Musulmani in India, un genocidio silenzioso
Potrebbe essere in atto un silenzioso genocidio di musulmani in India. Gregory Stanton, fondatore e direttore di Genocide Watch, ha affermato durante un briefing al Congresso degli Stati Uniti che ci sono stati i primi “segni e processi” di genocidio nello stato indiano dell’Assam e nel Kashmir amministrato dall’India.
Stanton ha affermato che il genocidio non è stato un evento ma un processo e ha tracciato parallelismi tra le politiche perseguite dal primo ministro indiano Narendra Modi e le politiche discriminatorie del governo del Myanmar contro i musulmani Rohingya nel 2017.
Tra le politiche che ha citato c’è la revoca dello status autonomo speciale del Kashmir amministrato dall’India nel 2019 – che ha privato il Kashmir della speciale autonomia che aveva da sette decenni – e lo stesso anno il Citizenship Amendment Act, che ha concesso la cittadinanza alle minoranze religiose ad esclusione dei musulmani.
Stanton, ex docente di studi sul genocidio e prevenzione alla George Mason University in Virginia, ha affermato di temere uno scenario simile al Myanmar, dove i Rohingya sono stati prima legalmente dichiarati non cittadini e poi espulsi con la violenza.
Segnali allarmanti
Nel 1989, Stanton disse di aver avvertito l’allora presidente ruandese Juvénal Habyarimana che “se non fai qualcosa per prevenire il genocidio nel tuo Paese, qui ci sarà un genocidio entro cinque anni”. I primi segnali di allarme furono seguiti dal massacro di 800mila tutsi e altri ruandesi nel 1994.
Genocide Watch ha iniziato a parlare del genocidio in India nel 2002, quando tre giorni di violenza tra le comunità nello stato indiano occidentale del Gujarat ha provocato l’uccisione di oltre mille musulmani.
Aakar Patel, un attivista per i diritti umani che vive a Bengaluru, scrittore ed ex capo di Amnesty International in India, ha detto ad Al-Jazeera che i rapporti dovrebbero essere presi “molto sul serio”. “Penso che la storia della violenza civica in India mostri che lo stato fa qualcosa che provoca la violenza contro i musulmani o non fa abbastanza per fermarla”, ha dichiarato Patel.
MM Ansari, ex commissario per l’informazione e educatore con sede a New Delhi, ha definito il rapporto “allarmante”. Altri esperti hanno denunciato i crescenti attacchi contro i musulmani da parte di gruppi suprematisti indù.
A novembre, i sostenitori della linea dura indù hanno dato fuoco alla casa di un ex ministro degli Esteri musulmano, Salman Khurshid, che aveva paragonato il tipo di nazionalismo indù fiorito sotto Modi con “gruppi estremisti” come Daesh.
Propaganda contro musulmani
I video di leader religiosi indù che chiedono uccisioni di massa e l’uso di armi contro i musulmani, diventati virali sui social media, hanno spinto la Corte Suprema a ordinare un’indagine sull’incitamento all’odio nello stato di Uttarakhand.
“Sotto la guida del BJP (Bharatiya Janata Party), l’India è diventata uno dei Paesi più pericolosi per musulmani e cristiani. Sono perseguitati fisicamente, psicologicamente ed economicamente”, ha scritto l’attivista e accademico Apoorvanand in un editoriale per Al-Jazeera. “Sono state approvate leggi per criminalizzare le loro pratiche religiose, abitudini alimentari e persino attività commerciali”.
Syed Zafar Islam, il portavoce del governo al potere del Bharatiya Janata Party, ha respinto il rapporto di Genocide Watch, affermando che “non esistono prove su questi fatti”.
I musulmani costituiscono quasi il 14 per cento della popolazione indiana, mentre gli indù costituiscono quasi l’80 per cento della popolazione. Il BJP di Modi e il suo “genitore ideologico”, l’estrema destra Rashtriya Swayamsevak Sangh, hanno messo in guardia gli indù sulle conversioni religiose all’Islam e al cristianesimo e hanno chiesto un’azione per prevenire uno “squilibrio demografico” nella seconda nazione più popolosa del mondo.
Il BJP di Modi è stato accusato di incoraggiare la persecuzione dei musulmani e di altre minoranze da parte dei nazionalisti indù.
di Redazione