Oro nero d’Oriente: arabi, petrolio e imperi tra le due guerre mondiali
Il petrolio è la risorsa strategica per eccellenza, e nell’immaginario collettivo suscita visioni di sterminate distese di sabbia costellate di pozzi in Medio Oriente. Ma in realtà, quella è immagine assai più recente di quanto non lo sia già quella del petrolio, che di suo è cominciata solo nell’Ottocento; una storia che ha sancito e codificato con fredda determinazione, la possibilità che un pugno di uomini e società potessero imporre uno spaventoso sovrapprezzo (diremmo un taglieggiamento) al mondo intero, per usufruire di una risorsa indispensabile. E questo con la completa acquiescenza, cieca da un canto, e connivente dall’altro, da parte di governi preoccupati solo dai propri disegni di egemonia.
S’è trattato infatti dell’abdicazione d’un potere immenso a gruppi motivati solo dal lucro, che ha legalizzato un’autentica estorsione planetaria, ormai talmente radicata e strutturata nei suoi meccanismi, che è difficilissimo anche solo pensare d’estirpare. Non solo, la tutela di tali interessi ha determinato (e determina a tutt’oggi) vasta parte delle politiche planetarie e, per una serie di svolte nella storia, ne ha concentrato il fulcro in Medio Oriente.
Come si è giunti a questo? Come è stato possibile che s’instaurasse un simile regime, che ha determinato e determina le dinamiche del mondo intero? Pinella Di Gregorio, Orientalista e Docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Catania, ne traccia la storia in un suo libro, Oro Nero D’Oriente, edito dalla Donzelli, in cui ripercorre le vicende che hanno visto sorgere il potere immenso delle “7 Sorelle”, e l’affermarsi del ruolo strategico del Medio Oriente. È una narrazione che non esitiamo definire avvincente quanto sorprendente, che svela come si siano potuti consolidare meccanismi di dominio planetario i cui effetti subiamo ancora; e attenzione, non si tratta di lecite deduzioni, ma di fatti documentati da un’immensa quantità di fonti citate e commentate, a beneficio di chi vuol saperne di più su vicende tenute per ovvie ragioni nell’ombra, ma d’importanza esiziale per l’umanità.
La storia del petrolio come risorsa per l’economia, nasce a metà dell’Ottocento negli Usa che, malgrado pochi oggi lo tengano in conto, ne furono fino agli inizi degli anni ’50 del XX° secolo non solo i primi produttori mondiali, ma anche i primi esportatori. Fu una scelta del destino che la Nazione che più ha puntato all’economia di mercato e ha fatto del liberismo più sfrenato la propria religione, fosse così dotata di quella risorsa essenziale. Ciò determinò da quasi subito il sorgere di imprenditori, Rockefeller in testa, che mirarono unicamente ad impadronirsi di quella risorsa al solo scopo di massimizzare il profitto, attraverso la creazione di monopoli che ne regolassero l’estrazione e la distribuzione ed eliminassero qualsiasi concorrenza. Fu essenziale per creare un modello concettuale e operativo, che nei decenni successivi fu adottato ed esportato nel mondo intero.
Certo, anche altrove il petrolio era stato scoperto e s’estraeva, come in Russia, ciò che non c’era era l’aggressiva presenza di imprenditori dotati delle risorse capaci di farne un monopolio, perché occorre riflettere che estrarlo non basta: bisogna raffinarlo, portarlo sui mercati e distribuirlo, e per tutto questo servono capitali, e tanti.
Fino al 1914, gli Stati nel complesso sonnecchiarono, limitandosi a interventi di regolamentazione (l’unico significativo lo fecero gli Usa per limitare l’abnorme concentrazione di potere della Standard di Rockefeller), non afferrando appieno l’immensa portata futura della risorsa, mentre le aziende del settore continuavano a strutturarsi ed accordarsi per regolare produzione e distribuzione all’unico fine di mantenere alti i profitti ed evitare concorrenze dispendiose. Solo alla vigilia della 1^ Guerra Mondiale l’Inghilterra comprese la rilevanza strategica del petrolio: era un Impero globale, anche se in progressiva decadenza; aveva bisogno d’assicurarsi riserve di greggio, e si mosse per quelle che in Medio Oriente (sua storica zona d’influenza) solo allora stavano venendo alla luce. In seguito l’affiancò la Francia, mentre gli Usa, la nuova potenza globale che aveva rifornito gli Alleati durante gli anni della Guerra, rimasero ancora legati all’antico principio dell’”imperialismo delle porte aperte”, che mirava non al possesso di territori, ma nel mantenere libero accesso nel mondo alle proprie aziende, in testa quelle del petrolio.
