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Quell’Oleoductistán che disturba l’Arabia Saudita

di Cristina Amoroso

“Tra il rombo incessante nella giungla di Washington su una possibile azione militare dell’amministrazione Obama in Siria, ulteriori informazioni sono emerse. E che informazioni! Molto di più sull’Oleoductistán” così inizia l’ articolo di Pepe Escobar “Guerra contra Iran Irak y Siria?” appena pubblicato. Ma di cosa si tratta?

Se il XX secolo è stato caratterizzato dalle guerre all’insegna del petrolio, il XXI lo sarà all’insegna del gas. Il giornale Asia Times Online e altri siti riferiscono che la costruzione in fieri di questo gasdotto rappresenta una delle ragioni fondamentali per la guerra in Siria. A parte gli interessi di Washington, per i quali l’integrazione dell’Iran è un anatema, per il gasdotto si ignorano due giocatori stranieri cruciali in Siria: Qatar, il principale fornitore di armi per i “ribelli” (come produttore di gas), e la Turchia, il supporto logistico dei “ribelli” (che pretende di diventare crocevia di energia di base tra Est e Ovest).
Il gasdotto, con un costo di 10 miliardi di dollari e 6.000 km di lunghezza, lascerà il giacimento di gas di South Pars in Iran (il più grande del mondo, condiviso con Qatar) e passerà attraverso l’Iraq e la Siria e il Libano. Poi potrebbe andare sotto il Mediterraneo in Grecia e oltre, collegandolo al Arab Gas Pipeline, gasdotto che parte da Arish in Egitto e arriva fino a Tripoli in Libano.

“Immaginate il ministro del petrolio iracheno, Abdelkarim al-Luaybi, il ministro del Petrolio siriano Sufian Allaw, e l’attuale ministro del petrolio vice presidente iraniano, Mohammad Aliabadi che si incontrano nel porto Assalouyeh nel sud dell’Iran, a firmare un protocollo d’intesa per la realizzazione dell’ OleoductistánIran-Iraq-Siria, niente di meno”.

I tre gruppi di lavoro hanno discusso i complessi aspetti tecnici, la questione finanziaria e tecnico-giuridica. Una volta assicurato il finanziamento, che non è sicuro data la guerra per procura contro la Siria, il gasdotto potrebbe entrare in funzione nel 2018. Teheran si aspetta che l’accordo finale sia firmato prima della fine del 2013.

L’ipotesi di lavoro per Teheran è quella di esportare 250 milioni di metri cubi di gas al giorno dal 2016. Una volta completato, il gasdotto potrà pompare 100 milioni di metri cubi al giorno. Attualmente l’Iraq ha bisogno fino a 15 milioni di metri cubi. Nel 2020, la Siria avrà bisogno fino a 20 milioni di metri cubi, e Libano a 7 milioni di metri cubi. Resta molto gas da esportare ai clienti europei. Gli Europei, che si lamentano di essere troppo dipendenti dal gas russo della Gazprom, dovrebbero gioire. Invece, ancora una volta, sono dipendenti mentali di chi non fa i loro interessi.

Prima di raggiungere altri fiaschi gli Europei dovrebbero collegare l’affare del gasdotto con la nuova “scoperta” del Pentagono, attraverso il vice direttore della Defense Intelligence Agency (DIA), David Shedd, per il quale la guerra nel nome della Siria potrebbe durare “molti anni”. Se ciò accadesse, addio gasdotto.

Dal 2011 le volpi del Pentagono hanno annunciato ogni settimana l’imminente caduta di Bashar al-Assad, ogni settimana. Poi  hanno anche “scoperto” che i jihadisti del tipo di Jabhat al-Nusra e Al Qaeda in Iraq sono quelli che dirigono realmente l’esecuzione dello spettacolo orribile dello scenario siriano.

Ed entra nel ring Gen. Martin Dempsey, presidente del Joint Chiefs. Lo stesso giorno in cui Teheran, Baghdad e Damasco stavano trattando seriamente il business dell’energia, Dempsey ha detto ai senatori americani guerrafondai il fatto che gli Stati Uniti si sarebbero impegnati in un’altra guerra con “conseguenze non volute”.

Dempsey ha anche messo in guardia sui costi di un’ eventuale guerra che può costare “miliardi” di dollari. Anche se Dempsey è presentato come il poliziotto buono e la “voce della ragione”, – piuttosto sorprendente in sé, ma è stato in Iraq e vissuto in prima persona i calci di un sacco di turbanti armati di kalashnikov di seconda mano – gli esperti americani seguono il dibattito all’interno dell’amministrazione Obama circa la saggezza di imbarcarsi in un’altra avventura militare, suggerita e spinta da un principe saudita che fa e disfa da solo la politica bellica americana e di conseguenza quella occidentale, dal medioriente al Pakistan, fino alla Somalia. Un uomo da conoscere meglio: BANDAR BUSH .

E’ un’ombra che da trentacinque anni tesse la sua tela sullo sfondo di tutto ciò che accade in Medio Oriente e dintorni, dal finanziamento dei mujaheddin afghani, alla guerra in Iraq e recentemente alla Siria, all’Egitto, al Libano: il principe Bandar al Sultan, capo dei servizi segreti sauditi, per amici e nemici Bandar-Bush, dalla volta che George W. disse che era uno di famiglia. E infatti avvisò prima lui del segretario di stato Colin Powell della decisione di invadere l’Iraq.

Dato in disgrazia, dato per morto, a 64 anni è sempre lì a distribuire valigiate di petroldollari in difesa dell’unico principio della politica saudita: che nulla cambi intorno al regno integralista più conservatore del mondo. Ora il suo obiettivo numero uno è l’Iran (un giorno disse che per Riad è meglio Israele) e per arrivarci deve passare dalla Siria e dal Libano. Nel frattempo, grazie a lui le velleità internazionali del Qatar sono state annichilite e le casse dei generali egiziani sono state riempite perché cancellassero i Fratelli musulmani, islamici sì ma troppo autonomi.

Ma l’astuzia non sempre premia i suoi disegni di grandezza. Quanto ha offerto alla Russia per poter comprare la Siria? Secondo “Russia Today”, che cita un diplomatico europeo anonimo, Bandar ha messo sul tavolo un contratto per 15 miliardi di dollari in acquisto di armi russe. In cambio chiedeva un favorino: mollare Assad e non bloccare un’eventuale risoluzione Onu per una No-Flying Zone sulla Siria. Non solo, come ha raccontato Pepe Escobar su “Asia Times Online”, una volta controllata la Siria, Riad garantiva che nessun Paese del Golfo avrebbe investito nel gasdotto per portare in Europa il gas qatariota attraverso il paese “liberato”, lasciando così il cappio di Gazprom intorno al collo dell’Unione. Ma Putin non ha bisogno dei soldi sauditi, teme piuttosto che il salafismo estremista, finanziato da Riad, arrivi a infiammare il Caucaso, dopotutto tra Grozny e Aleppo ci sono solo 900 chilometri. “La spia riapparsa ignora un futuro inevitabile, un terribile boomerang, ciò che è allarmante è che l’amministrazione Obama lo sostiene”.

Cosa farà allora Bandar il Liberatore? Beh, può sempre volare con  il suo jet privato a Dallas e rilasciare i suoi dispiaceri in un mare di whisky di malto forniti dalla Camera di Bush.

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