Teheran e filiali in molte nazioni, il cui responsabile viene scelto direttamente dal Wali Faqih (l’Imam Khamenei), e che possiede tra i suoi obiettivi – secondo la sua stessa presentazione ufficiale – oltre a quello di “ravvivare e diffondere gli insegnamenti del Puro Islam” anche quello di “difendere i diritti dei musulmani e degli sciiti nel mondo” [8].
Errori vari
Il libro, come dicevamo, è costellato di importanti errori di varia natura. Ne troviamo di storici e religiosi, come quando si afferma che Damasco sarebbe una città santa islamica, addirittura la quarta (pag. 65) e “il Gran Muftì di Siria” un “religioso autorizzato ad emettere responsi dottrinali” (pag. 66) mentre, essendo giuridica la natura dell’incarico, è solo in questo ambito che può emettere dei decreti. Gli Yazidi, definiti “popolo che adora il fuoco” (pag. 168), vengono confusi con gli Zoroastriani, una semplificazione che comunque non renderebbe giustizia neanche nel caso di questi ultimi. La responsabilità dell’assassinio dell’Imam ‘Ali viene attribuita al califfato Omayyade (pag. 152), laddove è noto che venne ucciso da un membro della setta eretica Kharijita. Gli abitanti di Karbala vengono confusi con quelli di Najaf (pag. 152), mentre Zainab, la sorella dell’Imam Husayn, sarebbe “riuscita a dissetare i suoi compagni di viaggio che non bevevano da giorni soffocati dal caldo desertico” (pag. 56), episodio che non troviamo riportato in alcuna opera storica che tratta delle vicende di Ashura; simile è il caso di “un detto riferito al Corano” (?) (pag. 164) di cui non vi è traccia nel Libro Sacro. Si attribuisce a Fatima Masumah, la sorella dell’ottavo Imam Ali al-Ridha, una narrazione sugli iraniani (pag. 97) che non abbiamo potuto rinvenire in nessuna delle enciclopediche opere di hadith esistenti. Si legge poi che con gli Omayyadi il “califfato diventa contemporaneamente Papa e Cesare, autorità temporale e potere spirituale” (pag. 102), mentre è vero l’esatto contrario, essendo risaputo che è precisamente con questa dinastia che il secolarismo viene ad affermarsi nel mondo islamico.
Il pellegrinaggio degli sciiti al Mausoleo di Seyyda Zainab a Damasco sarebbe avvenuto “grazie alla volontà congiunta della Repubblica Islamica dell’Iran e del presidente siriano Hafez al-Assad” (pag. 56), quando tale pellegrinaggio − tanto da parte dei sunniti quanto degli sciiti − è attestato già nelle opere di viaggiatori musulmani del XII secolo come l’andaluso Ibn Gubayr [9] o del XIV secolo come il marocchino Ibn Battuta [10]. Dopo la pubblicazione dell’opera di Sayyid Muhsin al-Amin “A’yan al-Shi’a” nella prima metà del Novecento − ben prima quindi che Hafez al-Assad andasse al potere o la Repubblica Islamica dell’Iran prendesse forma − opera nella quale l’importante sapiente sciita dona maggior lustro al Mausoleo di Damasco, i pellegrinaggi di sciiti aumentarono notevolmente. Non è un caso che lo stesso sociologo iraniano Shariati, che come andremo a vedere viene citato più volte dall’autore nel corso del libro, dopo la sua morte, avvenuta nel 1977 e quindi ancor prima della vittoria della Rivoluzione Islamica, venne sepolto proprio all’interno di questo sepolcro della sorella dell’Imam Husayn in Siria.
La Siria, insieme all’Iran, al Libano e all’Iraq, viene annoverata fra le “grandi patrie mediorientali dello Sciismo Duodecimano” (pag. 45), quando gli sciiti duodecimani in Siria si aggirano oggi intorno al 3-5% (sebbene in passato abbiano costituito una percentuale maggiore, ma sempre minoritaria), a differenza di altri Paesi come il Bahrain o l’Azerbaijan nei quali sono maggioranza, o di altre nazioni nelle quali costituiscono comunque importanti minoranze come in Arabia Saudita o nel Kuwait, per rimanere nel Vicino Oriente. Ai lettori ricordiamo infatti che rilevanti comunità sciite sono presenti anche al di fuori di questa regione, come quelle del Pakistan, dell’Afghanistan e dell’India.
Caputo scrive poi che “l’obiettivo dei Safavidi era quello di ottenere una legittimazione spirituale e allo stesso tempo di creare un centro di potere credibile che si opponesse al califfato sunnita degli Ottomani (che per di più non erano nemmeno persiani)” (pag. 98), dimenticando che gli stessi Safavidi non erano persiani, avendo origini turche.
La fatwa sugli Alawiti come “ufficialmente musulmani” emanata da un singolo sapiente religioso, l’Imam Musa Sadr, viene presentata come quella “degli ayatollah iraniani” (pag. 56); Imam Musa Sadr che avrebbe avuto come “autori di riferimento” Sartre, Marx e Jaspers (pag. 149), mentre consultando la sua opera omniasi scopre che le volte in cui li menzionò nei suoi numerosi discorsi e scritti possono essere contate sulle dita di una sola mano [11].
Nel 1988, “con il territorio iraniano sotto il controllo degli iracheni”, ci viene detto che “Khomeini dovette accettare un umiliante cessate il fuoco” (pag. 184), quando in realtà l’Iran aveva già riconquistato da tempo l’intero suo territorio, respingendo gli invasori al di là dei confini ben prima degli accordi che misero fine a quella lunga e sanguinosa guerra scatenata dall’invasione baathista-occidentale nel 1980.
Numerosi anche gli errori linguistici, come quando per definire certi gruppi estremisti il termine “takfiri” viene tradotto come “gli apostati dell’Islam” (pag. 70), mentre sono proprio questi movimenti a scomunicare gli altri musulmani, ed è questo il senso, in tale contesto, del termine arabo che viene loro ascritto; citando il detto popolare “Ya Ali Madad” (pag. 103) si confonde il persiano con l’arabo; la frase “Labayka ya Hussein” viene resa in italiano come “per te, Hussein” (pag. 155), mentre la traduzione che più si avvicina al vero significato di “labayka” è “eccomi a te” (cioè “sono al tuo servizio” o “ai tuoi ordini”).
La “frattura definitiva” fra mondo sciita e wahabita viene fatta risalire al 1982 quando Hafez al-Assad “con il consenso di Teheran” soffocò nel sangue le sollevazioni guidate dai Fratelli Musulmani nella città di Hama (pag. 117). Un “consenso” che in realtà non vi fu, anzi. Seyyed Mohtashemipur, allora ambasciatore dell’Iran a Damasco, ha raccontato che, dopo aver redatto un rapporto su quanto accaduto ad Hama ed averne inviato una copia al Ministero degli Esteri iraniano e una all’Imam Khomeyni, quest’ultimo fece recapitare un messaggio privato al presidente siriano − tramite lo stesso Mohtashemipur – nel quale condannava quanto avvenuto, ammoniva fortemente Assad dal ripetere simili azioni e lo metteva in guardia perché esse erano contrarie agli interessi della Siria e del mondo islamico [12].
La paternità dell’opera “Gharbzadegi” viene attribuita al sociologo e scrittore Ali Shariati (pag. 100) anziché al suo vero autore, Jalal Ale Ahmad [13]. Quanto a Shariati, sebbene alcune sue posizioni e interpretazioni siano indubbiamente discutibili e influenzate da ideologie moderniste estranee all’Islam, tanto che vennero fortemente e pubblicamente denunciate da alcune fra le massime autorità religiose sciite [14], è però alquanto eccessivo scrivere che “costruì la sua visione del mondo nelle tesi marxiste” (pag. 99), quando fu proprio Shariati a sferrare una delle più taglienti critiche a Marx e alla sua ideologia, spiegandone l’intrinseca incompatibilità con l’Islam [15].
“Lo Stato sciita nato dalla rivoluzione del 1979” sarebbe “più una teocrazia populista che religiosa” − distinzione alquanto ambigua e tortuosa di cui non riusciamo a cogliere il significato –perché, ci viene spiegato, “alla base della sua relazione politico-ideologica traspare infatti fin dagli esordi il pensiero raffinato di Ali Shariati”. Per coloro che volessero approfondire l’opinione del pensatore e sociologo iraniano sullo Stato e la teocrazia, rimandiamo agli estratti di un suo discorso da noi tradotto e consultabile sul nostro sito, nel quale le idee espresse collimano perfettamente con gli articoli della Costituzione e l’ordinamento sorto con la Repubblica Islamica [16]. Il profondo amore e rispetto che Shariati nutriva verso l’Imam Khomeyni è stato testimoniato, oltre che dal padre dello scrittore, anche dall’attuale Guida della Rivoluzione Islamica Imam Khamenei, che di Shariati era amico [17].
