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Con il terrore vogliono riconquistare la scena mondiale

Attentato alla Moschea Imam Sadiq di Kuwait City
Attentato alla Moschea Imam Sadiq di Kuwait City

di Salvo Ardizzone

Venerdì scorso è andato in scena un altro atto dell’ignobile tragedia con cui il terrorismo (e i centri di potere che lo manovrano) tenta di imporre la sua agenda sulla scena mondiale.

Secondo un copione ripetuto infinite volte, ha colpito cercando la massima risonanza mediatica con cui coprire le sconfitte che, malgrado il colpevole silenzio e la parzialità di troppi attori della comunicazione, sta subendo sul campo in Iraq, Siria, Libano e nello Yemen. Paesi martoriati, ma che stanno reagendo alle bande d’assassini prezzolate per destabilizzarli.

Non è chiaro se i quattro attacchi in Tunisia, Francia, Kuwait e Somalia siano stati in qualche modo sincronizzati o solo frutto d’iniziative slegate; è un fatto che l’accavallarsi degli attentati ha sortito l’effetto moltiplicatore cercato dai terroristi per monopolizzare l’attenzione del mondo.

A Sousse, una città costiera 140 km a sud di Tunisi, s’è svolto l’evento più eclatante: il massacro di 39 turisti e il ferimento di decine di altri sulla spiaggia di un albergo in riva al mare. L’attentatore, un giovane poi ucciso dalle forze di sicurezza tunisine dopo che per mezz’ora aveva fatto liberamente strage a raffiche di kalashnikov, ha cercato deliberatamente vittime occidentali. Lo ha fatto per due ottime ragioni: piaccia o no, la morte di mille disgraziati siriani o iracheni turba assai meno le coscienze dell’Occidente che il sangue di alcune decine di turisti. Inoltre, e questo è un punto essenziale, come cento giorni fa al Museo del Bardo, colpire il turismo tunisino è pugnalare al cuore la traballante economia del Paese, contribuendo a destabilizzarlo assai più che portando a termine decine di altri attentati.

È la scelta di quest’obiettivo, fino a tempi recenti lasciato indenne per un tacito patto con le precedenti formazioni terroristiche e ora colpito per la seconda volta e probabilmente a morte, che cambia radicalmente la strategia di gruppi che stanno puntando semplicemente a distruggere il Paese, a disintegrarlo insieme al blocco politico trasversale che si stava assestando faticosamente per governarlo.

In Francia, in una centrale del gas di Saint Quentin Falloviere, nei pressi di Lione, è avvenuto il pasticciato attentato del classico lupo solitario: un operaio, Yassin Sahli, è entrato col furgone della sua ditta in una fabbrica di gas industriale; ha decapitato il suo datore di lavoro appendendone la testa sopra un cancello ed ha tentato di struggere l’impianto facendo saltare alcune bombole di gas. I pompieri, intervenuti immediatamente, lo hanno bloccato mentre cercava di farne saltare altre.

L’autore dell’attentato, mostruoso quanto scalcinato, era già noto ai Servizi francesi perché vicino ad ambienti salafiti. L’atto, al di là della sua dimensione reale, è chiaramente finalizzato a scavare un fossato di paura e diffidenza attorno alla popolazione islamica che risiede in Francia, funzionale ai disegni di destabilizzazione di chi lo ha ispirato, ed alla creazione d’un clima emergenziale che giustifichi anche soluzioni estreme.

A Kuwait City, invece, l’attentatore suicida di nazionalità saudita ha mirato alla strage, facendosi saltare in una moschea sciita e causando morti a decine e feriti a centinaia fra i fedeli del Venerdì di preghiera. Lo scopo è ancora quello di creare fratture fra la maggioranza sunnita della popolazione (circa il 70%) e la numerosa minoranza sciita; ancora e sempre dividere, suscitare odio, rancori e faide fra comunità che vivono insieme da sempre; di minare la stabilità di un Paese strategico sia per le ingenti risorse petrolifere che per la posizione a ridosso dell’Iraq.

Da ultimo s’è aggiunto l’episodio finale della giornata di sangue: un attacco degli al-Shebaab ad una base dell’Unione Africana presidiata da soldati del Burundi, posta circa 100 Km a nord-ovest di Mogadiscio. Se non fosse avvenuto in concomitanza degli altri attentati, le decine di vittime (da 30 a 50, non è chiaro) avrebbero avuto al massimo un trafiletto in coda a tutte le altre notizie. La Somalia è troppo lontana, in tutti i sensi, dall’Occidente, e le stragi in terra d’Africa sono troppe e troppo frequenti per interessare i media.

Fin qui la scia di sangue che ha insanguinato tre continenti; la rabbiosa risposta con cui i mercenari del terrore vogliono riacquistare sulla scena internazionale il peso e il prestigio che, al di là d’ogni finzione e malgrado i fiumi di armi e di denaro, stanno perdendo sul campo.

È con questi colpi mediatici che contano d’imporsi nell’immaginario delle opinioni pubbliche occidentali; da consumati attori recitano la parte che è stata loro assegnata dagli ignobili registi che manovrano il mondo, guadagnando cachet da capogiro.

Nei Paesi in cui più hanno imperversato li hanno ormai smascherati e la Resistenza monta contro di loro e i loro mandanti; resta l’Europa, incapace di guardare in faccia la realtà, sempre più pavida e succube, suddita come sempre.

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