Mozambico: una difficile rappacificazione grazie alla mediazione italiana
Il 5 settembre scorso, il Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) e la Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana) hanno firmato un accordo di cessate il fuoco grazie alla mediazione congiunta del Governo Italiano e della Comunità di S. Egidio, sollecitata espressamente dal Presidente in carica Guebuza ed accettata dal suo rivale della Renamo Dhlakama.
Quello mozambicano era un conflitto antico; dopo la partenza dei portoghesi, le due formazioni della guerriglia s’erano affrontate in una guerra civile lunga quanto sanguinosa durata dal ’75 fino agli accordi di Roma del ’92, anche quelli siglati grazie alla mediazione italiana. Da allora, però, il Frelimo non lasciò il potere, vincendo tutte le tornate elettorali sia grazie a brogli accertati dalla comunità internazionale, sia al completo controllo della macchina dello Stato e delle sue risorse. La crescente emarginazione della Renamo ne ha provocato un progressivo ridimensionamento, accentuato dalla scissione di una parte di essa che ha dato vita al Mdm (Movimento Democratico Mozambicano).
Vista la situazione, nel 2012 Dhlakama ha accusato il Frelimo d’aver violato gli accordi del ’92 e con l’ala militare del partito s’è ritirato nella foresta di Gorongosa dando nuovamente inizio alla lotta armata. Il Governo s’è reso conto che il riaccendersi del conflitto avrebbe danneggiato irreparabilmente un’economia che ha enormi potenzialità di crescita, ma sconta ancora una grande fragilità e dipende da capitali esteri che sarebbero fuggiti in seguito agli scontri.
Di qui il ricorso al Governo italiano e a Sant’Egidio come mediatori, che hanno saputo ricucire una diffidenza fra le parti che ha radici in decenni di scontri e mancata collaborazione. In realtà il processo di pacificazione e il rientro del confronto negli ambiti democratici conviene a entrambi: alla Renamo, che si vede finalmente riconosciuto spazio ed inclusione nella dinamica politica del Paese; al Governo del Frelimo, che ha visto già erosi i suoi consensi alle passate elezioni municipali di novembre, per non essere stato capace di superare un conflitto inviso a tutta la popolazione e che mina lo sviluppo del Paese.
Il Mozambico è stato definito dal Fmi come una delle economie più dinamiche dell’Africa Subsahariana, con un +7% nel 2013 e un +8,3% previsto per il 2014; tuttavia, malgrado i tentativi e gli slogan del Governo di Guebuza, la ricchezza è mal distribuita con un 54% della popolazione al di sotto della soglia della povertà. Servono capitali per uno sfruttamento delle notevoli risorse naturali che lasci sul territorio una parte delle ricchezze, ed è in questa direzione che vanno molti dei provvedimenti presi ultimamente, che impongono un maggiore coinvolgimento della manodopera e delle imprese locali nelle attività delle aziende straniere.
L’Italia ha un’antica presenza nel Paese, poco conosciuta ai più quanto apprezzata dai mozambicani che la ritengono un punto di riferimento assai più di Stati Uniti o Inghilterra, troppo compromesse in storie di sfruttamento neocolonialista e nell’antico appoggio al Sud Africa dell’apartheid. Anche grazie alla Comunità di S. Egidio, presente da lungo tempo per ragioni umanitarie, sviluppò numerosi contatti, avvicinandosi a un Paese appena uscito dallo sciagurato dominio coloniale portoghese; il primo contratto di cooperazione venne firmato nell’81 segnando l’inizio di quella che è divenuta una partnership strategica che vede impegnate al momento oltre 300 aziende nei comparti più diversi. È questa la ragione principale dell’impegno del Governo per gli accordi di pace, che mettono fine ad ostilità che potevano compromettere i crescenti investimenti italiani.
Come noto, la principale presenza è quella dell’Eni, coinvolta nella scoperta e nello sfruttamento dei giacimenti di gas al largo delle coste mozambicane. Le riserve rinvenute dall’Eni sono le più grandi mai trovate dalla società, calcolate in circa 2650 Mld di metri cubi (per capire, sarebbero sufficienti a coprire le intere esigenze europee per quasi 5 anni); già dal 2006, la società ha ottenuto le licenze su tutto il colossale Blocco Area 4 del Ravuna Basin, preventivando investimenti per 50 Mld di dollari. Per migliorare le possibilità di esportazione verso i ricchi mercati orientali (e fare cassa), ha ceduto il 20% del giacimento alla Cnpc (China National Petroleum Corporation).
Una gestione intelligente di queste enormi risorse, anche con il coinvolgimento di altre società europee, potrebbe spalancare interessanti soluzioni alternative al piano energetico della Ue, al momento pericolosamente sbilanciato verso approvvigionamenti provenienti da aree di crisi, la cui soluzione non è al momento prevedibile.
Per una volta il Sistema Italia si trova al primo posta nella gestione di un’opportunità preziosa; ci piacerebbe sognare che la sapesse cogliere.