Provocazioni Usa nel Mar Nero e nell’Est Europa
di Salvo Ardizzone
Il 6 giugno, il cacciatorpediniere della Marina americana Uss Porter è entrato nel Mar Nero; appartiene al Destroyer Squadron 60 di stanza a Rota, una base dell’Us Navy in Spagna, nei pressi di Cadice.
Fra i compiti di quella formazione ci sono i pattugliamenti nel Mediterraneo e nel Mar Nero nell’ambito della prima fase dell’Epaa, l’iniziativa dell’Amministrazione Obama per una difesa antimissile balistico dell’Europa. La fase due è rappresentata dall’entrata in funzione della base di missili antimissile di Daveselu, in Romania, inaugurata il 12 maggio scorso; la fase tre sarà l’apertura, nel 2018, di una seconda base in Polonia.
L’ombrello antimissile Usa in fase di completamento, dietro la ridicola scusa ufficiale di coprire l’Europa da un attacco iraniano (!), è rivolto sfacciatamente contro la Russia, suscitando la crescente irritazione di Mosca. Allo stesso modo, l’ingresso dell’Uss Porter nel Mar Nero, invade volutamente un’area dove l’influenza russa è tornata cruciale ed è in via di significativo potenziamento la flotta della Federazione Russa.
Lo scopo neppure celato di quella che nei fatti è una sfida, al di là di inesistenti motivazioni concrete, è quella di tranquillizzare gli Stati dell’Est Europa che dopo aver seguito le politiche antirusse di Washington, ora pretendono la presenza Usa che li rassicuri.
Per tornare alla crociera del Uss Porter, il Mar Nero (come del resto il Mediterraneo) è da molto tempo estraneo ad interessi vitali americani, e d’altronde, la convenzione di Montreaux vieta al naviglio militare di Paesi non rivieraschi di rimanere in quelle acque per più di 21 giorni. La presenza di quell’unità serve soltanto ad alimentare il clima di tensione creato ad arte e dare conforto alle politiche antirusse di alcuni Paesi est europei (nel caso del Mar Nero, la Romania, con la quale Marina il Porter condurrà manovre congiunte).
Già nel 2014 e 2015 i caccia del Destroyer Squadron 60 erano entrati in quel bacino, e i russi avevano risposto con sorvoli che avevano sfiorato le unità; è assolutamente probabile che accada ancora.
Ma gli Usa stavolta non si sono fermati a questo: la portaerei Dwigth Eisenhower è entrata nel Mediterraneo per affiancarsi per due settimane all’Harry Truman che vi si trova già, con la scusa di condurre operazioni nei cieli siriani ed iracheni contro l’Isis (eterno alibi). Era dal 2003 che un Carrier Strike Group non vi stazionava e la presenza di ben due di essi nelle acque orientali di questo mare è un fatto del tutto eccezionale: una dimostrazione muscolare proprio dove incrociano le navi della Task Force russa. Malgrado gli ovvi accordi preventivi più o meno taciti, per evitare sviluppi imprevedibili, è evidente l’intenzione di montare volutamente la tensione.
Sono tutti atti calcolati che hanno l’unico scopo di continuare l’operazione iniziata col golpe di Euromajdan, sviluppatasi con la guerra e le sanzioni alla Russia e che ora procede di provocazione in provocazione per evitare qualunque distensione.
Un’operazione mirata a spezzare la vasta area di cooperazione naturale fra Ue e Russia, da cui gli Usa sarebbero stati esclusi, rinfocolando odi e suscitando contrapposizioni, un’operazione che reca costi altissimi riversati tutti sulle spalle dell’Europa.
Fa specie vedere un intero Continente assoggettarsi al gioco di Washington, seguendo gli assurdi revanscismi di alcuni Governi e accettando una sudditanza anche quando è puro autolesionismo.