In un leitmotiv che ritroviamo generalmente negli scritti sia di autori laici iraniani che della maggior parte degli occidentali che hanno trattato l’argomento, e che da questi autori si abbeverano, veniamo informati che la Rivoluzione iraniana “in un primo momento” sarebbe stata “popolare prima ancora che islamica in senso stretto” (pag. 98). La natura ed essenza islamica della Rivoluzione del 1979 è un dato innegabile che può essere dimostrato facilmente citando giusto qualche dato: la sua Guida unica e indiscussa, sin dagli esordi (1963), fu un giurisperito, filosofo, teologo e mistico islamico, l’Imam Khomeyni; il centro e cuore pulsante della lotta nel corso dei lunghi anni di sacrifici furono le moschee di tutta la nazione; le maggiori proteste e manifestazioni si tennero nei giorni legati a ricorrenze e cerimonie religiose (Muharram, Arbain, Id al-Fitr, ecc.), e gli slogan scanditi contenevano continui riferimenti alla storia e alla dottrina islamica [18]. D’altro canto lo Shah, di fronte alla vastità delle proteste e percepito il pericolo del tracollo, quando cercò di dare segni di ‘distensione’ e ‘apertura’ varò riforme e cambiamenti che intercettassero la sensibilità religiosa della nazione, quali il ripristino del calendario islamico, la chiusura dei casinò e degli altri luoghi di perdizione, la cessazione di ogni collaborazione militare con Israele, ecc. È comunque interessante notare come, in quegli anni, il carattere squisitamente religioso della Rivoluzione non sfuggì neanche ai diplomatici italiani in missione in Iran, né tantomeno ai giornalisti e corrispondenti italiani dei più svariati orientamenti politici e culturali, diretti testimoni degli eventi [19].
Ancora più sorprendenti gli errori su Nasrallah. Non tanto nei cenni biografici (come quelli riportati a pag. 141) di colui che, secondo i suoi seguaci, sarebbe addirittura “infallibile” (sic!) (pag. 155), ma soprattutto laddove si afferma che non riconoscerebbe il principio della wilayat al-faqih (pag. 142)! Un errore elementare che lascia stupiti, trattandosi di uno dei tre princìpi fondamentali (insieme all’Islam e al Jihad) sui quali sin dalla nascita si fonda Hezbollah, e che devono essere accettati da qualunque membro voglia farne parte, figuriamoci dal Segretario Generale! [20] È paradossale che si ignori questo quando perfino i nemici di Hezbollah, per ‘denigrare’ – dal loro punto di vista – il movimento di resistenza islamica libanese, siano soliti definirlo come “Hizb Wilayat al-Faqih” (il “partito” della Wilayat al-Faqih).
Ci si lasci il beneficio del dubbio invece sul passo in cui si racconta l’incontro dell’autore con i genitori dei martiri iraniani caduti combattendo volontariamente in Siria: “A tutti chiedevo come avevano reagito di fronte alla scelta dei loro figli di andare a combattere per un Paese straniero. Mi rispondevano sempre allo stesso modo: “Siamo orgogliosi, non abbiamo dimenticato quello che Hafez al Assad ha fatto per noi” (pag. 166). Premesso che nessuno di questi mujahidin sia andato “a combattere per un Paese straniero”, ci pare comunque davvero difficile, per non dire impossibile, credere che i genitori dei martiri abbiano fornito quel tipo di risposta. Basterebbe leggere i testamenti dei martiri o le interviste e i discorsi tenuti dai loro familiari per comprendere come simili concetti siano del tutto estranei alle vere – di ben altra natura e livello − motivazioni dei combattenti e martiri che dall’Iran, così come da altre nazioni islamiche, si sono recati in Siria, spinti da princìpi e obiettivi profondamente religiosi e spirituali: la difesa dell’Islam, dei luoghi santi e degli oppressi di fronte alle stragi dei miliziani takfiri sotto la regia americano-saudita-sionista [21].
La poesia di Hafez − nome che viene comunemente attribuito a “chi ha memorizzato l’intero Corano” − viene descritta come “canzoniere dell’erotismo mescolato all’edonismo” (pag. 129), nella più grezza e mistificante interpretazione materialista di uno dei massimi mistici musulmani, quella più lontana e fuorviante per comprendere i contenuti e l’essenza dei suoi poemi [22].
Ci appare davvero esagerato definire un testo in realtà giornalistico e modesto quale “Il musulmano errante” di Alberto Negri come “lo studio europeo più dettagliato e autorevole (sugli Alawiti)” (pag. 55) [23]. Non comprendiamo poi come “con gli attentati di Monaco del 1973 in Europa cambia la percezione dell’Islam” (pag. 40) quando vennero commessi (nel 1972) da un’organizzazione, “Settembre Nero”, notoriamente laica e socialista [24].
Fin qui alcuni degli errori “minori”. Passiamo ora ad analizzare quelle che a nostro avviso sono le problematiche maggiori del testo, in quanto legate a distorsioni dottrinarie che mostrano confusione, una profonda incomprensione da parte dell’autore e che richiedono necessariamente una seria rettifica.
La Shi’a: quietista e apolitica, o onnicomprensiva e rivoluzionaria?
Caputo sostiene che con l’Imam Khomeyni “lo Sciismo da insegnamento esoterico e mistico di tipo quietista e apolitico, si trasforma in un’ideologia politica…” (pag. 98-99) Lungi dall’essere un’idea esclusiva dell’autore, ci troviamo invece di fronte a una tesi che viene regolarmente affermata da tutto un filone all’interno dell’orientalismo, a cui ne fa da contraltare un’altra che sostiene l’esatto opposto, ovvero che la Shi’a sarebbe sorta originariamente quale rivendicazione esclusivamente politica e solo successivamente, subendo influenze esterne, avrebbe acquisito anche dimensioni gnostiche e spirituali. Si tratta di due interpretazioni parimenti errate [25].
Uno dei maggiori propugnatori della prima posizione ai giorni nostri è l’orientalista iraniano Amir-Moezzi, sulle cui ardite tesi ci siamo già soffermati altrove [26]. Varrà qui la pena riportare quanto giustamente e sinteticamente scrive C.Y. Bonaud al riguardo per capirne la consistenza, rimandando gli interessati ad ulteriori approfondimenti [27]: “Certi elementi, in particolare le molteplici persecuzioni dei califfi nei confronti degli Imam, non avrebbero avuto alcun senso se il loro insegnamento fosse stato solo spirituale e religioso, e se essi si fossero isolati in un ritiro completo dalla sfera politica, non denunciando nemmeno l’usurpazione del califfato, in una parola, se essi non avessero per nulla dato fastidio al potere di quel tempo. Quest’ultimo, per quel che si sa, lasciò in pace i membri delle diverse scuole d’insegnamento esoterico – sufi o alchimisti per esempio – e quando così non accadde fu per una loro interferenza con il dominio politico o per una reale o presunta collusione con dei movimenti militanti, come per Hallaj, sospettato di contatti ismailiti” [28].
Si potrebbe inoltre qui citare, tra le numerose esistenti, l’opera storica “Jihad al-Sh’ah” (Il Jihad degli sciiti) scritta da Samirah Mukhtar al-Laythi, docente sunnita dell’Università egiziana ‘Ayn Shams, che tratta dei movimenti e delle lotte armate degli sciiti fino al secondo secolo dell’Egira, o quella più nota del grande sapiente sciita Allamah Amini “Shuhada al-Fadila” (I Martiri della Virtù), pubblicata nel 1936, che raccoglie le biografie di ben centotrenta eminenti autorità sciite che hanno raggiunto il martirio per la loro fede, evidentemente non proprio “quietista”. Degno di nota che il saggio sciita tratti soltanto biografie di autorevoli ulamà martirizzati a partire dal quarto/decimo secolo in poi poiché quelle dei sapienti dei primi tre secoli erano già presenti in molte altre opere e raccolte.
Per limitarci esclusivamente al secolo scorso e al mero Iran si potrebbero citare i nomi di alcuni fra i più insigni sapienti della loro epoca – assenti dall’opera di Allamah Amini − che ebbero un atteggiamento per nulla quietista e apolitico, come il grande Mirza Shirazi, lo Shaykh Fazlollah Nuri, il secondo Mirza, l’Ayatullah Modarres, l’Ayatullah Kashani o Seyyed Nabbavi Safavi; atteggiamento che costò a molti di loro la prigione e perfino il martirio. Lo stesso maestro spirituale dell’Imam Khomeyni, l’Ayatullah Shahabadi, fu tra coloro che criticarono apertamente lo Shah Reza Khan – il padre dell’ultimo monarca iraniano fuggito durante la Rivoluzione Islamica – tanto da ritirarsi per ben undici mesi nel Santuario di ‘Abdul Adhim, a sud di Teheran, in segno di protesta per le sue politiche [29].
