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Inghilterra, cambio di passo nella vaccinazione

Se si dovesse ritornare con la mente al Marzo del 2020, non si potrebbe fare a meno di ricordare le deliranti affermazioni del premier Boris Johnson, paladino e fautore della Brexit, che in una delle sue conferenze stampa parlava di “immunità di gregge” e di “libertà”. In effetti, nell’Inghilterra della prima fase Covid la parola lockdown era sconosciuta, le mascherine indossate a libera scelta, locali aperti al pubblico.

Poi però qualcosa è cambiato, lo stesso Johnson è stato colpito dal Covid, ricoverato in ospedale è fortunatamente guarito e tornato al suo lavoro. Poi iniziano i lockdown, l’Inghilterra si chiude, chiudono i pub e la famosa pinta cessa di essere bevuta all’aperto. Parte la campagna di vaccinazione.

L’inghilterra, pur con tutte le sue contraddizioni, riesce a dare il meglio di se e quello che sta accadendo con la vaccinazione di massa né è l’ennesimo esempio. Il 22 marzo scorso, l’Inghilterra è riuscita ad inoculare la bellezza di 844.285 dosi di vaccino in sole 24 ore, 27 vaccini al secondo. 28milioni sono gli inglesi che hanno ricevuto una dose di vaccino, il 54% della popolazione. Il tutto è stato reso possibile grazie ad una delle più grandi mobilizzazioni di massa dal secondo conflitto mondiale.

Centomila volontari, 30mila operatori sanitari, tecnologia (i medici di base hanno a disposizione tutti i dati del paziente che vengono girati all’Nhs che provvede a stilare la tabella per la vaccinazione e alla successiva chiamata), oltre al pragmatismo inglese a farla da padrona che, condito con una grandiosa organizzazione e con tempismo, hanno tirato fuori il Regno Unito dal baratro degli oltre 120mila morti.

Inghilterra mette sul piatto 13miliardi di euro

È un successo che viene da lontano. Tutto ha inizio nell’estate del 2020 quando l’Inghilterra mette sul piatto 13miliardi di euro per acquistare 447milioni di dosi di vaccino (Astrazeneca, Pfizer, Moderna, Novavax). Londra firma il primo contratto con Astrazeneca a maggio, l’Unione Europea tra mille difficoltà lo fa ad agosto. Gli inglesi facendo così si mettono in posizione di vantaggio e priorità rispetto all’Unione Europea, con una differenza che si rivelerà fondamentale, Kate Bingham.

Questo nome agli europei è del tutto sconosciuto ma nel Regno Unito no, è lei a trattare con le case farmaceutiche, è lei che offre a quest’ultime tutto il sostegno possibile che va dai siti di produzione ai volontari per effettuare i test, aiutata anche dall’Mhra che approva il primo vaccino (Pfizer) a dicembre mentre in Europa succederà a gennaio del 2021.

Dicevamo del pragmatismo, infatti già nell’estate del 2020 la Gran Bretagna inizia a stilare un piano vaccinale, un periodo in cui dei vaccini nessuno parlava, autore della campagna vaccinale è Sir Simon Stevens il capo dell’Nhs, la sanità pubblica, che non perde tempo e mobilita i medici di base con un obiettivo minimo: 12 ore di vaccinazione, sette giorni su sette. Dopo arriveranno gli hub, i centri vaccinali e le riconversioni di chiese, stadi e supermercati per un totale di 3.123 siti dove ci si può vaccinare.

In Italia solo chiacchiere

Altro aiuto fondamentale è quello dell’esercito britannico che ha ideato e costruito i maxihub, oltre ad occuparsi di trasporto e di sorvegliare le dosi. Il tutto è stato possibile grazie alla sanità pubblica, centralizzata e digitalizzata dove l’individuazione dei soggetti da vaccinare è stata semplice e rapida. Un sms invita le persone anziane, fragili, malate a recarsi nel più vicino centro di vaccinazione per ricevere la propria dose, in questo modo il 95% degli over 65 ha già ricevuto l’inoculazione.

Tutto questo mentre in Italia si pratica lo sport nazionale, la chiacchiera, che alla fine lascia sempre tutto come si trova senza cambiare nei fatti.

di Sebastiano Lo Monaco

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