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Venti di guerra sulle monarchie del petrolio

Dopo avere esportato instabilità in tutta la regione, favorendo una versione dell’Islam retrograda e radicale, le monarchie assolute del petrolio sono ai ferri corti. La rottura diplomatica tra Doha, l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi e il Bahrain incrina il cuore strategico del Medio Oriente custode del 40% delle riserve petrolifere mondiali. Doha è stata accusata di sostenere i terroristi regionali. Accusa che equivale a quella di ladro tra i quaranta ladroni o all’accusa di imperialismo della Gran Bretagna contro gli Usa.

Un mosaico confuso disegnato da autocrati ambiziosi

E’ possibile che sette alleati degli Stati Uniti dichiarano guerra, al momento diplomatica ed economica, contro il Qatar, che ospita il comando degli Stati Uniti per il Medio Oriente (Centocom), il più grande che ha il Pentagono in tutta la regione, senza l’autorizzazione da parte della Casa Bianca? Non è questa frattura la prima conseguenza della visita anti-iraniana di Donald Trump in Arabia Saudita? Un conflitto armato dell’Arabia Saudita contro il Qatar? Oppure una crisi- trappola per trascinare l’Iran in una guerra regionale? Se la crisi continua ad aumentare al tasso corrente, scopriremo la risposta a questa domanda in un futuro non troppo lontano.

Certo il principe della corona di Stato saudita, nonché ministro della Difesa, Mohamed Bin Salman (Mbs), ha chiaramente i suoi occhi puntati sull’economia saudita e sulla grandeur saudita. L’invasione e la presa in carico del Qatar possono mettere l’Arabia Saudita in posizione di parità con la Russia in termini di abbinamento delle più grandi riserve del mondo sia del petrolio che del gas. Una prospettiva lucrativa per l’ambizioso principe. Ma Trump gli ha dato l’opportunità di marciare con le sue truppe contro il  Qatar?

È vero che Doha ha una storia di perseguire un’ambiziosa politica estera con priorità che spesso si sono scontrate con quelle del suo vicino ad ovest. Tuttavia, è altamente dubbio che la drammatica escalation di questa settimana sia il prodotto del sostegno del Qatar alla Fratellanza Musulmana in Egitto o del finanziamento di gruppi terroristici “cattivi” della regione, a differenza di quelli “buoni” di Riad.

Invece la peggiore crisi che ha colpito il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), fin dalla sua fondazione nel 1981, riguardava disaccordi sull’Iran. Non è un segreto che il Qatar sia stato ingannato dall’abbraccio di Trump alle politiche di Riyad, nonché degli sforzi per dipingere l’Iran come principale fonte di instabilità nella regione.

Detto questo, il Qatar non dovrebbe essere confuso per un alleato iraniano. I motivi di Doha sono in parte economici – l’Iran e il Qatar condividono la proprietà della più grande riserva di gas naturale a livello mondiale, ma il Qatar lavora anche per arricchire il suo portafoglio internazionale, presentandosi come uno Stato indipendente e influente piuttosto che un satellite saudita.

La risposta degli Stati Uniti

La risposta degli Stati Uniti alla crisi è stata abbastanza strana. Se il segretario di Stato degli Stati Uniti, Rex Tillerson, ha sollecitato Riyad perché alleviasse il blocco sul Qatar, avvertendo che stava colpendo la lotta americana contro Daesh, Trump ha affermato che il Qatar è stato “storicamente un finanziatore del terrorismo ad un livello molto alto” e che devono finire  i suoi finanziamenti e la sua ideologia estremista.

Ha pensato Trump che la più grande concentrazione di personale militare statunitense in Medio Oriente sia avvenuta proprio nella base aerea di Al-Udei in Qatar? E che la base sproporzionata a sud-ovest della capitale del Qatar ospita circa 11mila soldati americani. L’impianto strategicamente importante, che può ospitare fino a 120 aeromobili, è anche il quartier generale del Comando Centrale degli Stati Uniti, Air Combined Air Operations Center e Caa e la 379esima Air Expedition Wing. Il Caoc è “il centro nervoso” delle campagne aeree in tutta la regione, supervisionando la potenza aerea militare statunitense in Afghanistan, Siria, Iraq e 18 altre nazioni.

Senza considerare che la sede della Fifth Fleet degli Stati Uniti si trova a meno di 100 chilometri di distanza in Bahrain, un Paese tecnicamente in uno stato di guerra fredda con il Qatar, e che la Turchia, un alleato della Nato, ha le propri truppe in Qatar. Il problema è che i turchi, a differenza dei sauditi e degli americani, non sono interessati a sanzionare Doha, tenendo presente che la Turchia e il Qatar hanno firmato un accordo di difesa nel 2014 che obbliga Ankara ad aiutare la monarchia del Golfo in caso di un attacco; il dispiegamento delle truppe dovrebbe essere visto come un messaggio inequivocabile a tutti coloro che sono coinvolti.

Un’opportunità per l’Iran

Oltre al sostegno di Ankara, Doha può contare anche sull’aiuto di Teheran. Lo spazio aereo iraniano è già diventato il percorso alternativo per il Qatar, mentre qualsiasi carenza a Doha può essere facilmente risolta con le importazioni dall’Iran. Per gli iraniani, questa è un’occasione per infliggere un colpo mortale al Gcc. Un rapporto più forte tra Teheran e Doha metterebbe seriamente in forse tutti i progetti di Washington e Riyadh per affrontare l’Iran attraverso l’uso di monarchie arabe ostili. Inoltre, una più ampia cooperazione con l’Iran potrebbe portare al ritiro del Qatar dal conflitto siriano.
Intanto, secondo quanto riportato da Qna (l’agenzia ufficiale di notizie qatarina) mercoledì 9 giugno il contingente del Qatar impegnato nello Yemen è stato espulso della Coalizione a guida saudita. Erano più di mille i soldati del Qatar impegnati a difesa dei confini tra Arabia Saudita e Yemen.

di Cristina Amoroso

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