Sotto: Seyyed Navvab Safavi mentre viene condotto in tribunale. Sopra: prima di essere fucilato da agenti dello Shah, mentre recita l’Adhan (la Chiamata alla Preghiera)
Corano, Profeta e Imam
Poco più avanti Caputo, sempre riferendosi agli sciiti, scrive che “il loro credo era fondato sui versetti coranici e sugli hadith in cui veniva indicato l’erede spirituale diretto”. (pag. 101) In realtà la questione centrale attorno alla quale ruotano le differenze tra sciiti e sunniti non attiene solamente all’ “eredità spirituale”, giacché la maggioranza delle turuq sufi sunnite affermano di ricollegarsi alla guida spirituale dell’Imam ‘Ali e di diversi Imam della Shi’a, ma anche e soprattutto a quella giuridica, socio-politica e religiosa, messe in discussione dai sunniti [30].
La questione della successione al Profeta, secondo la Shi’a, abbraccia infatti sia l’aspetto sociale e politico di Guida della Comunità Islamica, che quello religioso e giuridico, ovvero di spiegazione e applicazione della Legge Divina, delle norme coraniche e islamiche; l’aspetto spirituale e mistico, riguardante la guida del credente nel sentiero di ascensione, lungo il percorso che conduce a Iddio; l’aspetto ermeneutico di spiegazione dei significati più profondi del Sacro Corano e degli insegnamenti profetici; senza dimenticare l’intermediazione della Grazia divina e della Misericordia per tutte le creature. La questione fondamentale che divide infatti i sunniti e gli sciiti non risiede tanto nella circostanza che l’Imam ‘Ali fosse il genero e cugino del Profeta (S), né nel mero fatto che l’Imam ‘Ali, in base ai versetti del Corano e a numerosi ahadith, sia ritenuto superiore in conoscenza, livello spirituale, pietà, religiosità, timor di Dio, servigi resi all’Islam, coraggio, ecc. rispetto a tutti gli altri Compagni del Profeta, primi tre califfi inclusi; ma proprio sulla portata ed il significato della funzione del Califfato-Imamato e del Califfo-Imam.
Mentre i fratelli sunniti ne restringono il campo alla guida della Ummah (Comunità Islamica) nella sola sfera pubblica, sociale e politica, gli sciiti credono che, al di là di questo ambito, ci siano altre due sfere di esclusiva competenza del Califfo/Imam: 1) autorità intellettuale e religiosa. I sunniti ritengono che i Califfi, seppur con il beneplacito divino, governassero tramite l’Ijtihad, ovvero con la deduzione personale, basata sul proprio ragionamento, tratta dagli insegnamenti del Corano e della Sunna del Profeta, e quindi che fossero passibili di errore; gli sciiti ritengono invece che gli Imam abbiano una conoscenza dell’Islam, del Corano e della Sunna che non è di natura razionale e discorsiva (che li renderebbe fallibili) ma ricevuta direttamente da Dio per tramite del Profeta; 2) autorità spirituale: l’Imamato secondo gli sciiti comprende anche il significato di Insan al-Kamil (Uomo Perfetto) e Hujjat Allah (Prova o Argomento di Dio). L’idea è che in ogni epoca sia presente un Uomo Perfetto che è custode (“tesoriere e tesoro”) della conoscenza divina, vicario di Dio in terra e rappresentazione vivente di tutte le qualità perfette, senza il quale l’universo non potrebbe continuare a esistere. Egli è quindi la guida autentica nei mondi spirituali e nella Via che conduce all’Amato [31]. Per questo motivo l’Imam/Califfo nell’ottica sciita può essere designato solamente da Dio, a differenza dei fratelli sunniti che ritengono sia prerogativa della Comunità Islamica, mediante i suoi saggi, eleggerlo.
Proseguendo troviamo che gli sciiti, “a dispetto di quanto accade nell’Islam sunnita”, non utilizzerebbero mai il termine “califfo” (pag. 102). Probabilmente, qui come altrove, l’autore è stato tratto in inganno da quanto propinato da Amir-Moezzi [32]. In verità il termine “califfo” (khalifah) compare nello stesso Sacro Corano (2: 30; 38: 26) e in tutte le raccolte di hadith sciite, oltre che nelle opere dei teologi sciiti dei primi tempi e di quelli successivi [33].
Subito dopo, anche qui probabilmente sotto l’influenza di Amir-Moezzi ma anche di H. Corbin, si afferma che il Profeta avrebbe avuto il compito di far conoscere gli aspetti exoterici, legalistici, esteriori, del Corano e della religione, mentre agli Imam era delegato il compito di farne conoscere lo spirito, l’aspetto interiore, “esoterico”. Da qui si giunge a presentare il Corano come “Libro mutilo” e il Profeta come “Guida muta”. In realtà secondo l’Islam Sciita al Profeta Muhammad (S) non appartiene solo la sfera exoterica e manifesta, ma prima di tutto quella interiore e spirituale, ed è proprio per suo tramite che gli Imam ricevono la conoscenza anche degli insegnamenti più profondi e trascendenti. Il sesto Imam della Shi’a, Jafar as-Sadiq, dice: “Il mio detto è quello di mio padre [l’Imam al-Baqir], il detto di mio padre è quello di suo nonno [l’Imam Sajjad], il detto di suo nonno è il detto dell’Imam Husayn ibn Ali, e il suo detto è quello di Hasan, e il suo detto è quello dell’Imam ‘Ali, e il suo detto è quello del Profeta di Dio, e il detto del Profeta di Dio è la Parola di Dio” [34].
Il Profeta Muhammad (S), in accordo al Sacro Corano e alle tradizioni unanimemente accettate da sunniti e sciiti, nel corso del Mi’raj, ovvero in quello che è poi diventato il modello e archetipo di ascensione celeste per tutti i mistici e i pellegrini spirituali musulmani – da Avicenna ad al-Ghazali, da Ibn Arabi a Mawlana Rumi, da Mulla Sadra a Fayd Kashani (ma anche per quelli non musulmani, se pensiamo alla Divina Commedia di Dante [35]) − raggiunse la più alta stazione spirituale, ciò che è al di là di qualsiasi immaginazione, e che il Libro di Dio descrive come “[finché] fu alla distanza di due archi o meno” (LIII, 9), alla quale nemmeno l’Arcangelo Gabriele potette accedere [36]. Uno dei grandi mistici musulmani sciiti contemporanei, l’Imam Khomeyni, ha così descritto tale incomparabile stazione del Sigillo dei Profeti: “Accostandosi alla Fonte della Rivelazione, egli ricevette lo svelamento dei misteri dell’Essere e, raggiunto il culmine dell’umana perfezione, vide chiaramente la Realtà senza la frapposizione di alcun ‘velo’. Egli fu ‘presente’ in tutte le dimensioni dell’esistenza e, nel contempo, in tutti gli stati dell’essere – come la più alta manifestazione di Colui che è il Primo e l’Ultimo, il Manifesto e il Nascosto – e desiderò che tutti gli esseri umani conseguissero la Perfezione” [37].
Il Sacro Corano è unanimemente ritenuto da tutte le correnti islamiche come un Libro completo, perfetto e intaccabile, e per nulla “mutilo”. Parola rivelata e diretta di Dio al Profeta Muhammad (S) tramite l’Arcangelo Gabriele, esso si presenta come “un Libro su cui non ci sono dubbi” (2: 2) e “una spiegazione per ogni cosa” (16:89). Nell’importante raccolta sciita di hadith ‘al-Kafi’ troviamo un capitolo intitolato “Tutte le necessità dell’essere umano sono contenute nel Libro e nella Sunnah” [38], con “Libro” intendendo ovviamente il Corano. Secondo alcune tradizioni, gli stessi Imam giurano inoltre che il Libro e la Sunnahcontengono senza dubbio tutto ciò di cui necessiti l’essere umano [39]. Ciò che contraddistingue gli sciiti rispetto ai sunniti è piuttosto il principio secondo cui, per comprendere il vero significato del Sacro Corano, dopo il Profeta (S) sia necessario attingere al magistero, all’insegnamento e alle spiegazioni dei dodici Imam dell’Ahl al-Bayt (as).
