Occidente riconosce la Palestina, ma difende Israele

Occidente – In un momento storico, i Paesi occidentali – Gran Bretagna, Canada, Australia, Portogallo e Francia, insieme a un gruppo di altri Paesi – si sono uniti per riconoscere lo Stato di Palestina. Ma questa “ondata di riconoscimento” non è avvenuta nel vuoto; è nata sotto la pressione dell’opinione pubblica globale e sullo sfondo dei massacri in corso a Gaza e dei progetti di espansione degli insediamenti in Cisgiordania. La domanda centrale è: il riconoscimento internazionale costituisce un cambiamento significativo nella politica dell’Occidente nei confronti della Palestina, o è solo un simbolismo, aggiunto a statistiche che non trovano riscontro nella realtà?
La doppia faccia dell’Occidente: la Palestina è disarmata e Israele è armato fino ai denti
Una delle espressioni più eclatanti di questa duplicità è la posizione del presidente francese Emmanuel Macron. Quando la Francia ha annunciato ufficialmente il riconoscimento dello Stato di Palestina, non ha esitato a chiedere che il nuovo Stato fosse “disarmato”. Allo stesso tempo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha ribadito questo principio, affermando che lo Stato non avrebbe avuto un esercito indipendente.
Ma quale realtà deriva da questa logica? Una Palestina senza armi rimarrà prigioniera di un’equazione forzata: un’autorità senza sovranità, uno Stato senza mezzi di difesa e un territorio esposto all’esercito israeliano dotato di tecnologia avanzata proveniente da Stati Uniti ed Europa. Inoltre, la richiesta di eliminare le armi dalla Palestina ignora il fatto che Israele non è solo una potenza militare convenzionale, ma anche una potenza nucleare priva di supervisione internazionale.
In questo senso, la richiesta di eliminazione delle armi dalla Palestina è una traduzione moderna dell’idea di resa mascherata: uno Stato sotto la protezione dell’occupazione, politicamente e geograficamente assediato e neutralizzato con gli strumenti basilari dell’autodifesa. È un tentativo di privare i palestinesi dello strumento che ha costretto il mondo a riconoscerli e di trasformare la lotta nazionale in una gestione civile limitata nel quadro dell’occupazione.
Usa: il riconoscimento dell’Occidente non cambierà la situazione sul campo
Allo stesso tempo, l’amministrazione statunitense ha sottolineato che il riconoscimento europeo “non cambierà la situazione sul campo”. Questa affermazione riassume la logica coerente di Washington: tutto ciò che non danneggia effettivamente Israele può essere consentito e persino incoraggiato come forma di allentamento della pressione politica. Ma non appena vengono adottate misure concrete – sanzioni o riduzione degli aiuti militari – gli Stati Uniti tornano a svolgere il ruolo di difensore centrale del progetto israeliano.
Si tratta di un doppio gioco: concedere un permesso simbolico per calmare l’opinione pubblica e bloccare qualsiasi passo legale o politico che possa esporre Israele a responsabilità internazionali. Il riconoscimento è ammissibile purché sia privo di “idiomi”.
La solitudine di Israele di fronte alla Resistenza palestinese
Fortunatamente, lo “tsunami politico”, come lo hanno definito i media ebraici, non è nato da una benevola leadership occidentale, ma è piuttosto scaturito direttamente dalla ferma posizione di Gaza per due anni in una guerra di distruzione e dalla denuncia globale della pulizia etnica in Cisgiordania. È la Resistenza – che l’Occidente vorrebbe disarmare – che ha costretto il mondo a confrontarsi con le sue contraddizioni.
Si realizza così un’equazione inaspettata: più Israele aumenta la violenza e più Netanyahu insiste nel prolungare la guerra per ragioni personali e politiche, più la sua immagine si sgretola agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. I media occidentali non possono più nascondere le immagini di bambini affamati o giustificare i massacri nei campi profughi. Da qui, il cambiamento: le introduzioni a puntate riflettono la solitudine di Israele e l’esposizione morale dei Paesi occidentali.
Introduzioni senza sanzioni: valore simbolico e limitazioni realistiche
Ma nonostante ciò, il riconoscimento rimane praticamente privo di significato senza strumenti concreti di pressione. Israele continua a ricevere ininterrottamente aiuti militari americani e la cooperazione in materia di sicurezza ed economica con le capitali europee prosegue. Senza sanzioni – che blocchino le vendite di armi, congelano gli accordi tecnologici o l’isolamento economico – il riconoscimento è più un ipocrita “dono morale” ai palestinesi che un vero strumento di pressione.
Il simbolismo può essere un inizio, ma non ferma una guerra, non toglie un assedio e non ripristina i diritti. A meno che non diventi un percorso politico concreto, Israele continuerà la sua politica, sostenuto dalla protezione americana e dal sostegno occidentale.
La doppiezza come metodo occidentale
Ciò che sta accadendo oggi rivela l’essenza del sistema occidentale: un discorso diplomatico che riconosce la Palestina e azioni concrete che sostengono Israele. Nelle città francesi, ad esempio, l’innalzamento della bandiera palestinese viene impedito per motivi di “neutralità”, mentre allo stesso tempo l’Eliseo dichiara il riconoscimento dello Stato palestinese. Questa duplicità non è una contraddizione passeggera, ma il solito modo di fare occidentale: concedere simbolismo ai palestinesi negando loro strumenti politici e pratici.
Il risultato è uno Stato sospeso tra riconoscimento e negazione, tra simbolo e realtà; uno Stato che non può difendersi, mentre Israele continua ad espandere senza limiti il suo potere militare e i suoi insediamenti.
Dal simbolismo alla pressione: la via palestinese
Tuttavia, il valore del momento presente non può essere sottovalutato. La Resistenza palestinese è riuscita a rompere il tradizionale consenso occidentale, imponendo alle capitali europee misure simboliche prima impossibili. Ma la sfida centrale rimane: come trasformare il simbolismo in pressione reale.
Ciò richiede, in primo luogo, l’unità interna palestinese, che restituirà il riconoscimento internazionale al contesto di una lotta nazionale e non al progetto di uno Stato privo di sovranità. Richiede inoltre di investire nel riconoscimento delle istituzioni giuridiche internazionali – dalla Corte Internazionale di Giustizia alla Corte Penale Internazionale – per promuovere l’assunzione di responsabilità per l’occupazione.
Smascherare l’ipocrisia dell’Occidente
La cosa più importante è smascherare senza timore l’ipocrisia occidentale: come si può pretendere che la Palestina rimanga disarmata mentre Israele è armato fino ai denti? E come si può parlare di “soluzione a due Stati” mentre Washington sostiene progetti di annessione ed espansione?
In conclusione, il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina è un momento politico significativo, ma mostra anche i limiti dell’Occidente ufficiale e la sua doppiezza. Senza strumenti per esercitare una pressione reale, Israele continuerà a essere protetto dagli Stati Uniti e i palestinesi continueranno a vivere sotto lo slogan “uno Stato senza armi”.
Ma ciò che è cambiato è che l’opinione pubblica globale ha iniziato a essere uno strumento più potente delle armi e, allo stesso tempo, l’isolamento di Israele non è più una scena lontana, ma una realtà che sta gradualmente prendendo forma. In questo contesto, la sfida palestinese è trasformare il simbolismo in pressione e l’ipocrisia occidentale in un’arena di denuncia e responsabilità. Solo questa strategia può trasformare il momento del riconoscimento in un punto di partenza per una lotta di liberazione, e non in un’altra pagina nell’archivio diplomatico occidentale.
di Redazione