Orbán, tra ostracismi esterni, incidente d’auto e crescente consenso popolare
Tragedia sfiorata d’un soffio. Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán è vivo per miracolo. Nell’indifferenza dei media occidentali, infatti, lo scorso 26 luglio il sito ufficiale del governo ungherese rendeva noto che il convoglio che stava accompagnando il premier, in visita nella vicina Romania, aveva subito un grave incidente. Le foto pubblicate delle auto ridotte ad ammassi di lamiera rendono l’idea. Feriti il Console Generale ungherese in Csíkszereda (città rumena con maggioranza etnica magiara), il suo vice e altre tre persone dell’Ufficio del Primo Ministro. Lo stringato comunicato parlava sommariamente di «evento sfortunato», senza entrare nei dettagli della dinamica che lo hanno causato.
Le più solerti “sentinelle cospirazioniste”, specialmente in Rete, non tardavano a suonare l’allarme di un attentato fallito. Simili elucubrazioni, tuttavia, dati gli scarsi elementi messi a disposizione dal governo ungherese e dalle autorità rumene, sono ad oggi inverificabili. Ed è d’uopo pensare che, supposto il riserbo che aleggia di solito intorno a episodi di questo tipo, tali rimarranno. Fugato dunque il campo da ipotesi suggestive, c’è però da rilevare il recente riacutizzarsi dell’insofferenza che determinate strutture sovranazionali (Ue, Fmi, Bce) nutrono nei confronti del premier ungherese Orbán.
Appena qualche settimana prima dell’«evento sfortunato», lo scorso 3 luglio, il Parlamento europeo aveva approvato il rapporto Tavares, un documento che chiede al governo ungherese – tra le varie cose – di assicurare l’indipendenza della magistratura, implementare le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, impegnarsi maggiormente nell’integrazione degli zingari, consentire il pluralismo dell’informazione ed ampliare il concetto di famiglia. Il testo era stato accolto a Budapest come una fastidiosa ingerenza di Bruxelles negli affari interni ungheresi. Nel corso di un dibattito al Parlamento di Strasburgo, Orbán aveva espresso tutto il suo disappunto verso gli eurodeputati esclamando: «Non dovete insegnarci la democrazia!». Lo stesso Primo Ministro aveva fatto presente che il popolo ungherese sarebbe lieto di vedere un’Europa di nazioni libere, piuttosto che subordinate. Infine, aveva tacciato il rapporto Tavares di applicare due misure, giacché punisce una nazione di successo e la mette sotto controllo, mentre lascia che gli Stati più grandi «abusano del loro potere». Il rapporto propone una misura estrema, ossia togliere all’Ungheria il diritto di voto e così la possibilità di influire nella legislazione europea.
L’approvazione, a Strasburgo, di una tale extrema ratio contro l’Ungheria non stupisce. Essa giunge a seguito di alcune decisioni inusuali prese recentemente dal Governo Orbán. A giugno, Bupadest annunciava la conclusione dei propri rapporti, una volta restituito il prestito erogato, con il Fondo monetario internazionale. Nei mesi precedenti, l’esecutivo ungherese aveva già fatto parlar di sé per aver disposto un controllo sulla Banca centrale (mediante una riforma costituzionale) e per aver fatto bruciare 500 ettari di grano geneticamente modificato della Monsanto. Decisioni che non hanno certo lasciato indifferenti le istituzioni europee, preoccupate dal crescente autoritarismo (così lo chiamano) di Orbán. A tal punto, secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano ungherese “Magyar Nemzet” e ripresa dal francese “Nouvelles de France”, da spingere la vicepresidente della Commissione europea, Vivianne Reding, a condurre una campagna di stampa contro Orbán in vista delle elezioni della primavera 2014.
Secondo questa tesi, il progetto si baserebbe sul coinvolgimento di alcune Ong finanziate dall’amministrazione Usa e dell’ex premier ungherese Gordon Bajnai, pupillo dell’alta finanza. La definizione di una tale aggressione mediatica sarebbe avvenuta durante la riunione del Gruppo Bilderberg, tenutasi tra il 6 e il 9 giugno presso il Grove Hotel di Watford, in Inghilterra. L’unico vago commento da parte dei diretti interessati è arrivato da Mina Andreeva, portavoce della Reding, la quale ha rammentato che le riunioni del Gruppo Bilderberg non sono pubbliche e che dunque l’ufficio stampa della vicepresidenza della Commissione europea non intende rispondere a «speculazioni giornalistiche». Un modo, di fatto, per non confermare né smentire le accuse.
Una cosa è certa. Se tale notizia fosse qualcosa di più concreto di una mera speculazione giornalistica, il lavoro da fare per la Reding e i suoi presunti fiancheggiatori sarebbe alquanto impervio. Un recente sondaggio Ipsos, d’altronde, rivela che il partito di governo Fidesz rimane stabilmente quello che raccoglie più consensi, passando dal 46% di maggio al 49% di giugno. Malgrado le avversità, il popolo magiaro si raccoglie intorno al suo leader.