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Striscia di Gaza: vite sotto assedio

di Manuela Comito

Il blocco che dal 2007 è stato imposto alla Striscia di Gaza da parte del regime israeliano, unito alla chiusura dei valichi di confine e alla distruzione dei tunnel della sopravvivenza ad opera dell’esercito egiziano, sta causando il deterioramento dell’economia palestinese. Secondo quanto riporta Press Tv, in questi 7 anni decine di aziende, di piccole imprese e negozi sono falliti. Ad aggiungere sofferenza ad una popolazione già provata dalla pesante crisi economica conseguente al blocco è stata predisposta dal regime di Tel Aviv la chiusura temporanea dell’unico valico commerciale di Gaza, il Kerem Shalom, attraverso il quale, durante le poche ore di funzionamento, passa solo un terzo di quanto necessita alla popolazione, secondo quanto dichiarato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari; mentre per risollevare l’economia dei palestinesi di Gaza occorrerebbe che il valico restasse aperto in modo permanente.

Il Kerem Shalom è rimasto totalmente bloccato per ben 150 giorni nel 2013. Gaza dispone di altri 3 valichi commerciali, ma le autorità israeliane li hanno chiusi uno dopo l’altro negli anni scorsi, col solito pretesto della sicurezza. Moeen Rajal, docente di Economia, ha dichiarato: “Israele ha chiuso il valico di Kerem Shalom per più di cinque mesi nel 2013. La chiusura di Kerem Shalom unita alla repressione da parte dell’esercito egiziano sui tunnel tra Gaza e l’Egitto ha privato gli abitanti di Gaza di beni essenziali e peggiorato la situazione economica in questo territorio assediato”. Inoltre, ha ribadito l’importanza dell’immediata riapertura di tutti i valichi e della revoca del blocco israeliano, come unica possibilità di sopravvivenza per più di un milione e settecentomila palestinesi, rinchiusi nella “più grande prigione a cielo aperto del mondo”.

A ciò si aggiunge un rapporto stilato il primo febbraio 2014 dal Palestinian Centre for Human Rights e dall’Internal Displacement Monitoring Centre, che espone e affronta le violazioni israeliane nelle aree ad accesso limitato nella Striscia di Gaza (Access Restricted Areas o Ara). Il rapporto, denominato “Under Fire” e presentato a Londra, evidenzia le conseguenze delle restrizioni imposte alla popolazione della Striscia di Gaza, nelle zone Ara: gli agricoltori non possono accedere ai propri terreni per un totale di 62,6 Km quadrati (ossia il 35% dei terreni agricoli e il 17% di tutta la superficie della Striscia di Gaza); i pescatori non possono accedere all’85% delle acque a sovranità palestinese, in palese violazione di quanto stabilito dagli Accordi di Oslo.

Nella relazione “Under Fire” sono presenti statistiche e dati, indicativi delle perdite in vite umane e proprietà a causa della violenza a cui ricorre quotidianamente il governo di Tel Aviv e quantifica le perdite, in termini economici e finanziari, per i contadini e i pescatori. Evidenzia, inoltre, il fatto che Israele non rispetti gli standard internazionali riguardo l’uso della forza contro i civili: senza tenere in minima considerazione i principi di distinzione e proporzionalità e in palese violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, i militari israeliani prendono di mira i civili con proiettili veri e, spesso, il ricorso all’uso della forza ha esiti drammatici e letali.

Il documento si conclude con una serie di raccomandazioni dirette a Israele, all’Autorità Palestinese e alla Comunità Internazionale: la fine del blocco illegale e criminale su Gaza, il rispetto del Diritto internazionale umanitario, il rispetto degli Accordi di Oslo. E mentre si continua a cercare di mettere in luce i crimini compiuti dal regime israeliano contro civili inermi, si stilano rapporti, si organizzano conferenze per sensibilizzare l’opinione pubblica; mentre migliaia di attivisti in tutto il mondo si impegnano per cercare di rompere il “silenzio complice” dei loro governi; è di ieri la notizia, riportata da Press Tv, che il numero dei malati di cancro nella Striscia di Gaza è in aumento, come conseguenza del fatto che Israele usa armi contenenti agenti cancerogeni contro i palestinesi.

“Migliaia di tonnellate di armi non convenzionali contenenti agenti cancerogeni sono stati sparati su Gaza negli ultimi 14 anni. Molte delle armi usate dalle forze israeliane sono bandite a livello internazionale e contengono sostanze illegali che colpiscono non solo le persone, ma hanno anche effetti a lungo termine sull’ambiente”, ha dichiarato il portavoce del ministero della Salute, Ashraf al- Qudra. E’ evidente che la sola indignazione non serve più e la condanna puramente formale dei crimini israeliani da parte della Comunità internazionale non ha alcun valore. Sarebbe auspicabile che le parole di sdegno con le quali spesso si riempiono la bocca alti funzionari fossero accompagnate da atti concreti, quali sanzioni e punizioni contro il regime di Tel Aviv. Ma sembra un’eventualità remota. Pesano come macigni, ora, le parole di Ariel Sharon: “Israele può avere il diritto di mettere altri sotto processo, ma certamente nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d’Israele”.

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