Parlando poi del sufismo Caputo afferma“che pur essendo nato all’interno del sunnismo (vedi la confraternita Naqshbandyyia) si è sviluppato molto velocemente nell’ambito della comunità sciita.” (pag. 106) Se per sufismo si intende la purificazione del cuore e la consacrazione totale − anima e corpo − a Dio, il Profeta e i dodici Imam dell’Ahl-al-Bayt ne rappresentano indubbiamente l’origine e la fonte, seppur non lo abbiano mai definito con tale termine (in arabo tasawwuf). Se invece si fa riferimento alla sua organizzazione in specifiche confraternite, quindi quello più tardo, allora esso è penetrato nella Shi’a solo sporadicamente, attraverso confraternite sufi tipo quella dei Nimatullahi e simili, che di fatto non hanno mai attecchito tra i circoli sapienziali né tra le popolazioni sciite.
Continuando con le inesattezze leggiamo poi che “Rispetto agli hadith sunniti, il Profeta degli sciiti occupa un posto molto ridotto, proprio perché la quintessenza dello Sciismo è l’Imamismo: il Logos, anziché umanizzarsi nel Profeta, si manifesta ugualmente nei Dodici Imam, a cominciare da Ali”. (pag. 113) Il Profeta degli sciiti è lo stesso dei sunniti, entrambi lo onorano e riveriscono, e nella Shi’a non occupa alcun posto ridotto. Come abbiamo già detto, secondo gli sciiti la conoscenza che possiedono gli Imam – tanto degli aspetti legali e sociali quanto di quelli dottrinali, spirituali e trascendenti − deriva proprio da quella del Profeta [40]. La Shi’a, secondo i suoi seguaci, non è infatti altro che il puro Islam e dunque la quintessenza della Shi’a non è altro che il Tawhid (l’Unità e Unicità di Dio, il Monoteismo). Il rapporto tra il Profeta e l’Imam è comunque esemplificato in maniera cristallina dall’Imam ‘Ali in quella che può essere considerata la più importante opera per gli sciiti dopo il Corano, il Nahjul Balagha: “Dal momento del suo [del Profeta, ndt] svezzamento, Allah ha collocato al suo fianco un potente angelo per accompagnarlo sulla via della nobiltà e le bellezze delle virtù giorno e notte, mentre io lo seguivo come un giovane cammello segue le orme di sua madre. Ogni giorno mi mostrava, come uno stendardo che guida, alcuni dei suoi tratti elevati e mi ordinava di seguirli. Ogni anno si recava in ritiro spirituale sul Monte Hira, dove nessun altro oltre me lo vedeva. In quei giorni l’Islam non esisteva in nessuna casa tranne in quella del Profeta di Allah e Khadija, mentre io ero il terzo dopo questi due. Vedevo e guardavo lo splendore della Rivelazione Divina e del Messaggio e respiravo il profumo della Profezia” [41].
Quanto al Logos, si tratta di un concetto greco ripreso poi dalla Chiesa Romana, che però non è mai stato accettato all’unanimità dai sapienti musulmani, non di rado anzi fortemente osteggiato.
Gli sciiti vengono poi descritti come “inclini a rimettere in discussione la versione ufficiale del Corano”, un noto cavallo di battaglia dei nemici della Shi’a e di alcuni orientalisti, ma del tutto privo di fondamenti. Per motivi di spazio ci limitiamo a riportare quello che è il caratteristico punto di vista sciita al riguardo, sintetizzato dall’eminente sapiente iracheno Allamah al-Muzaffar: “Il Corano è la Rivelazione divina che è stata rivelata da Allah al Suo Profeta (S) e tratta tutto ciò che è necessario per la guida dell’umanità. Esso è il Miracolo Eterno del Profeta che nessuna mente umana ha mai potuto imitare, sia nei termini della sua eloquenza e retorica, sia a livello delle conoscenze e delle verità che esso presenta. Questo Santo Libro non ha subito alcun cambiamento, modifica o alterazione. E il Corano che noi leggiamo oggi è esattamente quello che è stato rivelato al Nobile Profeta. Chiunque dica il contrario a tal proposito è un mistificatore, uno scettico, una persona nell’errore, e infatti Dio del Corano afferma «Non lo tange la falsità in nessuna della sue parti. È una rivelazione da parte di un Saggio, Degno di Lode» (41:42) bisogna dunque rispettare il Corano e farlo rivivere, sia nelle parole che negli atti di fede. È vietato profanare o macchiare di impurità le sue parole, anche una sola lettera, sapendo consapevolmente che essa ne faccia parte. Allo stesso modo è vietato, alla persona che si trova in uno stato di impurità, toccare le sue parole o le sue lettere. Dice il Corano che «solo i puri lo toccano» (56:79)” [42]. Rimandiamo coloro che volessero approfondire l’argomento della sedicente credenza sciita nella “distorsione” del Corano alla lettura di alcuni articoli e saggi presenti sul nostro sito [43].
Jihad minore e maggiore
Rispetto al Jihad leggiamo poi che “è sempre in quegli anni (invasione sovietica dell’Afghanistan, ndr) che il concetto religioso di “Jihad” da battaglia di vita interiore si mette al servizio della guerriglia.” (pag.116) Nella lingua araba il vocabolo Jihad letteralmente significa “sforzarsi”, “impegnarsi duramente per qualcosa”. Nella terminologia islamica, desunta dal Sacro Corano e dagli hadith, esso conserva il significato letterale in due differenti dimensioni, che vengono definite come Jihad al-akbar (maggiore) e Jihad al-asghar (minore). Il Jihad al-akbar è la lotta che la persona deve combattere contro il proprio ego e le proprie passioni, mentre il Jihad al-asghar è la lotta armata materiale contro i nemici fisici dell’Islam: si tratta di due combattimenti, spirituale e fisico, complementari, che esistono sin dall’epoca del Profeta. La distinzione tra i due Jihad mostra indubbiamente la preminenza del primo, dovuta alla maggiore difficoltà che comporta e alla più subdola pericolosità del nemico – interno – da affrontare, senza che questo significhi tuttavia minimizzare o svilire l’importanza anche del secondo, essendo le due lotte intimamente correlate e interdipendenti. L’Imam Khamenei, nell’incontrare la famiglia del Generale Martire Qassem Soleimani nel giorno del suo funerale, ha perfettamente descritto l’intima connessione tra i due Jihad: “Questa lotta sulla Via di Dio è [prima di tutto] un combattimento interiore. Ogni Jihad esteriore è basato su un Jihad interiore: il combattente che senza paura affronta il nemico, e in qualsiasi fronte sia presente non viene scalfito da stanchezza, freddo o preoccupazioni, se non fosse uscito dapprima vincitore dal suo Jihad maggiore non avrebbe potuto agire così. Il Jihad esteriore si fonda quindi su quello interiore” [44].
I versetti coranici che trattano del Jihad minore sono numerosi, molti dei quali – seppur spesso snaturati e distorti [45] − ben noti anche ai più. Meno conosciute invece le tante narrazioni (hadith) sull’argomento presenti sia nelle raccolte sunnite che sciite. Per motivi di spazio ne citiamo due, che ben chiaramente esemplificano l’importanza e il rango del Jihad esteriore nell’Islam. L’Imam ‘Ali dice: “Non vi è dubbio che il Jihad sia una porta al Paradiso che Iddio ha aperto per i Suoi amici eletti. È l’abito della taqwa (consapevolezza di Dio), l’armatura impenetrabile di Dio e lo scudo degno di fiducia. Iddio rivestirà coloro che si astengono dal prender parte al Jihad con un abito di umiliazione e un mantello indegno” [46]. E il Santo Profeta (S) ha detto: “La morte di colui che non ha compiuto il Jihad, e non ha avuto neanche il desiderio di compierlo, equivarrà a quella di un ipocrita (munafiq)” [47].
Il martirio dell’Imam Husayn, Ashura e Arbain
In relazione alla tragica e centrale vicenda di Ashura leggiamo che l’Imam Husayn “decise di partire insieme ai suoi seguaci ed alcuni familiari, tra cui donne e bambini, per liberare Karbala” (pag. 152), quando l’obiettivo della sollevazione dell’Imam non era quello di liberare o conquistare un particolare territorio (Karbala all’epoca era peraltro una piana deserta), ma di rifiutare la richiesta coercitiva di giurare obbedienza al Califfo usurpatore dell’epoca e rendere consapevole la Comunità Islamica dell’illegittimità religiosa di quel potere [48]. La successiva morte del nipote del Profeta, ci viene poi detto, avrebbe “inventato il culto del martirio” (pag. 151). Quello del martirio (shahadat) è in realtà un concetto, anche qui come nel caso del Jihad, che affonda le sue radici e sacralità nel Sacro Corano e negli hadith del Profeta e dei dodici Imam. Un saggio dell’Ayatullah Motahhari intitolato “Il Martire”, da noi recentemente tradotto in italiano, ben descrive tutto ciò [49].
