Cronaca

Omicidio Mollicone, a processo tre carabinieri

Non sono passate nemmeno 48 ore dallo scandalo di Piacenza dove un intera caserma dei carabinieri è stata sotto posta a sequestro e dieci militari dell’arma arrestati, che arriva la notizia di uno dei casi più macabri e misteriosi che ha scosso l’Italia. Il caso Serena Mollicone, la ragazza trovata morta il 3 giugno del 2001 in provincia di Frosinone. Serena scomparve il primo Giugno e venne ritrovata morta due giorni dopo in contrada Fontecupa nel boschetto dell’Anitrella. A rendere tutto più inquietante c’è il fatto che Serena Mollicone fu vista entrare nella caserma dei carabinieri di Arce, da lì si persero le tracce, inghiottita in un buco nero.

Serena Mollicone entra in caserma

Entrare in una caserma dei carabinieri, Serena ne è uscita cadavere con il corpo occultato come nei peggiori film di mafia, perché questo è quello che successe quel giorno all’interno di quella caserma.

Il 24 luglio del 2020, vi è la decisione del Gup dopo anni di indagini. Il Gup di Cassino, Domenico Di Croce, ha infatti disposto il rinvio a giudizio del maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, della moglie Anna Maria, del figlio Marco, del maresciallo Vincenzo Quatrale e dell’appuntato Francesco Suprano. Le famiglie Mottola e Quatrale sono accusate di concorso nell’omicidio. Quatrale, inoltre, è accusato di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi. Infine, Francesco Suprano è accusato di favoreggiamento. Il rinvio a giudizio per i cinque indagati era stato chiesto il 30 luglio 2019 dalla Procura di Cassino. In aula erano presenti Mottola, Quatrale e Suprano. Assenti il figlio del maresciallo Mottola, Marco, e la moglie. La prima udienza è stata fissata per l’11 gennaio del 2021.

Si dichiara tranquillo Franco Mottola, il maresciallo dei Carabinieri che dice di non temere il processo, consapevole delle sue ragioni e di quelle della sua famiglia, ma stando alla decisione del Gup c’è poco da stare sereni anche perché le indagini non si sono mai allontanate dalla caserma di Arce. Indagini che hanno registrato anche un suicidio, quello del brigadiere Santino Tuzi, che si tolse la vita nel 2008 prima di essere interrogato dai magistrati. Stando a quanto stabilito dagli inquirenti, il brigadiere si sarebbe ucciso perché terrorizzato dal dover parlare e confermare quanto aveva riferito precedentemente su quello che era successo all’interno della caserma. Infatti, il brigadiere aveva visto entrare Serena Mollicone nella caserma e non l’aveva vista uscire.

Cosa successe in quella caserma?

Alla luce dei nuovi accertamenti compiuti dai carabinieri di Frosinone, dai loro colleghi del Ris e dai consulenti medico-legali, il pm Maria Beatrice Siravo, facendosi largo in una selva di depistaggi andati avanti per diciannove lunghi anni, si è così convinta che la diciottenne il giorno della sua scomparsa si fosse recata presso la caserma dei carabinieri, che avesse avuto una discussione con Marco Mottola, il figlio dell’allora comandante della locale stazione dell’Arma, e che lì, in un alloggio in disuso di cui avevano disponibilità i Mottola, la giovane fosse stata aggredita. La studentessa avrebbe battuto con violenza la testa contro una porta e, credendola morta, i Mottola l’avrebbero portata nel boschetto. Vedendo in quel momento che respirava ancora, l’avrebbero soffocata e sarebbero iniziati i depistaggi.

Se quanto pensato dal Pm è vero lo stabilirà il processo, quello che si può delineare sino adesso sono le dinamiche malate che contrassegnano l’agire di molti appartenenti all’arma dei carabinieri che non lesinano di depistare, nascondere e omettere, protetti da un sistema malato che gli permette di aggirare la legge come meglio credono, protetti dall’omertà dei vertici superiori. È innegabile che la concezione di difesa dello Stato e dell’onore delle divisa non può essere associato a questa gente che, sulla carta, dovrebbe difendere il cittadino.

di Sebastiano Lo Monaco

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