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Nel governo Usa è scontro sulla Siria

Il senatore americano John McCain incontra i “ribelli” siriani

di Salvo Ardizzone

Secondo il New York Times, nei giorni scorsi ci sarebbe stato uno scontro in seno all’Amministrazione Usa sulle strategie da adottare nella crisi siriana. È avvenuto alla Casa Bianca, presenti il Segretario di Stato, Kerry, il Capo del Dipartimento della Difesa, Hagel, il Capo di Stato Maggiore, Dempsey e il Presidente Obama.

Kerry è frustrato dallo stallo della situazione in Siria, che blocca di fatto tutto il Medio Oriente; sul campo le cosiddette forze “ribelli” perdono terreno, e fra di esse cresce a dismisura il peso del Fronte Islamico (un’accozzaglia di bande salafite sovvenzionate dai petrodollari del Golfo) e di al Nusra, come pure rimane minacciosa la presenza dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (l’Isil) di matrice qaedista, mentre gli elementi “moderati” come il Free Syrian Army (che di “moderato” ha ormai assai poco) divengono sempre più ininfluenti. In un simile contesto, al Assad può negoziare da posizioni di forza, mentre quelle degli Usa sono deboli e la Russia prende sempre più peso nell’area.

Per uscire dallo stallo Kerry vuole la soluzione militare, e ha proposto un ventaglio di opzioni che vanno da un vero e proprio intervento militare per indebolire le forze lealiste, all’impiego di Forze Speciali, all’incremento massiccio dei programmi già esistenti di addestramento e forniture di armi ai “ribelli”.

Il Pentagono, per bocca di Chuck Hagel, avrebbe espresso una netta contrarietà a un’iniziativa che potrebbe impantanare le truppe Usa in un’altra sciagurata avventura, proprio quando si sta venendo finalmente fuori dall’Afghanistan. Inoltre, una simile azione bloccherebbe la cooperazione di Assad nell’eliminazione delle armi chimiche. Al massimo, per non chiudere tutte le porte, i militari si sono detti disponibili ad aumentare gli aiuti in armi (e in denaro) ai cosiddetti gruppi “moderati”.

Certo, fa sorridere amaro vedere il capo della diplomazia che, incapace di trovare una via negoziale, invoca la soluzione militare e proprio il Pentagono che frena mettendo i paletti a nuove avventure sciagurate. Nel frattempo, il Presidente, presente allo scontro, non si è pronunciato.

Certo, la frustrazione deve pesare anche su di lui, ma se i precedenti hanno un significato, dubitiamo che butti a mare d’un tratto la politica che segue da qualche anno, e soprattutto da quando è stato rieletto: ridurre gli impegni militari degli Usa. Lo ha dimostrato in Iraq e poi con l’Afghanistan, senza timore di liberarsi, anche clamorosamente, dei “falchi” che si opponevano, vedi il brusco siluramento del generale McCrystal.

Forse aumenteranno gli aiuti ai “ribelli”, forse ci sarà qualche atto dimostrativo tanto per mostrare i muscoli e salvar la faccia, ma nulla più: per fortuna di tutti, crediamo che i tempi delle follie di Bush siano tramontati.

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