In riferimento ad Ashura si afferma poi che “oggi i sunniti la considerano come l’esaltazione di una scissione che ha indebolito l’Islam”, e che “è col martirio di Hussein che si consolida la ‘fitna’ il grande litigio, tra sciiti e sunniti”. (pag. 151) Le tristi vicende di Ashura sono in realtà state commemorate per secoli, e in diverse nazioni ciò continua ancora oggi, tanto da sunniti quanto da sciiti. Seppur questi ultimi vi abbiano riposto una particolare enfasi per ovvie ragioni, è scorretto ritenere che ne abbiano sempre avuto il monopolio. L’eminente esegeta, giurista, mistico e storico sunnita del quattordicesimo secolo Jalal al-Din as-Suyuti, nella sua importante opera “Tarikh al-Khulafah” (La storia dei Califfi), nel parlare dell’Imam Husayn e della tragedia di Ashura, dopo aver maledetto il suo assassino, Ibn Ziyad e Yazid, scrive: “Egli venne ucciso a Karbala e il racconto della sua morte è una lunga storia che il cuore non può sopportare (…) E quando al-Husayn venne ucciso il mondo si fermò per sette giorni, il colore del sole diventò come quello delle lenzuola sbiadite, e le stelle si scontravano le une con le altre. La sua morte avvenne il 10 di Muharram, quel giorno vi fu l’eclisse solare e l’orizzonte del cielo per sei mesi divenne rosso dopo la sua morte. E dopo quel giorno nel cielo è rimasto un rossore che prima di allora non esisteva. È stato detto che quel giorno a Gerusalemme nessuna pietra venne capovolta senza che sangue fresco vi venisse rinvenuto sotto…” [50].
Un sapiente sunnita contemporaneo invece, Shaykh Faysal Mawlawi, già vicepresidente del Consiglio Europeo della Fatwa e della Ricerca, in un articolo significativamente intitolato “Karbala: Lessons for the Muslim Community” (Karbala: lezioni per la Comunità Islamica), scrive: “La rivoluzione compiuta dall’Imam Al-Husayn non è stata una ribellione contro un governante legittimo; fu una rivoluzione contro un dittatore tiranno, Yazid Ibn Muʻawiyah, che privò la Ummah del diritto di scegliere i suoi governanti (succedendo a suo padre al califfato). Era inoltre noto per essere corrotto e dissoluto. La maggior parte dei sapienti sunniti e gli altri [sapienti] concordano su questo, e Ibn Hajar lo ha riportato nella sua opera “As-Sawaʻiq Al-Muhreqah”. Attraverso la sua rivoluzione, l’obiettivo dell’Imam Al-Husayn non era affatto quello di sostenere gli sciiti (…) Lo scopo della rivoluzione dell’Imam Al-Husayn, come egli stesso dichiarò, era “Rettificare la Comunità di mio nonno (Profeta Muhammad, pace e benedizioni su di lui)“. Ciò implica il porre fine a tutti i tipi di corruzione e deviazione dalla Retta Via in modo che l’Ummah possa tornare nuovamente unita. L’unione della Ummah non può essere raggiunta con l’esistenza della corruzione; si dice che il Messaggero di Allah (S) abbia detto: “La mia Ummah non sarà unita nel (sostenere) l’errore”. [Abu Dawud] (…) Qui vorrei fare riferimento al fatto che i musulmani a quel tempo non erano divisi in sunniti e sciiti nel modo in cui sono conosciuti oggi. Ad ogni modo, tutti i musulmani credevano allora che il trasferimento del califfato da Muʻawiyah a suo figlio Yazid tramite eredità fosse illegale e che Al-Husayn, essendo una persona pia, onesta e coraggiosa, fosse più degno di essere il califfo. (…) Non saremo puniti da Allah per gli errori storici commessi da altri. Verremo puniti piuttosto se ripetiamo tali errori e contribuiamo ulteriormente alla disintegrazione della nostra Ummah, mentre essa affronta il nemico più pericoloso, che compie ogni sforzo per dominarla. Al-Husayn era un Imam per tutti i musulmani, sunniti e sciiti. È vero che solo una minoranza lo ha difeso mentre la maggioranza dei musulmani, compresi gli sciiti che lo avevano esortato ad affrontare Yazid, non sono andati a combattere con lui. Ma uno sguardo corretto a quello che è successo in seguito mostra che i musulmani si sono uniti. Lo hanno fatto sostenendo Ibn Az-Zubayr nella sua rivoluzione contro Yazid. I Compagni e i loro veri seguaci sono rimasti nelle loro case a Medina, rifiutando di giurare fedeltà a Yazid, e i musulmani hanno respinto la violazione di Yazid della santità di Medina e della sua gente” [51].
Il martirio dell’Imam Husayn nel giorno di Ashura ci viene spiegato con la sua solita chiarezza dal Segretario Generale di Hezbollah del Libano, Seyyed Hassan Nasrallah: “L’Islam del quale [il califfo illegittimo] Yazid voleva distruggere le fondamenta − cioè l’Ahlulbayt, i Compagni Muhajirin e Ansar, da Medina a Mecca − è rimasto. Questo Islam è rimasto ed è cresciuto dal punto di vista della quantità e della qualità e si è diffuso fino ad arrivare oggi ad un miliardo e mezzo di seguaci. Tutte le scuole islamiche devono la loro esistenza al sangue e al sacrificio dell’Imam Husayn a Karbala. Se non fosse stato per lui, tutto sarebbe stato cancellato e anche le scuole islamiche non sarebbero esistite. La contesa era tra Islam e Jahiliyah (ignoranza pre-islamica). Yazid nutriva una profonda ostilità verso il Profeta Muhammad e la sua religione, ma l’Islam è rimasto. Ed è per questo che alcuni degli ulamà, interpretando il detto del Profeta in cui dice “Husayn è da me e io sono da Husayn”, dicono che il significato della prima parte è evidente. Ma qual è il significato di “io sono da Husayn”? Come può il Profeta appartenere a Husayn? Ciò viene interpretato con il fatto che la permanenza dell’Islam è avvenuta grazie a Husayn (as)” [52].
Nel prosieguo troviamo che agli sciiti Ashura “ricorda che l’essenza della loro religione non sta nelle opere ma nella fede” (pag. 155). Nell’Islam, tanto nella versione sciita quanto sunnita, quale via spirituale composta da dottrina, prassi e purificazione interiore, fede ed opere costituiscono un binomio indissolubile, come ci ricordano molti versetti del Sacro Corano: “In verità coloro che avranno creduto e avranno compiuto il bene, avranno assolto l’orazione e versato la decima, avranno la loro ricompensa presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti” (2: 277, ma anche 2:25; 2:82; 3: 57; 4: 57; 4: 122; 4: 173; 5: 9; 7: 42; 10: 9).
Il Profeta dice: “La fede è conoscenza interiore per mezzo del cuore, attestazione con la lingua e azione con gli arti” [53]. Sempre il Profeta insegna inoltre: “La fede e le opere sono come due fratelli, legati l’uno all’altro ad un’unica corda. Dio non accetterà l’uno senza l’altro” [54]. E l’Imam ‘Ali: “Se la fede fosse [costituita] da mere parole, allora il digiuno, la Preghiera rituale, il lecito e l’illecito non sarebbero stati prescritti” [55]. E ancora l’Imam ‘Ali, che in maniera cristallina fornisce una profonda e illuminante spiegazione dell’Islam: “Definisco per voi l’Islam in un modo in cui nessuno ha osato farlo prima. Islam significa obbedienza a Dio; obbedienza a Dio significa avere sincera fede in Lui; fede sincera significa credere nel Suo Potere; credere nel Suo Potere significa riconoscere e accettare la Sua Maestà; accettare la Sua Maestà significa adempiere ai doveri che Lui ha stabilito; e l’adempimento dei doveri significa azione”[56]. E sempre dall’Imam ‘Ali apprendiamo: “La fede è conoscenza del cuore, conferma della lingua e azione delle membra” [57]. L’interdipendenza tra fede, opere e purificazione interiore e la loro vitale importanza è stata particolarmente enfatizzata, fra gli altri, anche da uno dei massimi mistici sciiti di ogni tempo, Molla Sadra Shirazi [58].
