Cronaca

Omicidio Cucchi: fu pestaggio spietato

L’omicidio Cucchi non smette di rivelare il torbido che ha contraddistinto tutta l’intera faccenda che a distanza di anni si sta ancora discutendo nelle aule di tribunale. Se il primo processo è stato definito “kafkiano” un motivo ci sarà visto il continuo depistaggio messo in atto non solo dall’arma dei carabinieri, ma anche e soprattutto dall’azione meschina e prolungata dell’operato dei vertici di un corpo che, dalla vicenda Cucchi, ne è uscito a pezzi. Cucchi non muore per caso, ma viene pestato nella caserma Appia dei carabinieri e da lì iniziano depistaggi, menzogne e omissioni messe in piedi dall’Arma.

Cucchi muore all’ospedale Pertini

Cucchi muore all’ospedale Pertini di Roma il 22 Ottobre del 2009 a causa delle lesioni prodotte dal pestaggio e dalla condotta omissiva dei sanitari che lo avevano in cura. La caduta dovuta all’azione violenta dei due militari dell’arma ha prodotto la frattura di due vertebre, causa scatenante di tutto quello che accadde in seguito. Cucchi non rivelò mai né agli agenti della polizia penitenziaria né ai sanitari di quanto accaduto nella caserma. Stefano si presenta claudicante dinnanzi al giudice che la mattina dopo l’arresto se lo ritrova davanti con una ecchimosi sull’orbita oculare, senza chiedere nulla sulla natura della ecchimosi.

Carabinieri a processo

I carabinieri a processo nel procedimento bis sono cinque: Alessandro Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Tedesco che devono rispondere di omicidio preterintenzionale con Tedesco che durante il procedimento ha accusato i due commilitoni di aver pestato Stefano Cucchi. Tedesco dovrà rispondere anche di falso nella compilazione del verbale di arresto e di calunnia insieme al maresciallo Mandolini, sarà giudicato anche Vincenzo Nicolardi, accusato di calunnia nei confronti della polizia penitenziaria che fu accusata, ingiustamente, nella prima inchiesta.

“Pestaggio violento e repentino, roba da teppisti da stadio”, queste sono le parole di Musarò che ricostruisce quanto accadde quella notte: “ Cucchi rifiuta il fotosegnalamento, comincia a battibeccare con Di Bernardo che gli dà uno schiaffo, Cucchi barcolla, nel frattempo D’Alessandro gli dà un calcio che lo manda in avanti, Stefano viene spinto all’indietro e il ragazzo cade sbattendo sedere e nuca. In questo istante viene colpito con un calcio in faccia che gli procura una frattura alla base cranica. Immediatamente interviene Francesco Tedesco con quell’esclamazione diventata purtroppo famosa: “Che fate! Non vi permettete!”, Tedesco avverte il maresciallo Mandolini di quanto accaduto ma a nulla servirà.

L’omicidio Cucchi è da addebitare anche al falso verbale d’arresto redatto quella notte. A scrivere il verbale fu proprio Mandolini che da Tedesco era stato messo a corrente di quanto successo al fotosegnalamento. Un verbale redatto in modo cialtronesco visto che i dati erano del tutto erronei: Stefano Cucchi sarebbe nato in Albania il 24 Ottobre del 1975 ed era in Italia senza fissa dimora. Sarà proprio l’applicazione della custodia cautelare in carcere a segnare la vita di Stefano Cucchi visto e considerato che se Cucchi fosse stato messo ai domiciliari il processo in corso non si sarebbe mai svolto.

“Sono stati i carabinieri, si sono divertiti”

Stefano Cucchi venne arrestato che pesava 43 chili, ne peserà 37 quando verrà trovato cadavere nel letto dell’ospedale Pertini per un totale di 6 chili persi in 6 giorni. Il dolore gli impediva di parlare e di mangiare. Quando un detenuto gli chiese se fossero stati quella della penitenziaria, Stefano rispose: “Sono stati i carabinieri, si sono divertiti”.

di Sebastiano Lo Monaco

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