Myanmar: mandato d’arresto per il monaco anti-Rohingya
Un tribunale in Myanmar ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Wirathu, un famoso monaco buddista i cui sermoni predicatori di odio contro i Rohingya e altre minoranze musulmane hanno alimentato tensioni religiose.
Il monaco, che una volta si definiva soprannominato “birmano bin Laden”, rischia l’ergastolo secondo la legge sulla sedizione del paese, che proibisce di suscitare “odio”, “disprezzo” o “disaffezione” nei confronti del governo. La polizia ha finora rifiutato di dire perché Wirathu è stato accusato, ma il monaco ha recentemente attirato la rabbia degli alti funzionari per una serie di discorsi in cui ha attaccato la leader civile de facto del Myanmar, Aung San Suu Kyi. Wirathu non è ancora stato arrestato e la sua esatta ubicazione è sconosciuta.
Di solito si trova nel suo monastero nella città di Mandalay, ma un giudice ha dichiarato alla polizia di portarlo davanti a un tribunale nella città principale di Yangon entro il 4 giugno, ha riferito l’agenzia di stampa Myanmar Now.
Rohingya, il popolo che nessuno vuole
La comunità Rohingya, costituita da 800mila persone, sono il popolo che nessuno vuole: in Birmania non è riconosciuta tra le etnie del Paese e il Bangladesh – che ospita diverse centinaia di migliaia di rifugiati – non vuole aiutarli e ha ordinato alle organizzazioni umanitarie Medici Senza Frontiere, Action Against Hunger e Muslim Aid Uk di cessare il proprio aiuto ai rifugiati che attraversano il confine per sfuggire alle violenze etniche e religiose. I Rohingya vengono considerati dalla Birmania come degli immigrati irregolari tanto che il regime ha recentemente chiesto l’intervento dell’agenzia dei rifugiati per il loro spostamento in altri Paesi.
In un rapporto presentato da Human Rights Now si legge che le forze di sicurezza birmane avrebbero fatto ben poco per arginare la violenza. «Le forze di sicurezza birmane – ha detto il responsabile asiatico di Hrw, Brad Adams – non sono riuscite a proteggere le popolazioni Rohingya e Rakhine l’una dall’altra, e poi hanno lanciato una campagna di violenza e arresti di massa contro i Rohingya. Il governo del Paese afferma di essere impegnato nel porre fine agli abusi e alle violenze etniche ma, i recenti accadimenti nello stato Arakan, dimostrano che la persecuzione, sponsorizzata dallo Stato, persiste. Tutto questo è accecato da un racconto romantico di cambiamento improvviso della comunità internazionale».
di Giovanni Sorbello