L’Imam Husayn lasciò Medina andando volontariamente, consapevolmente, incontro al martirio. Se fosse stata sufficiente la mera fede, l’Imam sarebbe rimasto più comodamente a Medina, città sicura e sovraffollata di sapienti armati di “sola” fede. Egli invece intraprese il proprio Jihad, sia interiore che esteriore, testimoniando che la fede autentica e intensa si manifesta nelle opere, e che solo con il sacrificio è possibile portare a compimento il profondo messaggio dell’Islam. L’obiettivo dell’Imam Husayn, secondo le sue stesse parole, era quello di rettificare la Ummah dalle deviazioni che vi erano penetrate, ordinando il bene e vietando il male. Dunque azioni frutto di una fede e di un amore radicati in Dio, e non un generico e superficiale sentimento privo di manifestazione e riscontro nel mondo esterno, limitato alla sfera privata e interiore. E proprio quella condizione di abbandono assoluto (tawakkaltu) nell’Altissimo che ha dato vita alle note gesta eroiche nella battaglia di Karbala ha portato gli sciiti a considerare, nel corso dell’intera storia, l’Imam Husayn ed Ashura come una continua fonte di ispirazione e un modello esemplare di sacrificio, lotta, coraggio, fedeltà, determinazione, perseveranza, rivoluzione e martirio [58].
Altrove la ricorrenza di Arbain, quarantesimo giorno dall’anniversario del martirio dell’Imam Husayn, nella quale una moltitudine di credenti di ogni nazione si reca a Karbala in visita al suo mausoleo, viene messa in competizione con l’Hajj (pag. 152 e pag. 181), laddove è bene sottolineare che il Pellegrinaggio nella città santa di Mecca (Hajj) è uno dei principali obblighi (wajibat) che ogni musulmano deve rispettare almeno una volta nella propria vita, mentre il pellegrinaggio (ziyarat) al mausoleo dell’Imam Husayn a Karbala, sebbene fortemente raccomandato (mustahab), non rientra tra gli obblighi dell’Islam.
Quanto alla comparazione delle interpretazioni psicoanalitiche dei riti di lutto dello studioso Ernesto De Martino a quelle per il martirio dell’Imam Husayn, facciamo notare come si muovano su un piano spirituale non comparabile, oltre che in un contesto diverso, e il loro accostamento risulta riduttivo se non altamente improprio.
Conclusione
Come abbiamo detto all’inizio, il libro è senza dubbio scritto in buona fede e con propositi concilianti, ma le buone intenzioni non sono spesso sufficienti. Il consiglio che possiamo quindi offrire al giovane autore è quello di approfondire maggiormente l’Islam e la scuola sciita, avvalendosi della consulenza di studiosi ed esperti sciiti, e studiando le opere scritte dalle autorità religiose della scuola dell’Ahl-al-Bayt e non da terzi, onde poter conoscere – ed eventualmente far conoscere – i suoi autentici e veri insegnamenti.
Note alla recensione
1) Il primo ad utilizzare questa espressione è stato il re giordano Abdullah, durante un’intervista con “The Washington Post” l’8 dicembre 2004. Lo spettro sciita venne agitato poco dopo anche dal dittatore egiziano Mubarak. Rileva giustamente la studiosa Sabrina Mervin che l’espressione “‘Mezzaluna sciita’, una costruzione semplice e accattivante, ha fatto scorrere molto inchiostro, probabilmente troppo, ma non tiene conto di una realtà complessa e mutevole. Lì non vi è né una mezzaluna né un arco a formare un blocco omogeneo sotto la direzione della Repubblica islamica dell’Iran, ma piuttosto una raccolta di spazi non contigui distribuiti su un’area molto più ampia del solo Medio Oriente. Dall’Africa alla Cina vi sono zone che ospitano minoranze e talvolta maggioranze di Sciiti Duodecimani, senza contare la diaspora in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Quindi preferiamo parlare qui di mondi sciiti, come è comune parlare di mondi musulmani, attentamente indicati al plurale, perché questi mondi appartengono a diverse sfere sociolinguistiche e sono radicati in diverse culture locali” (cfr. l’introduzione al suo “The Shia worlds and Iran”, London, Saqi Books, 2000, p. 9: https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-01801449/document). Sulla consistenza di questa sedicente “mezzaluna sciita” consigliamo la lettura del saggio in lingua inglese del docente universitario iraniano Kayhan Barzegar “Iran and The Shiite Crescent: Myths and Realities”, Autunno/Inverno 2008, scaricabile online su: https://www.belfercenter.org/publication/iran-and-shiite-crescent-myths-and-realities.
2) L’utilizzo dell’espressione, diventata molto comune sulla stampa statunitense e israeliana subito dopo l’intervista al re Abdallah, è stato ovviamente ripreso anche da importanti autorità politiche e militari americane e israeliane, dal Segretario di Stato USA Pompeo (cfr. https://id.usembassy.gov/the-restoration-of-deterrence-the-iranian-example/ ehttps://www.csis.org/analysis/discussion-national-security-cia-director-mike-pompeo) al Generale Petraeus (https://www.pri.org/stories/2020-01-03/gen-petraeus-qasem-soleimani-s-killing-its-impossible-overstate-significance) fino al ministro israeliano Michael Oren (https://www.outlookindia.com/website/story/we-do-have-a-dog-in-between-the-shia-sunni-fight-says-israels-deputy-minister-fo/303426), solo per citarne alcuni.
3) Sia l’Imam Khamenei che Seyyed Hassan Nasrallah hanno infatti respinto simili pretese e denunciato ripetutamente questo tentativo di sedizione orchestrato da Stati Uniti e Israele. Si vedano ad esempio i discorsi tenuti dalla Guida della Rivoluzione Islamica il 4 giugno 2015 (cfr. https://english.khamenei.ir/news/2081/Leader-s-speech-on-26th-demise-anniversary-of-Imam-Khomeini-r-a), il 10 ottobre 2006 (cfr. http://english.khamenei.ir/news/7223/Supreme-Leader-s-Friday-Prayer-Address), il 13 ottobre 2006 (https://english.khamenei.ir/news/1992/Leader-s-Speech-in-Meeting-with-Government-Officials) e il 21 marzo 2007 (http://english.khamenei.ir/news/1609/Leader-s-Speech-at-Imam-Reza-s-a-s-Shrine). Il Segretario di Hezbollah vi ha fatto invece riferimento sia in un discorso tenuto nel gennaio 2007 che in un altro del 10 luglio 2015 (si legga la nostra traduzione integrale del suo discorso in occasione della Giornata mondiale di Gerusalemme: http://islamshia.org/discorso-di-s-h-nasrallah-per-la-giornata-mondiale-di-al-quds-gerusalemme/)
4) Il rinomato giornalista Seymour M. Hersh ha denunciato il progetto politico americano che vi si celava dietro in un articolo apparso sul “The New Yorker” il 26 febbraio 2007 (cfr. https://www.newyorker.com/magazine/2007/03/05/the-redirection). Anche il docente iraniano Amir M.Haji-Yousefi ha ben sintetizzato l’agenda politica statunitense dietro lo spauracchio della “mezzaluna sciita” nel suo articolo “Whose Agenda Is Served by the Idea of a Shia Crescent?”, in “Alternative”, Turkish Journal of International Relations, vol. 8, numero 1, Primavera 2009 (in particolare pag. 128-130) cfr. https://dergipark.org.tr/tr/download/article-file/19525.
5) Per approfondimenti si legga il paragrafo sulla “forma generale della Wala positiva” all’interno dell’articolo “L’intimità divina” dell’Ayatullah Motahhari, uno dei discepoli prediletti dell’Imam Khomeyni e di Allamah Tabataba’i: http://islamshia.org/lintimita-divina-wala/
6) Si tratta della lettera del 10 novembre 1979 tradotta in italiano in: Ruhollah Khomeyni “Lettera al Papa”, Edizioni all’Insegna del Veltro, 1980; il testo è presente anche in: Imam Khomeyni “La vita, la lotta, il messaggio”, CCIE, 1989.
7) Uno dei principali teorici della Rivoluzione e tra gli architetti della Costituzione islamica iraniana, studente dell’Imam Khomeyni e di Allamah Tabataba’i, fiero militante rivoluzionario più volte incarcerato dallo Shah, nella neonata Repubblica Islamica ricopriva l’importante incarico di Capo della Magistratura quando nel 1981 venne assassinato, insieme ad altri 71 importantissimi membri, in un vile attentato dei terroristi del MKO alla sede del Partito della Repubblica Islamica a Teheran.
8) Cfr. http://www.ahl-ul-bayt.org/en/introducing-the-assembly/aims-and-objectives
9) Cfr. Ibn Giubayr, “Viaggio in Sicilia e in altri paesi del Mediterraneo”, Sellerio, 1981.
10) Cfr. Ibn Battuta, “I viaggi”, Einaudi, 2018.
