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Palestina, tra inganni e occupazione

Dalle recenti mosse di politica economica e militare portate avanti dagli Stati Uniti, risulta evidente come il teatro strategico primario sia passato dal Medio Oriente all’Estremo Oriente. Gli analisti Usa non hanno potuto non constatare come la maggior parte delle sfide all’egemonia a stelle e strisce arrivino oggi dall’Asia e questo ha portato a un ridefinizione delle priorità geopolitiche il cui risultato è il noto pivot to Asia. La concentrazione delle energie americane nel teatro asiatico sta portando a un graduale disimpegno sia da zone come l’Afghanistan, sia dall’annoso e sempre più problematico conflitto tra Israele e Palestina, la cui risoluzione semplicemente non è più in agenda.

Gli americani si stanno sempre più disimpegnando dal conflitto, l’Ue non vuole andare oltre le mezze misure, e l’Autorità Nazionale Palestinese è sull’orlo dell’implosione. Cosa succederà dopo?

Negli incontri diplomatici di alto livello tra i funzionari israeliani e americani nel corso degli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno chiesto a Benjamin Netanyahu di delineare le misure che sarebbe disposto a prendere per non far chiudere definitivamente la via d’uscita della soluzione a due Stati. La risposta di Netanyahu è stata a grandi linee: nessuna.

Alla richiesta di una buona predisposizione di iniziative umanitarie rivolte ai palestinesi per far sopravvivere la visione dei due Stati, Netanyahu ha riferito che è tutto condizionato da ogni passo che gli Usa faranno nel riconoscere il diritto di Israele a costruire insediamenti nella Cisgiordania occupata. “Mmm, no!”, ha risposto Washington per infinite ovvie ragioni.

L’attuale governo di Israele, naturalmente, non ha alcuna intenzione di realizzare la soluzione a due Stati. Un blocco potente e consistente di ministri e membri della colazione di governo non supportano l’ipotesi della creazione di due Stati, neanche in teoria. Ritengono invece che la soluzione possa passare da varie iterazioni e annessioni, una soluzione che contempla l’esistenza di uno Stato unico che rimanda all’apartheid, e una strategia che se non verrà spezzata porterà a trasformare l’odierno status quo in una soluzione permanente.

Netanyahu appartiene al blocco per il mantenimento dello status quo. E così, di fronte alla Russia e alle minacce interne di terrorismo, la Casa Bianca potrebbe optare per mantenersi fuori dal conflitto a meno che non inizi un’altra vera e propria guerra.

Ma non si cada nell’errore: il disimpegno americano è il miglior scenario possibile per Netanyahu, secondo solo a quello fantascientifico che vede la Casa Bianca riconoscere il diritto di Israele ad annettere qualunque parte voglia della West Bank lasciando il maggior numero possibile di palestinesi senza diritti civili o di cittadinanza.

Per quanto riguardo ciò che interessa al governo Netanyahu, il distacco della diplomazia americana da a Israele il via libera per continuare a radicare il controllo militare sulla popolazione palestinese e sui territori occupati, sopratutto nelle zone C degli accordi di Oslo, almeno fino a quando non ci sarà davvero un’altra realtà sulla quale discutere.

Le mezze misure europee

Alcuni sostenitori e simpatizzanti per la causa palestinese hanno investito, negli ultimi anni, più di una speranza nella possibilità che l’Unione Europea applicasse una crescente pressione politica ed economica su Israele. L’attuazione della normativa sulle etichette per i prodotti provenienti dagli insediamenti, è stato un primo passo promettente, o almeno interessante, per coloro che credono nel potere negoziale di Bruxelles.

Ma l’Europa non ha descritto questo passo come un avvertimento, il primo di una lunga serie di iniziative volte a far pressione su Israele affinché ponga fine all’occupazione e alla politica degli insediamenti. Anzi, l’Ue ha minimizzato l’annuncio descrivendo la decisione come una misura tecnica di protezione dei consumatori che non dovrebbe preoccupare nessuno.

Il risultato è che Gerusalemme, invece che preoccuparsi dei decision-makers di Bruxelles, ha chiesto agli Stati Uniti di riconoscere come legittimi quegli stessi insediamenti, dichiarando inoltre apertamente l’intenzione di espanderli, facendo anche fuoriuscire l’assurda storia circa la possibilità di far causa all’Europa all’interno del Wto.

La lezione da apprendere da queste due interazioni, con Washington e Bruxelles, è che l’attuale governo israeliano non vede la soluzione a due Stati come qualcosa che rientra nel proprio interesse, e l’atto simbolico di una tentata pressione politica renderà solo più dura e intransigente la linea sostenuta da Israele. Se la pressione esterna ha sempre come obiettivo quello di spingere Israele ad accettare i compromessi necessari per arrivare alla pace con i palestinesi, a prescindere dal numero di stati desiderato, allora richiederà uno sforzo maggiore di un etichetta. E l’Ue non ha al momento la volontà politica o l’unità diplomatica per questo sforzo ulteriore.

Lo Stato illusorio della Palestina

Alcune persone, su entrambi i lati della Linea Verde, parlano ancora dell’eventuale e imminente collasso dell’Autorità Palestinese, o dello Stato di Palestina, come ribattezzato un paio d’anni fa.

È importante ricordare che l’Anp è nata dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) come istituzione temporanea dell’era post-Oslo, destinata a gestire le nuove aree autonome della Cisgiordania e di Gaza, mentre l’Olp e Israele cercavano di trattare gli ultimi dettagli dell’accordo di pace.

L’Anp ha dichiarato la nascita dello Stato Palestinese non come segno di passaggio verso una fase successiva della liberazione dei palestinesi, ma come un atto diplomatico di protesta. Frustrato dagli zombie diplomatici che ripetutamente chiamano al processo di pace, la leadership palestinese ha cercato di adottare la tattica israeliana, quella dei fatti sul terreno, dichiarando semplicemente uno Stato dove non c’era.

Considerando la rinata ragion d’essere dell’Anp come contractor della sicurezza di Israele, è facile dimenticare che l’Olp è un’organizzazione di liberazione nazionale il cui obiettivo è, appunto, la liberazione della Palestina, o almeno di un’ampia parte di essa. È invece più difficile dimenticare che una vera e propria entità statale palestinese non è mai esistita e un’organizzazione come l’Anp che dichiara la propria vittoria immaginaria non riuscirà a mantenere saldo il suo mandato ancora per molto tempo.

di Irene Masala

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