Myanmar. Cresce l’allarme per le persecuzioni contro il popolo Rohingya
Proprio in questi giorni si sta tenendo il 25° vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean) a Naypyidaw, capitale del Myanmar, dove fanno bella mostra di sé in una foto ricordo i leader orientali e Barak Obama in camicia di seta birmana, in una splendida scenografia di fiori e di eleganza.
In concomitanza, sempre nel Myanmar, a Nay Pyi Taw, si svolge il 6° vertice Asean-Onu, considerato che le Nazioni Unite sono pronte a lavorare con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean) e con i suoi Stati membri, a rafforzare la capacità nazionale per proteggere i diritti umani, la giustizia e promuovere la responsabilità nella regione, come ha dichiarato il segretario generale Ban Ki-moon giovedì scorso.
Se in un precedente discorso al 6° Summit Asean delle Nazioni Unite il segretario generale aveva elogiato le misure adottate dal governo birmano per favorire una transizione democratica del Paese, mercoledì il segretario generale Ban Ki-moon nel corso di una conferenza stampa a Naypyidaw ha chiesto maggiori tutele per le minoranze etniche in Birmania: “Ho incoraggiato i leader del Myanmar al rispetto dei diritti umani, a prendere una posizione forte per garantire un accesso umanitario ai Rohingya che vivono in condizioni di vulnerabilità”, aggiungendo poi: “La società civile ha un ruolo cruciale da svolgere in questo sforzo e vi incoraggio a garantire lo spazio e la libertà di tali gruppi e delle organizzazioni che contribuiscono a questi sforzi nazionali”.
All’accresciuto ruolo del Myanmar negli affari regionali e internazionali, riconosciuto da Ban Ki-Moon e dal Presidente Barak Obama, fa da contrappeso la tragica situazione dei Rohingya, e i continui appelli delle organizzazioni dei diritti umani contro gli abusi sul gruppo etnico musulmano.
Più volte l’Onu ha sollevato l’allarme, dichiarando che la storia delle persecuzioni in Myanmar sull’etnia musulmana potrebbe ammontare a “crimini contro l’umanità”, affermazione seguita qualche tempo fa all’evacuazione di centinaia di operatori umanitari internazionali (170) dallo Stato di Rakhine, che ospita quasi tutti i Rohingya musulmani del Paese, decine di migliaia dei quali vivono in campi profughi affollati. L’esodo degli operatori ha aggravato una situazione sanitaria già disastrosa per centinaia di migliaia di persone prive di autonomia, di soccorso medico internazionale, con 140mila di loro chiusi nei campi, e più di 700mila persone vulnerabili in villaggi isolati gravemente colpiti.
Sempre dalle Nazioni Unite è partita l’esortazione alla Thailandia contro la deportazione dei musulmani Rohingya. Mercoledì scorso, un portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha chiesto alle autorità thailandesi di concedere “temporaneo soggiorno, assistenza e protezione in Thailandia fino a soluzioni” per i 259 apolidi Rohingya arrestati l’8 novembre fuggiti dalle persecuzioni. La polizia thailandese ha arrestato 259 Rohingya, tra cui 13 bambini, su una barca in rotta verso la Malesia nei pressi della provincia meridionale di Ranong. Le autorità stanno indagando se i detenuti erano entrati in Thailandia illegalmente o sono stati vittime di tratta. Secondo i gruppi per i diritti umani, più di 10mila musulmani Rohingya sono fuggiti dallo Stato di Rakhine nel Myanmar settentrionale su navi da carico a metà ottobre, con destinazioni principali Thailandia e Malesia.
La Thailandia è stata criticata per respingere le navi cariche di profughi Rohingya che entrano nelle acque thailandesi di nuovo verso il mare aperto e per tenere in detenzione i migranti in strutture sovraffollate. Centinaia di Rohingya sono stati uccisi e più di 140mila sono gli sfollati a causa degli attacchi da parte di estremisti buddisti nel corso degli ultimi due anni.
Intanto è stato rivolto un appello alla comunità internazionale, all’Asean, all’Unione europea, agli Stati Uniti d’America, all’Australia e ai Paesi limitrofi per proteggere i Rohingya in Birmania prima che sia troppo tardi, da parte dell’Organizzazione Nazionale Rohingya che condanna fermamente l’arresto illegale, gli omicidi e le atrocità criminali commessi da parte delle forze di sicurezza di confine di Maungdaw, nel comune di Arakan. Dai primi di ottobre le forze di sicurezza al confine con il Myanmar hanno arrestato più di cento Rohingya in Maungdaw Township. Di essi almeno 60 persone sono state sommariamente giustiziate, mentre il destino degli altri causa una grave preoccupazione.
Il governo Thein Sein sta costringendo i Rohingya ad accettare il bengalese come loro nazionalità in modo da renderli immigrati illegali dal Bangladesh. “Il governo continua l’incitamento alla violenza contro i musulmani ed è stato implicito in tutte le attività di genocidio contro i Rohingya”, ha dichiarato l’Organizzazione Nazionale Rohingya.
I musulmani del Myanmar, circa un milione e 300mila, che si vedono negare la cittadinanza, che vivono in condizioni di apartheid e hanno poco o nessun accesso ai posti di lavoro, scuole o assistenza sanitaria, non solo rappresentano una delle comunità più perseguitate al mondo – fatto confermato dalle Nazioni Unite – ma sono a rischio di estinzione.