11) Cfr. Imam Musa Sadr, “Gam be gambaEmam” (12 volumi), Moassese Farhangi Tahqiqati Emam Musa Sadr, Teheran, 2017. Alcuni, per poterlo contrapporre all’Imam Khomeyni, hanno cercato di creare un’immagine artificiale dell’Imam Musa Sadr, nella quale viene presentato come un pacifista secolarizzato, un “Ghandi sciita”, dimenticando che fu un acceso sostenitore della Rivoluzione Islamica, che in Libano fondò un movimento politico di natura religiosa che possedeva un’ala armata (Amal), che dichiarò guerra totale a Israele (definito il “male assoluto”) fino alla liberazione completa di Gerusalemme e dell’intera Palestina, e che aveva come amato e fidato braccio destro il martire Mustafa Chamran, eroe e mistico che passò l’intera seconda parte della sua vita ad addestrare combattenti islamici e anti-imperialisti di varie nazionalità e che fu il fondatore dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Pasdaran) in Iran, prima di diventare martire nella Guerra Imposta nel 1981.
12) Il diplomatico iraniano rivelò che l’Imam Khomeyni inviò in tutto solamente due messaggi privati ad Assad. L’altro riguardava la scomparsa dell’Imam Musa Sadr, nel quale chiedeva di adoperarsi per trovare notizie e informazioni sul suo destino (cfr. http://www.imam-khomeini.ir/fa/n132157/%D9%BE%DB%8C%D8%A7%D9%85_%D9%85%D8%AD%D8%B1%D9%85%D8%A7%D9%86%D9%87_%D8%A7%D9%85%D8%A7%D9%85_%D8%A8%D9%87_%D8%AD%D8%A7%D9%81%D8%B8_%D8%A7%D8%B3%D8%AF).
13) Del testo esistono due traduzioni in lingua inglese: “Occidentosis. A Plague From the West” (Mizan Press, 1984) e “Gharbzadegi: Weststruckness” (Mazda, 1983). In italiano è disponibile la traduzione del primo capitolo, curata da Simone Ruffini e consultabile su: http://meykhane.altervista.org/QMEY_6-_2RUFFINI-GharbzadegixQSIM6.pdf
14) Alcuni eminenti ulamà come l’Ayatullah Motahhari, l’Ayatullah Beheshti, l’Ayatullah Mesbah e, sopra a tutti loro, il loro maestro Allamah Tabataba’i, giunsero a pubblicare dei comunicati nei quali denunciavano le distorsioni presenti in alcuni scritti di Shariati.
15) Cfr. A. Shariati “L’individuo, il marxismo e l’Islam”, CCIE 1985. In esso ad esempio possiamo leggere: “Il Marxismo, fra tutte le scuole materialistiche, è il più acceso nemico della religione e il movimento più violento e fanatico, nella misura in cui usa per i suoi attacchi la logica più fragile, infondata e ambigua”. (pag. 53)
16) Cfr. “Ali Shariati sulla Wilayat al-Faqih”: http://islamshia.org/ali-shariati-sulla-wilayat-al-faqih/
17)Cfr. “Dr. Ali Shariati loved Imam Khomeini so dearly: Ayatollah Khamenei”, racconto presente sul sito ufficiale della Guida della Rivoluzione: https://english.khamenei.ir/news/3945/Dr-Ali-Shariati-loved-Imam-Khomeini-so-dearly-Ayatollah-Khamenei
18) Cfr. M.H. Panahi “The Islamic Revolutions and its slogan”, Department of Islamic Revolution Studies, Islamic Culture and Relations Organization, 2001, Teheran.
19) Si legga ad esempio il nostro articolo “La Rivoluzione Islamica dell’Iran nella stampa e nei diari dei diplomatici italiani dell’epoca”: http://islamshia.org/la-rivoluzione-islamica-delliran-sulla-stampa-e-nei-diari-dei-diplomatici-italiani-dellepoca/
20) Cfr. l’opera del Vice-Segretario di Hezbollah Shaykh Naim Kassem “Hizbullah: The Story from Within”, Saqi, Londra, pag. 50-58. Tra i molti disponibili, si leggano i seguenti discorsi del Segretario Generale di Hezbollah: “Il discorso di Nasrallah sul pensiero dell’Imam Khamenei”: http://islamshia.org/il-discorso-di-seyyed-nasrallah-sul-pensiero-dellimam-khamenei/(in italiano) e https://thesaker.is/important-speech-by-hezbollah-secretary-general-hassan-nasrallah-about-the-recent-elections-in-lebanon/e http://vineyardsaker.blogspot.com/2008/05/resistance-and-liberation-day-speech-by.html(in inglese). Si veda anche il seguente video sottotitolato in inglese di un giovanissimo Seyyed Nasrallah: https://www.youtube.com/watch?v=Fa6eX3f3KEE; lo stesso video è disponibile anche con sottotitoli in francese: https://www.youtube.com/watch?v=XCk10AYs8sE
21) In italiano si leggano ad esempio, da noi tradotti: “Discorso della moglie del Martire Sadrzadeh”: http://islamshia.org/2376-2/ e “Testamento del Martire Mohsen Hojaji al figlio di 2 anni”: http://islamshia.org/testamento-del-martire-m-hojaji-al-figlio-di-3-anni/
22) Per coloro che volessero familiarizzare con Hafez e il linguaggio tipico della mistica islamica consigliamo M. Motahhari “La contemplazione del Mistero. Cinque discorsi sul misticismo di Hafez” (I Versanti, 2000) e il paragrafo sul “lessico gnostico” contenuto in M. Motahhari/Imam Khomeyni “La via spirituale” (Semar, 2002), pag. 65-72. Si consiglia anche, in francese, Amélie Neuve-Eglise “Le vin dans la poésie gnostique à travers l’exemple de Hâfez: de l’ivresse terrestre à l’extase spirituelle”: http://www.teheran.ir/spip.php?article1235#gsc.tab=0
23) In lingue occidentali, sugli Alawiti, di opere accademiche, non giornalistiche, scritte dopo anni di studi, conoscenze linguistiche e accesso diretto alle fonti originali, ne esistono diverse. Tra queste possiamo certamente citare: Y. Friedman “The Nuṣayrī-‘Alawīs. An Introduction to the Religion, History and Identity of the Leading Minority in Syria” (Brill, 2010); Meir B. Bar-Asher e Aryeh Kofsky “The Nusayri-‘Alawi Religion: An enquiry into its theology and liturgy” (Brill, 2002); S. Winter “A History of the ‘Alawis: From Medieval Aleppo to the Turkish Republic” (Princeton University, 2016).
24) A tal proposito è interessante notare come in una ricerca che venne curata da Laura Guazzone e che prendeva in esame la modalità con la quale i quotidiani italiani descrivevano una serie di azioni violente messe a segno da gruppi palestinesi sia in Italia che all’estero tra il settembre e l’ottobre del 1985 – quindi ben dopo gli eventi di Monaco, ma anche successivamente alla vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran e all’emergere della Resistenza Islamica in Libano – nel descrivere quegli atti l’aggettivo “islamico” non compaia mai. L’accento viene infatti riposto sull’elemento nazionale o tutt’al più etnico, mai religioso, parlando di “terrorismo palestinese” o “arabo”. Cfr. “Fabbricanti di terrore. Discriminazioni antiarabe nella stampa italiana”, Sapere 2000, Roma, 1986.
25) Cfr. S.M. Rizvi “Origini della Shi’a: politica o religiosa?” http://islamshia.org/origine-della-shia-politica-o-religiosa-2/
26) Cfr. l’articolo: “Corbin ed altro”: http://islamshia.org/corbin-ed-altro-r-arcadi/
27) Per una critica al metodo di selezione e di utilizzo delle fonti sciite da parte di Amir-Moezzi consigliamo la lettura di “Was the Worldview of the Early Imamiyya Deterministic and Dualistic?: Analysis of Hadith Literature Written During the Minor Occultation”, di T. Hirano: https://repository.dl.itc.u-tokyo.ac.jp/?action=repository_action_common_download&item_id=51789&item_no=1&attribute_id=19&file_no=1; e K.D. Crow “Shi’i Spirituality: A Response to Amir-Moezzi”, in “Journal of Shia IslamicStudies”, Giugno 2012, pag. 295-315.
28) Y.C.Bonaud “Uno gnostico sconosciuto del XX secolo. Formazione e opere dell’Imam Khomeyni”, Il Cerchio, 2010, pag. 23.
29) Cfr. H. Algar “La fusione dello gnostico e del politico nella personalità e nell’opera dell’Imam Khomeyni”: http://islamshia.org/la-fusione-dello-gnostico-e-del-politico-nella-vita-dellimam-khomeyni-h-algar/ .
30) Al riguardo consigliamo l’articolo di S.M. Rizvi “La Wilayat e le sue dimensioni”: http://islamshia.org/la-wilayat-e-le-sue-dimensioni/
31) Cfr. C.Y. Bonaud “Sul maestro spirituale nell’Islam Sciita”: http://islamshia.org/sul-maestro-spirituale-nellislam-sciita-y-c-bonaud/
32) M.A. Amir-Moezzi “L’islam degli sciiti”, EDB, pag. 13, dove afferma che lo sciismo “non utilizzerà mai il termine “califfo” per riferirsi al suo capo.” (!)
