Potere e interessi dietro il massacro di Ouagadougou
La sera di venerdì, un gruppo fin’ora stimato in 6-7 terroristi ha attaccato il Caffè–Ristorante Cappuccino e l’Hotel Splendid a Ouagadougou, la capitale del Burkina-Faso.
In una dichiarazione resa sabato pomeriggio, il premier del Paese, Paul Kaba Thieba, ha parlato di 26 morti e 56 feriti, aggiungendo che si tratta di un bilancio provvisorio. Fra i morti ci sarebbero 4 terroristi, fra cui due donne, e, secondo Parigi, due vittime francesi.
La dinamica dell’attacco, assai simile a quello del novembre scorso a Bamako, in Mali, ha visto i terroristi sparare sugli avventori del Cappuccino, un locale di proprietà italiana, per poi rivolgersi all’Hotel Splendid, barricandosi dentro e prendendo gli ospiti in ostaggio.
Le forze di sicurezza sono intervenute immediatamente, ingaggiando una lunga battaglia conclusasi sabato mattina con l’intervento delle Forze Speciali francesi presenti nell’area al seguito dell’Operazione Barkhane. Al termine del blitz sono stati liberati 126 ostaggi di cui 33 feriti. Dopo lo sgombro dello Splendid, uno dei terroristi si è rifugiato in un albergo vicino, lo Yibi, dove è stato ucciso nel corso di una sparatoria.
Malgrado l’operazione sia stata dichiarata conclusa dal Ministro degli Interni, ancora nel pomeriggio l’area era chiusa da un cordone di sicurezza ed erano in corso rastrellamenti in cerca di elementi del commando e di fiancheggiatori.
L’attacco è stato rivendicato da Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e, come quello di Bamako, sarebbe stato condotto dal gruppo Mourabitoun, guidato da Mokhtar Belmokhtar, quello che è nei fatti il più potente capo banda dell’area saheliana, a capo dei maggiori traffici criminali di tutta la regione.
Secondo la rivendicazione, l’azione è una vendetta contro la Francia e gli occidentali, ma, al di là delle consuete farneticazioni, alla base del massacro c’è solo un discorso di potere e di interessi.
Aqmi, pur avendo ancora una sigla prestigiosa, è in difficoltà perché i gruppi di terroristi che agiscono nel Sahel piuttosto che riconoscerne l’autorità, preferiscono seguire i propri lucrosi traffici criminali; inoltre, il “marchio” è sempre più insidiato dalla concorrenza dell’Isis, che si sta espandendo dalla Libia verso l’interno dopo aver già ottenuto l’affiliazione di Boko Haram.
Belmokthar, come detto il più potente e spregiudicato dei capi banda, s’è reso conto che Aqmi è ormai un network facilmente “scalabile” e intende impadronirsi di un marchio ancora prestigioso, da usare come schermo ai suoi sempre più estesi traffici criminali (armi, droga, esseri umani, tabacco, etc.).
Ma la sempre maggiore presenza francese nel Sahel, nell’ottobre scorso raddoppiata da Hollande per tutelare gli enormi interessi di Parigi, disturba quei traffici. Di qui il brutale avvertimento di novembre in Mali, a cui fa seguito la mattanza di Ouagadougou, con cui Belmokhtar afferma il controllo su un territorio che considera proprio. E per dare maggior peso all’intimidazione, lo fa usando una sigla come Aqmi.
Le stragi sono un monito ai debolissimi Governi locali ed alla comunità internazionale, perché ricordino chi comanda su quei territori, e si guardino dall’ostacolare i suoi affari. Il resto è macabro folklore ad uso di media e sedicenti esperti, che discettano di improbabili guerre di religione e scontri di civiltà che esistono solo nelle loro menti.