Omicidio Raciti: Speziale “capro espiatorio”?
Le immagini riprese dall’alto di quel piazzale in balìa dei disordini fecero il giro del mondo. Era il 2 febbraio 2007, quando pesanti scontri movimentarono l’attesa del derby di Sicilia tra Catania e Palermo. Fuori dallo stadio Massimino successe di tutto, persino che un ispettore di polizia, Filippo Raciti, perdesse la vita. Lo sconforto e l’indignazione attraversarono l’Italia. I campionati professionistici vennero fermati per un turno, in segno di lutto e per stimolare in seno al mondo del calcio una riflessione (l’ennesima di questo tipo) sul tragico accaduto. In quei giorni, il coro di quanti invocano misure drastiche contro la violenza negli stadi assunse un vigore eccezionale. La certezza della pena nei confronti degli assassini del povero Raciti divenne il ritornello più abusato.
Le indagini sui fatti iniziarono in modo solerte e portarono all’arresto di un indiziato minorenne, il catanese Antonio Speziale. A inchiodarlo, i filmati dei circuiti di sicurezza dello stadio e le intercettazioni ambientali. Nel febbraio 2010, tre anni dopo, il giovane venne condannato a quattordici anni di reclusione, con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Il 21 dicembre 2011, in Appello, la condanna fu confermata e la pena ridotta a otto anni. Nonostante lacune testimoniali e l’assenza di riprese a circuito chiuso del momento fatale, i giudici smontarono la tesi della difesa. Insieme a lui, in un processo separato, due mesi prima era stato condannato con le stesse accuse anche un altro giovane, Daniele Micale.
L’avvocato difensore di Speziale, Giuseppe Lipera, non ha mai accettato il verdetto. Non si stanca di definire quella condanna “un evento scandaloso” e di sostenere che “la morte di Raciti fu causata da un collega”.
Oggi prosegue la sua battaglia d’innocenza in sede legale, assistendo Rosa Lombardo, madre di Antonio Speziale, la quale ha recentemente deciso di denunciare per falsa testimonianza un collega di Raciti. Nell’esposto la donna scrive che questo poliziotto, il cui nome è Salvatore Lazzaro, avrebbe affermato in dibattimento “cose completamente diverse dalle dichiarazioni rese nell’immediatezza della tragedia”. Si afferma poi che, nei giorni successivi alla morte di Raciti, “il teste aveva riferito di aver visto l’ispettore di polizia portarsi le mani alla testa dopo aver sentito un botto mentre andava in retromarcia con il Discovery” di cui era alla guida, aggiungendo che “quanto è stato dichiarato da Lazzaro non è stato da lui confermato in dibattimento davanti al tribunale per i minorenni di Catania, al quale Lazzaro disse di aver notato Raciti lontano dal Discovery di circa 10 metri”.
“Sono convinta, pertanto, anzi sono sicura e certa – scrive Rosa Lombardo – dell’innocenza di mio figlio e sono certa che se Lazzaro avesse raccontato i fatti per come sono accaduti e per come li ebbe a narrare nell’immediatezza, il tribunale sarebbe giunto a una decisione diversa”. La donna chiede inoltre che vengano ascoltate le dichiarazioni di testimoni finora “non tenute in considerazione dai giudici”.
Questa presunta mancanza, del resto, è sempre stata segnalata anche dal legale Lipera. Intervenuto in diretta in una trasmissione radiofonica romana, l’avvocato nel novembre scorso fece riferimento specifico alle dichiarazioni rese, in aula giudiziaria, da alcuni poliziotti e un carabiniere presenti al momento dei fatti (1). Dichiarazioni, appunto, ignorate dai giudici. In ragione di ciò, Lipera asserì che “la versione fornita in seguito è frutto della fantasia di qualcuno creata ad arte”. Infine, rivolse un pensiero per Filippo Raciti: “Rimane un eroe morto per causa di servizio, ma condannare un capro espiatorio non è giusto”.
di Federico Cenci