Musica: proposta della Lega per una radio sovranista
L’onda lunga delle polemiche seguite alla vittoria della 69^ edizione del Festival di Sanremo da parte del cantautore italo-egiziano Mahmood, ha finalmente prodotto il suo risultato più grottesco: una proposta di legge da parte della Lega che dovrebbe imporre alle emittenti radiofoniche italiane la programmazione di almeno una canzone italiana su tre.
“Yes I know my way” cantava il napoletano Pino Daniele, uno che alle contaminazioni musicali ci credeva e che su di esse aveva fondato la propria carriera e il proprio successo. Aveva le idee chiare Pino Daniele su quale fosse la strada da percorrere, a dispetto di ipocrisie e compromessi.
E le idee abbastanza chiare sembra averle pure l’esimio Alessandro Morelli presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania. La via da percorrere per lui è quella che si propone di essere un volano di crescita per l’imprenditoria e la creatività musicale prettamente made in Italy. Perché per il Morelli, assieme ai valorosi deputati Maccanti, Capitanio, Cecchetti, Donina, Fogliani, Giacometti, Tombolato e Zordan, tutti firmatari dello storico documento, la vittoria di Mahmood a Sanremo: “Dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica”.
Ricapitolando: la scellerata proposta di legge firmata da questi moderni paladini della cultura musicale italiana, intitolata “disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana”, si pone l’obiettivo senz’altro lungimirante ed ambizioso di porre dei paletti sovranisti alla programmazioni delle radio private italiane.
E sono previste anche sanzioni, in caso di eventuale inosservanza delle disposizioni ivi contenute, che possono consistere nella sospensione dell’attività radiofonica da un minimo di otto ad un massimo di trenta giorni. L’Autorità che dovrebbe disporre le sanzioni e alla quale verrebbe affidata la vigilanza è l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Ambizione ed ignoranza, abbrutimento culturale e disprezzo per tutto ciò che di libero e nobile potrebbe essere veicolato attraverso la musica di ogni latitudine, da sempre latrice di messaggi universalmente riconosciuti, viene, negli intenti di in unico indegno scritto, spazzato via, mortificato e calpestato.
Durante il Ventennio toccò al jazz essere bandito, quale “musica negroide”, oggi si pretende di più: si vuole creare la Radio Italiana, per diffondere nell’etere solo canzoni composte, prodotte e cantate da italiani ed incise in Italia.
L’emittente radiofonica dovrebbe quindi essere in grado di certificare l’italianità della canzone che vuole proporre ai suoi ascoltatori, una sorta di ufficio anagrafe suonante, avamposto della tranquillità dell’elettore medio, che non vuole invasioni, nemmeno ascoltando la radio in macchina, mentre si trova beatamente imbottigliato nei bellissimi ingorghi nelle tangenziali di tutto il Bel Paese. Da “chiudiamo i porti” a “chiudiamo le radio” il passo è stato talmente breve da lasciar sgomenti.
di Massimo Caruso