Ma quelle, in particolare le Big Three (Standard, Apoc e Rds le tre maggiori), lasciate in assoluta libertà, nel 1928, con l’Achnacarry Agreement (dal castello scozzese dove fu siglato) e il Red Line Agreement (la linea rossa tracciata su una carta per spartire il mondo), siglarono dei patti destinati ad influenzare la storia: nasceva il monopolio mondiale del petrolio, con la suddivisione del globo fra i partecipanti, all’unico scopo di creare una montagna di utili alle spalle dell’intera umanità; mentre il mondo andava ad avvitarsi in una crisi economica spaventosa, loro, dosando l’estrazione e la vendita d’un bene divenuto indispensabile, mantenevano alto il prezzo d’una risorsa che sarebbe potuta essere abbondante e a buon mercato. La loro ottica, mutuata per i decenni futuri, era quella d’accaparrarsi le riserve esistenti per evitare che altri le potessero sfruttare al di fuori dai propri accordi, perché ciò avrebbe fatto abbassare i prezzi.
Fu con la II^ Guerra Mondiale che gli Usa si resero conto che le loro riserve andavano a impoverirsi rapidamente e che occorreva prendere il controllo di altre aree estrattive; la zona di gran lunga più promettente era il Medio Oriente. Per farci un’idea, già nel ’39 si stimavano quelle riserve almeno triple di tutte le altre Occidentali, ma l’ottica era ancora di metterle in cassaforte perché altri non potessero usarle; nella stessa epoca, tutto il greggio estratto nell’area era solo il 5,5% del totale nel mondo!
L’azione di lobbyng di alcune compagnie americane, che avevano preso concessioni in Arabia Saudita, attirarono l’attenzione del Governo Usa: lentamente, e fra mille contraddizioni, gli Stati Uniti abbandonarono la politica delle “porte aperte” per abbracciare la dottrina dell’”interesse nazionale”. Ritennero tale assumere il controllo di quei giacimenti, nella prospettiva di un esaurimento di quelli nazionali. L’ottica delle compagnie era diversa, ma dopo scontri notevoli trovarono conveniente divenire gli strumenti della politica energetica degli Stati Uniti: gli Usa avevano a disposizione petrolio in abbondanza; attraverso le royalty gli stati produttori (ma soprattutto i loro governanti) venivano inondati di denaro legandoli a doppio filo; le compagnie venivano lasciate indisturbate per trarne il massimo profitto, col pieno appoggio dell’Amministrazione Americana.
Per definire questo quadro, in Medio Oriente ci fu un duro scontro fra il vecchio imperialismo inglese, che aveva ancora voce in capitolo nell’area, e il nuovo americano, ma con la fine della II^ Guerra Mondiale gli equilibri e i rapporti di forza erano radicalmente cambiati: c’era un’unica superpotenza, gli Usa, determinata ad avere il pieno controllo di tutte le risorse che riteneva necessarie al suo programma globale di potenza. Le compagnie erano gli strumenti che le servivano e lasciò che si organizzassero come meglio credevano per guadagnate il massimo col minimo sforzo: c’erano tre compagnie che avevano il petrolio delle concessioni e tre che disponevano di raffinerie, reti di distribuzione e mercati; poteva venirne fuori una guerra, ma come sempre s’accordarono per fare più soldi possibile anche in un mondo che si rialzava a fatica dopo le immani distruzioni della Guerra. Con pochi aggiustamenti, fu l’impero delle “7 Sorelle”.
Il resto è storia recente che dura ancora: il rapporto “speciale” fra Arabia Saudita e Usa, fatto di petrolio contro dollari e protezione; l’influenza sugli altri stati dell’area, Kuwait e Bahrein in testa; l’ingresso in Iran, che tanto avrebbe comportato dopo, e la valenza essenziale per gli Stati Uniti del Medio Oriente, con tutte le contraddizioni e le guerre che avrebbe portato.
La conclusione di questa storia, vissuta passo passo nel libro, ci lascia stupefatti per l’immensa responsabilità che Governi e centri di potere, soprattutto Usa ma non solo loro, hanno in questa vicenda. A parte la legittimazione d’un colossale taglieggiamento imposto all’intera umanità quale mai s’è visto nella storia, c’è da riflettere su quanto questo sistematico sfruttamento abbia inciso, da un canto sul mancato sviluppo dei Paesi consumatori, soprattutto quelli meno avanzati, ma dall’altro quanta rabbia, quanto risentimento abbia prodotto nei Paesi produttori, dove, nel migliore dei casi, le royalty finivano ai gruppi di potere “coccolati” dalle major, assai di rado o mai ai popoli.
Eppure vie alternative ce n’erano, eccome, come provò a dimostrare Mattei, prima che la morte (sospetta quanto provvidenziale per i suoi tanti nemici, “7 Sorelle” in testa) lo fermasse il 27 ottobre del 1962 nei cieli di Bascapé.
di Salvo Ardizzone