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Brasile, il suicidio collettivo dell’intera classe politica

di Salvo Ardizzone

Si consuma sempre più veloce il suicidio collettivo dell’intera classe politica brasiliana: Eduardo Cunha, presidente della Camera e a cui si deve la regia dell’impeachment di Wilma Rousseff, è stato costretto alle dimissioni dalle inchieste che lo stanno schiacciando. Le lacrime patetiche con cui ha dato l’annuncio, sono il simbolo perfetto dell’irresponsabile inadeguatezza di un ceto dirigente che in blocco s’avvia all’azzeramento.

Cunha, fino a ieri uomo forte del Pmdb, ultraconservatore evangelista, era stato sospeso dall’incarico nel maggio scorso travolto dagli scandali per corruzione, abuso di potere e molto altro. Insieme al compagno di partito Michel Temer, aveva manovrato per spostare sulla Rousseff l’attenzione di media e magistratura, per tentare di riciclarsi. Ma la sua posizione era insostenibile: braccato dalle inchieste e abbandonato anche da Temer, che s’è guardato bene dal sostenerlo, è stato costretto alle dimissioni.

Adesso, abbandonato l’incarico di Presidente della Camera, è probabile che perda sia il seggio parlamentare che l’immunità che lo ha fin’ora protetto; quando accadrà (se non prima) gli osservatori sono concordi nel sostenere che le ripercussioni saranno pesantissime.

Cunha ha costruito la sua tramontata fortuna politica grazie alla conoscenza dei segreti di avversari ed alleati, e fra i media brasiliani circola già la notizia che abbia avvertito Temer, presidente ad interim del Brasile e fino a ieri suo alleato, che in prigione non ci andrà da solo.

È prevedibile, per non dire certo, che sta per aprirsi una faida del tutti contro tutti, nella quale l’intero establishment verrà coinvolto e spazzato via, senza distinzioni di partito. Verrà così a compimento il disegno di azzeramento di una classe politica inetta quanto corrotta, da parte di gruppi di potere economici che controllano i media, con l’aiuto di spezzoni di magistratura in cerca di visibilità e soprattutto potere.

Un azzeramento richiesto da chi, dalle parti della Casa Bianca e di Wall Street, mal sopportava sia l’eccessiva indipendenza della politica estera brasiliana, sia la spaventosa inadeguatezza delle opposizioni, giudicate comunque inaffidabili per tutelare i loro interessi.

Già, nel poco tempo trascorso dalla messa in stato d’accusa della Rousseff, Temer ha cominciato a smantellare le politiche sociali introdotte dal Partito dei Lavoratori, che con Lula hanno strappato decine di milioni di brasiliani dalla miseria. Ed ha pure intrapreso un rapido riavvicinamento agli Stati Uniti, sulla scia di quanto sta avvenendo in Argentina.

In prospettiva, con una situazione politica ed economica brasiliana che precipita, si realizzano le condizioni perfette perché una popolazione disgustata, martellata da media orchestrati, si affidi a “uomini nuovi” – ritenuti affidabili da chi manovra dall’esterno – pronti a prendere in mano il potere e completare l’avvicinamento agli Usa e la distruzione dello Stato sociale in nome del “risanamento” liberista.

Lascia l’amaro in bocca veder finire così il Brasile, un colosso che avrebbe potuto sostenere e indirizzare lo sviluppo sia politico che economico dell’area, e che per le colpe di una classe politica indegna finisce fra le braccia di chi sfrutterà in tutti i modi il suo Popolo e le sue tante risorse.

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