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Mafia, trovato morto il pentito che accusò i servizi segreti per le stragi

L’Indipendente – È stato trovato morto sabato scorso a Partinico, in circostanze misteriose, il pentito di mafia Armando Palmeri, ex factotum del boss di Alcamo Vincenzo Milazzo, che fu ammazzato dai corleonesi di Riina nel luglio del 1992. Sul corpo del 62enne, rinvenuto presso la sua abitazione, non sono state appurate tracce di violenza né sono stati riscontrati segni di effrazione in casa. Dai primi accertamenti il decesso sarebbe da ricondurre a cause naturali, ma la Procura di Palermo ha voluto disporre ulteriori accertamenti e domattina, all’istituto di medicina legale del Policlinico di Palermo, sarà effettuata l’autopsia. Lunedì, il pentito avrebbe dovuto essere sentito dai magistrati di Caltanissetta e, in settimana, da quelli di Firenze, che stanno indagando sulle stragi di mafia. Negli ultimi giorni, Palmeri avrebbe manifestato forte preoccupazione, arrivando a chiedere al tribunale di Caltanissetta di poter comparire in videoconferenza.

Palmeri è stato uno dei più importanti collaboratori di giustizia degli ultimi anni. Le sue deposizioni sono entrate in numerosi processi di primo piano sullo spaccato della “zona grigia“, tra cui quello sulla “‘ndrangheta stragista” e quello che vede imputato Matteo Messina Denaro per gli attentati di Capaci e via D’Amelio. In particolare, il pentito ha reso dichiarazioni esplosive quando si è soffermato sulla presunta partecipazione di apparati deviati dello Stato alla strategia stragista che gli uomini di Cosa Nostra posero in essere nel biennio 1992-1994.

Palmeri ha infatti parlato di tre incontri che sarebbero avvenuti tra il capoma­fia Milazzo ed esponenti dei Servizi segreti tra la primavera e l’estate del 1992, che avrebbero coinvolto anche il medico Baldassare Lauria (diventato poi senatore di Forza Italia nel 1996). Dopo il primo incontro, Milazzo avrebbe riferito a Palmeri che quelli «erano matti» e avevano intenzione di «iniziare una guerra allo Stato con bombe e a mezzo di bombe». E tali attentati, ha ricordato il pentito, «dovevano avvenire anche fuori dalla Sicilia». Soltanto un anno dopo, sarebbero andate in scena le stragi del 1993 a Roma, Milano e Firenze.

Secondo Palmeri, il movente dell’omicidio di Milazzo – avvenuto il 14 luglio 1992, nel periodo compreso tra la morte di Giovanni Falcone e quella di Paolo Borsellino – sarebbe da ricondurre proprio allo scetticismo del boss di Alcamo verso il piano stragista deciso dagli alti vertici della mafia. Quella che Palmeri chiamerà “La strategia del nì“: «La sua posizione era che si rifiutava, (ma) avremmo perso la vita quindi lui si mostrava apparentemente disponibile. Era un’azione da pazzi perché lo Stato avrebbe avuto sicuramente un’azione di contrasto a Cosa nostra e tutto questo poteva finire». I tentennamenti di Milazzo sarebbero stati intercettati dai capi corleonesi, che avrebbero quindi deciso di eliminarlo. Anche in quanto testimone scomodo.

Ad uccidere Milazzo fu Nino Gioè – spietato killer di Riina -, che del capomafia di Alcamo era anche uno dei più grandi amici. Gioè, uomo di “cerniera” tra mafia e servizi, si ritagliò un importante ruolo nella “Trattativa delle opere d’arte” che vide come intermediario tra lo Stato e gli uomini di Cosa Nostra quel Paolo Bellini (ex Nar e confidente del Sismi) condannato in primo grado un anno fa come esecutore della strage di Bologna. Una trattativa fermata anzi tempo sull’altare della più nota “Trattativa Stato-mafia” di cui furono protagonisti gli uomini del Ros dei Carabinieri.

Arrestato il 19 marzo 1993, Gioè fu ritrovato impiccato nella sua cella del carcere di Rebibbia tra il 28 e il 29 luglio 1993. Un suicidio, stando alle indagini ufficiali, nonostante l’insieme delle tracce presenti sul corpo – i segni della corda che vanno verso il basso e non verso l’alto, la sesta e la settima costola di destra fratturate, un’escoriazione sulla parte destra della fronte, una ecchimosi bluastra al sopracciglio sinistro, il rachide cervicale intatto – facciano pensare a tutt’altro scenario. Interpellato sulla morte di Antonino Gioè, in aula Palmeri non ha manifestato alcun dubbio: «L’hanno “suicidato”. Ricordo che quando appresi della sua morte lo commentai con Gioacchino Calabrò e anche lui ebbe questa impressione. Mi disse sconfortato: “Lo ammazzarono”».

L’anno scorso, intervistato dalla trasmissione Report, Palmeri si è soffermato sul rapporto che avrebbe intrattenuto con Gioè. «A volte l’ho accompagnato ad incontri particolari con uomini delle istituzioni – ha detto il collaboratore di giustizia al giornalista Paolo Mondani -. Se parlammo di Capaci? Gioè mi ha detto ufficiosamente che a ‘Giovannieddu (Brusca, ndr) ci paria che era iddu a farlo esplodere’. Mi diceva che il dispositivo per lanciare l’impulso era un giocattolo e che era in sinergia con altra gente.

Era un’operazione militare perfetta». Palmeri ha poi confermato che Gioè gli avrebbe parlato di un traffico di materiale radioattivo e dell’arrivo di elicotteri con materiale fissile nucleare che sarebbe stato scaricato nelle zone di Alcamo. Non sappiamo se, di fronte ai pm con cui aveva appuntamento la prossima settimana, il pentito avrebbe toccato anche questi argomenti. Quel che è certo è che da oggi la sua bocca rimarrà chiusa, per sempre.

di Stefano Baudino

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