33) Per fare un solo esempio, una delle principali raccolte di hadith sciite, “Al-Kafi”, dell’autorevole Shaykh al-Kulayni, nel primo volume riporta un paragrafo nel quale vengono raccolti alcuni hadith nei quali gli Imam vengono descritti come “califfi di Dio” (khalifatullah). Si consulti la traduzione in inglese: http://alhassanain.org/english/?com=book&id=1015. Un’altra opera sciita classica di hadith, compilata dall’eminente Shaykh as-Saduq, inizia con tradizioni raccolte sotto capitoli intitolati “Califfato prima della creazione”, “Necessità di obbedire al Califfo”, “Nessuno può scegliere un Califfo eccetto Allah Altissimo”, “Necessità di un unico Califfo in ogni epoca” e “Necessità dell’esistenza di un Califfo”. Cfr. “Kamal al-Din wa-Tamam al-Ni’mah” (Perfection of Faith and Completion of Divine Favor”), vol. 1, Ansariyan Publications, Qum, Iran, 2011, pag. 24-35.
34) “Usul al-Kafi”, vol. 1, p. 53, hadith n. 14.
35) Cfr. Miguel Asín Palacios “Dante e l’Islam. L’escatologia islamica nella Divina Commedia”, Parma, Nuove Pratiche Editrice, 1994.
36) Cfr. Mulla Fayd al-Kashani “Mi’raj The Night Ascension”, Ansariyan Publications, 2002, Qum; M.T. Misbah Yazdi “Journey of Love. An exposition of the Mi’raj Tradition”, ABWA, 2010, Teheran.
37) Cfr. Ruhollah Musawi Khomeyni-Mortaza Motahhari “La Via Spirituale”, Semar, 2002, pag. 6.
38) Cfr. “Usul al-Kafi”, Libro delle Virtù della Conoscenza, vol. 1, pp.59-62.
39) Alcuni detti su questo argomento sono citati da ‘Allamah Tabataba’i nella sua monumentale esegesi “Al-Mizan fi Tafsir al-Quran” (Beirut, 1390/1970), XII, 327-328. Esiste una traduzione parziale in inglese di questa opera, in dodici volumi, edita a Teheran dalla “World Organization forIslamic Services” (WOFIS).
40) In una tradizione presente in “Amali” di Shaykh Mufid e ritenuta “sahih” (autentica), Yahya b. Abdullah b. Al-Hasan chiese delucidazioni all’Imam Ridha (as) – l’ottavo dei dodici Imam dell’Ahl al-Bayt – sull’eventuale conoscenza dell’occulto (ilmul ghaib) da parte degli Imam della Shi’a. L’Imam Ridha gli rispose: “Per Dio! Non possediamo altro che ciò che abbiamo ereditato dal Profeta”.
41) Sharif ar-Razi “Nahjul Balagha. Sermons, letters and sayings of Imam Ali”, sermone n. 191, (Khutba al-Qasi’ah), CCIAA, Roma, 1984, pag. 393.
42) Cfr. Allamah al-Muzaffar “La dottrina dello Sciismo imamita (al-Aqaid al-Imamiyyah)”, Irfan Edizioni, pag. 34. Si tratta di un’opera che viene utilizzata negli studi preliminari di diversi seminari sciiti (hawzah).
43) Come ebbe ad affermare l’Imam Husayn (as) stesso: “Non mi sono sollevato [contro Yazid] come un insolente o un arrogante, né come un corrotto o un tiranno. Mi sono sollevato [contro Yazid] per rettificare la Ummah di mio nonno [il Profeta Muhammad]. Voglio ordinare il bene e proibire il male, e seguire il sentiero di mio nonno e di mio padre ‘Ali ibn Abi Talib”, in Al-Khatib al-Khuwarazmi, “Maqtalu ‘l-Husayn” (vol. I, p. 88), riportato in italiano in “Selezione di detti e lettere dell’Imam Husayn”: http://islamshia.org/detti-e-lettere-selezionati-dellimam-husayn/. Per approfondimenti sui motivi dell’insurrezione del nipote del Profeta e terzo Imam della Shia, cfr. S.M. Rizvi “La filosofia del sacrificio di Husayn e le nostre cerimonie di lutto” http://islamshia.org/la-filosofia-del-sacrificio-di-husayn-e-le-nostre-cerimonie-di-lutto-azadari-seyyed-muhammad-rizvi/
44) Cfr. “Il messaggio nella casa del Martire Hajj Qassem Soleimani” (in persiano) https://farsi.khamenei.ir/speech-content?id=44574
45) Cfr. S.M. Rizvi “Pace e Jihad nell’Islam”: http://islamshia.org/pace-e-jihad-nellislam-s-m-rizvi/
46) “Nahj al-Balagha”, vol. 1, p. 67.
47) “Sahih Muslim”, libro 33, capitolo 47, hadith 1910.
48) Cfr. “La Shi’a crede in un Corano differente?”: http://islamshia.org/la-shia-crede-in-un-corano-differente-2/; S.A. Rizvi “Il Sacro Corano e la sua protezione da qualsiasi alterazione”: http://islamshia.org/il-sacro-corano-e-la-sua-protezione-da-qualsiasi-alterazione-s-a-rizvi/; Ayatullah Hadavi Tehrani “La canonizzazione del Corano”: http://islamshia.org/la-canonizzazione-del-quran-ayatullah-hadavi-tehrani/; “Il Tahrif, versetti abroganti e abrogati”: http://islamshia.org/il-tahrif-versetti-abroganti-e-abrogati/
49) Cfr. Ayatullah Morteza Motahhari “Il Martire”; prima parte: http://islamshia.org/il-martire-prima-parte-ayatullah-motahhari/; seconda parte: http://islamshia.org/il-martire-seconda-parte-ayatullah-mutahhari/.
50) Jalaluddin as-Suyuti “History of the Caliphs”, Asiatic Society, 1881, Calcutta, pag. 211. Di questo autorevole sapiente sunnita in italiano è stato tradotta l’importante opera esegetica, scritta insieme a un altro dotto sunnita, il suo insegnante Jalal ad-Din al-Mahalli, con il titolo “Esegesi del Corano (Tafsir al-Jalalain)”, IISI, 2016, Milano.
51) Shaykh Faysal Mawlawi, “Karbala’: Lessons for the Muslim Community”, https://aboutislam.net/shariah/special-coverage-shariah/karbala-lessons-muslim-community/
52) Discorso di S.H. Nasrallah nella prima notte di Muharram del 1438 dell’Egira (2 ottobre 2016).
53) “Kanz al-‘Ummal”, n. 2.
54) “Kanz al-‘Ummal”, n. 59.
55) “Bihar al-Anwar”, v. 69, pag. 19, n. 2.
56) “Nahjul Balagha”,3:124.
57) “Bihar al-Anwar”, v. 66, p. 67
58) Cfr. Sadr al-Din Shirazi (Mulla Sadra) “Breaking the idols of ignorance. Admonition of the soi-disant sufi” (La distruzione degli idoli dell’ignoranza. Ammonizioni sui sedicenti sufi), ICAS Press, 2008. In italiano, su Mulla Sadra, cfr. S.H. “La vita, le dottrine ed il significato di Sadr al-Din Shirazi (Mulla Sadra): http://islamshia.org/la-vita-le-dottrine-ed-il-significato-di-mulla-sadra-s-h-nasr/.
59) In merito si leggano i seguenti articoli: Imam Khamenei “La lotta contro USA e Israele trae ispirazione dall’Imam Husayn”: http://islamshia.org/imam-khamenei-la-lotta-contro-usa-e-israele-trae-ispirazione-dalla-rivolta-dellimam-husayn/; Discorso di S.H. Nasrallah nel giorno di Ashura (2014): http://islamshia.org/discorso-di-s-h-nasrallah-nel-giorno-di-ashura-04112014/; S.H. Heydari “Husayn: il vero vincitore”: http://islamshia.org/husayn-il-vero-vincitore-s-h-heydari/; M.H. Abdekhoda’i “Dalla gnosi al martirio”: http://islamshia.org/dalla-gnosi-al-martirio-3/; S.A. Rizvi “Il concetto di martirio nell’Islam”: http://islamshia.org/il-concetto-di-martirio-nellislam-s-a-rizvi/; R. Arcadi “Husayn e la stazione del Martirio”: http://islamshia.org/husayn-e-la-stazione-del-martirio-2/; M. Tajik “Ogni giorno è Ashura, ogni luogo è Karbala”: http://islamshia.org/ogni-giorno-e-ashura-ogni-luogo-e-karbala-m-tajik/.