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Mosul, tutto pronto per l’offensiva finale

Ormai è tutto pronto per l’offensiva finale su Mosul: dopo la liberazione di Shirqat, il Governo di Baghdad controlla tutto il corso del Tigri fino a Qayyarat, a soli 30 chilometri dall’obiettivo. Ma con l’avvicinarsi dello scontro decisivo, vengono a galla tutti i giochi di potere di chi specula sulle disgrazie del Paese e, piuttosto che dare il colpo finale al Daesh, bada ai propri interessi per il dopo in un gioco inestricabile di trame, in cui ogni giocatore bara, con l’unico scopo di intascare la posta più alta.

Iraq, miliziani sciitiGli Usa, dopo aver finto di combattere l’Isis, dopo aver guidato una coalizione da operetta nel buttar bombe sul deserto, dopo aver promesso armi e aiuti consegnati nei fatti col contagocce, dopo aver ostacolato in ogni modo l’impiego delle milizie sciite (per intenderci quelle che hanno impedito il collasso del Paese), sanno bene che con la presa di Mosul i giorni dell’Isis saranno finiti.

Per questo, finché possono, stanno continuando a mandar uomini (a fine settembre Obama ha annunciato la partenza di altri 615 “consiglieri”, che portano a 5.200 il totale “ufficiale” delle truppe Usa in Iraq). Per questo hanno da tempo cambiato cavallo, puntando sui curdi di Barzani; attraverso loro contano di continuare l’azione di destabilizzazione dell’area, con l’obiettivo di smembrare il Paese.

I curdi, armati, coccolati, consapevoli d’essere l’ultima carta rimasta agli Usa e del consenso raggiunto nelle opinioni pubbliche occidentali grazie al circo mediatico orchestrato da Washington, alzano continuamente le loro pretese. A parte le mire dichiarate su Kirkuk, che ormai considerano annessa al Kurdistan iracheno (con le risorse energetiche che vi sono intorno) e la pulizia etnica operata ai danni delle popolazioni arabe nei territori strappati all’Isis grazie agli aiuti occidentali, meditano di espandersi ancora nelle zone petrolifere intorno a Mosul, e contrattano il loro appoggio alle operazioni militari contro il Daesh.

In vista dell’offensiva finale contro Mosul, il Governo iracheno e quello regionale di Erbil hanno annunciato una commissione militare congiunta per coordinare le operazioni, ma i curdi hanno già dichiarato che all’attacco parteciperanno anche le milizie turcomanne addestrate ed inquadrate dai Turchi a Bashiqa (in territorio iracheno) senza alcuna autorizzazione di Baghdad. Come dire che, dopo tanto sangue e immani sacrifici, all’atto finale che segnerà la fine della tragedia sarà invitata anche Ankara, che di quella tragedia è una dei mandanti.

E d’altronde, la Turchia non fa mistero di avere mire su Mosul e sul petrolio della regione, oltre a reclamare una stabile presenza per mantenere l’attuale controllo sui curdi iracheni.

Non a caso tutti questi attori, che hanno speculato sulle disgrazie dell’Iraq e del suo Popolo, in una cosa sono concordi: tenere lontane ed inattive le forze che prima hanno impedito il disastro, e dopo, malgrado oscurate dalla bugiarda narrazione dei media, hanno permesso con il loro sacrificio la liberazione del Paese, vale a dire le milizie sciite che, adesso, sulla soglia della vittoria, si vorrebbe che tornino nell’ombra adducendo fantasiose motivazioni di vendette e pulizia etnica sui sunniti, trascurando quella vera, e invano documentata, condotta dai curdi sulle popolazioni arabe.

Ma, passato il peggio, è nella stessa Baghdad che il Governo iracheno rischia: il Primo Ministro Al-Abadi è sempre più debole, insidiato dalle manovre di Al-Maliki, l’ex premier che con la sua condotta corrotta, settaria, nepotistica quanto inetta, ha propiziato la spallata che stava per distruggere il Paese.

Con questi presupposti, la battaglia per Mosul ha molti padri pronti ad intestarsi la vittoria, ma in realtà essi remano per il loro interesse; e in ogni caso non sarà una passeggiata; si calcola che trincerati nella città, facendosi scudo della popolazione, ci siano circa 5mila daesh.

Curdi, americani e miliziani turcomanni si muoveranno solo per conseguire i propri obiettivi, facendo il meno possibile; se le milizie sciite verranno tenute lontane dalla battaglia in nome di improbabili accordi politici, lo sforzo per liberare Mosul ricadrà unicamente sull’Esercito iracheno, le cui risorse sono limitate, impegnato com’è a pattugliare i territori da poco riconquistati e la capitale, e la cui tenuta è tutt’altro che ottimale, perché a nessuno, Usa in testa, serviva che fosse un solido strumento.

Come si vede, lo scontro per Mosul non si prepara sotto i migliori auspici, ma c’è una cosa, passata sotto silenzio dai media e temuta dagli attori che sull’Iraq vorrebbero lucrare: sui campi di battaglia e nella dura lotta di liberazione, si è forgiata quella Resistenza irachena fino ad ora frantumata e litigiosa. Quegli uomini, come hanno largamente dimostrato sul campo, comunque vadano le cose, e qualunque siano i maneggi di americani, curdi, turchi o chiunque altro, alla bisogna, saranno in grado di liberare Mosul e scacciare i terroristi dagli ultimi lembi del Paese.

Quando torneranno, piaccia o no a chi manovra per continuare a lucrare dalla guerra, è assai improbabile che permettano che il sacrificio loro e dei tanti martiri sia vanificato.

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