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Palestina: una riconciliazione segnata da minacce, strategie e “venditori di promesse”

di Giovanni Sorbello

Sette persone, tra cui un uomo di 50 anni e le sue due figlie, sono rimaste ferite durante l’attacco di un aereo da guerra israeliano a nord di Gaza. Questa è stata la prima reazione israeliana all’annuncio fatto dalle fazioni palestinesi sull’accordo di unità raggiunto a Gaza, tra Fatah-Olp e Hamas.

Il raid è avvenuto nel momento in cui migliaia di persone sono scese nelle strade di Gaza City per celebrare l’annuncio fatto da parte di Hamas e Olp, sull’accordo raggiunto per formare un governo di unità. Azzam al-Ahmad, una figura di spicco del partito Fatah, ha guidato il team a Gaza accolto dal primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh e dal vice leader del movimento Mussa Abu Marzuq.

L’accordo, raggiunto a seguito di colloqui avvenuti a Gaza City martedì scorso, prevede la formazione di un governo di unità entro cinque settimane, ed elezioni nazionali sei mesi dopo il voto di fiducia da parte del Parlamento palestinese.

“La buona notizia che diamo al nostro popolo è che l’epoca della divisione è finita”, questa è stata la prima dichiarazione del primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, ai giornalisti palestinesi durante una conferenza stampa.

Non è la prima volta che un governo di unità nazionale palestinese viene annunciato dalle fazioni rivali; in precedenza diversi tentativi di formare un governo sono falliti subito dopo l’annuncio. Fatah, principale componente dell’Olp e Hamas, avevano già firmato un accordo di riconciliazione al Cairo nel 2011, volto a porre fine alla divisione politica tra Gaza e la Cisgiordania governata dall’Autorità nazionale palestinese.

Questo accordo, rappresenta anche una mossa politica strategica sia per Hamas che per Fatah, aprendo la strada per nuove elezioni e per una strategia nazionale nei confronti di Israele. Ciò potrebbe non solo dare ad Abbas una misura di sovranità su Gaza, ma potrebbe aiutare anche Hamas nella Striscia di Gaza, assediata dal rigido blocco israelo-egiziano, soprattutto dopo la caduta dei Fratelli Musulmani.

Non si sono fatte attendere anche le reazioni internazionali. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Jennifer Psaki, ha criticato l’accordo ed ha avvertito che una tale mossa potrebbe incidere sugli aiuti americani ai palestinesi. L’Anp infatti, è stata istituita ai sensi degli accordi di Oslo del 1993 e gode di ampio riconoscimento internazionale, ma è completamente dipendente dagli aiuti stranieri per l’amministrazione delle aree autonome della Cisgiordania.

Da parte israeliana, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha accusato l’Autorità nazionale palestinese di mettere in pericolo il processo di pace. Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha dichiarato che la firma di Abbas sull’accordo di unità con Hamas equivale a “firmare la cessazione dei negoziati tra Israele e l’Autorità palestinese”. Come se non bastassero i raid e la sospensione dei colloqui di pace, Israele ha anche minacciato di imporre sanzioni all’Anp.

Abbas a sua volta ha dichiarato ai giornalisti israeliani di essere disposto ad estendere i negoziati oltre il 29 aprile, se Israele libera un gruppo di prigionieri come da accordi precedenti, blocca la costruzione degli insediamenti e accetta di discutere i confini di un futuro Stato palestinese. Pura e mera utopia di facciata.

Tra minacce, riconciliazioni e strategie varie, ci chiediamo se qualcuno dei protagonisti di questi “accordi” si sia per un attimo preoccupato di garantire prima di tutto, i diritti ed i bisogni del popolo palestinese. Di “venditori di promesse” la storia della Palestina ne è satura.

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