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Giulio Andreotti, scompare il simbolo del potere democristiano

Giulio Andreotti – Con il suo fisico gracile, le forti e frequenti emicranie ed una salute non sempre benevola, molti medici, quando era ancora al Liceo, non gli davano molte speranze: “Signor Andreotti, lei non avrà una vita molto lunga” oppure ancora, nel primo anno di militare “Signor Giulio, dispiace dirle che lei avrà al massimo sei mesi di vita se tutto va bene”; ridendoci su, qualche anno dopo, Andreotti constatava: “Tutti quei medici sono oggi morti ed io sono ancora vivo; sono più longevo del partito comunista”.

Basta questo per descrivere il personaggio Giulio Andreotti, uno dei pochi “romani de Roma” a frequentare la vita politica della capitale, che proprio dal carattere romanesco ha preso una delle caratteristiche che maggiormente hanno alimentato la sua popolarità, ossia la sagace e spesso cinica ironia; quando infatti gli facevano presente che Indro Montanelli affermava che la differenza tra De Gasperi ed Andreotti è che il primo andava in Chiesa per parlare con Dio, mentre il secondo per parlare con i preti, lui rispondeva: “I preti votano, Dio no”.

Giulio Andreotti, nel bene e nel male, è la storia della Repubblica Italiana, entrando in parlamento già durante i lavori della Costituente ed uscendone soltanto con la sua morte da Senatore a vita in carica, forse l’unico politico italiano che all’estero ha avuto una certa fama, se è vero infatti che molti network internazionali hanno aperto i telegiornali proprio con la notizia della sua scomparsa.

Una delle contraddizioni del Senatore, è stata però quella che, pur rappresentando per lungo tempo il potere in Italia, non è mai riuscito a creare un suo filone di pensiero o di modus operandi politico, visto che oggi non si parla di “andreottismo” allo stesso modo di come invece si parla di “tatcherismo” nel Regno Unito; questa è la dimostrazione di come più che un potere personale, la prima Repubblica si è basata su un potere partitico molto forte, di cui Andreotti, anche se era il personaggio di spicco, ne è stato comunque solo un cinico rappresentante ed un abile tessitore tra le varie correnti della “balena bianca” democristiana.

Non a caso, dietro ogni mistero della Repubblica, c’è lo zampino o l’ombra del “divo”, come è stato soprannominato in un famoso film del 2009; dal caso Mattei, al golpe Borghese, alla P2, dall’omicidio Pecorelli agli scandali finanziari di Guido Calvi e Michele Sindona, ma anche la strage di Ustica, il caso Moro e le presunte collusioni con la mafia, sono davvero tanti i misteri della nostra storia recente, in cui vuoi o non vuoi, il nome di Andreotti torna sempre a galla.

E’ stato, tra le altre cose, Presidente del Consiglio nei 55 giorni che sono intercorsi tra il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, suo amico dai tempi dell’Università; un caso, quello della morte di Moro, ancora tutto da decifrare, in cui molti si interrogano sul fatto se dietro la strategia della fermezza, si celi in realtà qualcosa di più importante, che abbia a che fare in qualche modo con il “compromesso storico” teorizzato dallo stesso Aldo Moro con il Pci, decisamente osteggiato dagli Usa, i cui servizi segreti, com’è emerso da recenti studi, sapevano il luogo del nascondiglio dell’ostaggio di lusso delle Br.

“Quando qualcuno cerca di fare il furbo, io cito loro il contenuto del mio archivio e quando lo faccio chi deve tacere, d’incanto, tace”; è un’altra frase attribuita ad Andreotti: il suo archivio infatti, contiene molte risposte ai tanti misteri citati sopra, ma anche tante informazioni sul ruolo dei poteri forti e della massoneria nella recente storia italiana. Il senatore infatti appuntava la qualsiasi ed in maniera molto meticolosa e ciò fa attualmente pensare a molti che quell’archivio rappresenti una vera e propria “scatola nera” del Paese, che con la morte di Andreotti potrebbe essere finalmente svelata.

I commenti dell’opinione pubblica italiana comunque, subito dopo la scomparsa del sette volte presidente del consiglio, non sono certo benevoli; al di là dei processi per l’omicidio Pecorelli e per favoreggiamento a cosa nostra, ad Andreotti si imputa l’appartenenza ad un sistema di potere basato sul metodo democristiano, fatto di clientelismo, veti incrociati tra le varie anime del partito, ma anche di strategie della tensione e monopolizzazione dell’intero apparato di potere.

Forse, in un momento storico così delicato per il Paese, in cui le tensioni di piazza emergono all’avanzare dirompente della crisi, è anche per questo che i familiari hanno deciso di non fare alcuna camera ardente e dei funerali in forma privata e non di Stato; infatti, l’attuale situazione italiana, viene da molti addebitata se non ad Andreotti in prima persona, quantomeno a quel sistema di potere che continua a tenere sotto scacco l’Italia.

Discussi e discutibili, anche i personaggi che hanno militato nella corrente andreottiana della Dc, da Cirino Pomicino a Ciarrapico, passando anche per quel Salvo Lima ritenuto il filo conduttore tra Andreotti e Cosa Nostra, ucciso poi nel 1992 proprio perché lo stesso senatore non avrebbe mantenuto i patti instaurati con l’allora cupola corleonese.

Supposizioni, misteri ed ipotesi, ma l’unica cosa sicura della vita umana e politica di Andreotti è che nulla sembra essere scontato, fermo e ben inquadrabile ed è l’elemento che ha alimentato  lo stesso “mito” di Andreotti; di certo, ha contribuito a far stabilizzare, come detto prima, un sistema di potere che oggi sta svelando tutte le sue contraddizioni e le sue responsabilità sulla crisi etica e sociale del Paese, ma per il resto Giulio Andreotti appare e scompare dietro ogni angolo della storia, pur non uscendone mai completamente; del resto, un’altra sua frase che la dice lunga sul proprio animo afferma: “Quando leggo i libri gialli, strappo sempre l’ultima pagina; non voglio sapere chi è l’assassino, il racconto deve rimanere sospeso”.

di Redazione

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