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Mosca vince le presidenziali in Bulgaria e Moldova

Il 13 novembre si sono tenute le presidenziali in Bulgaria e Moldova: in entrambi i Paesi la vittoria è andata ai candidati filo russi; per Mosca è stata una doppia vittoria a costo zero.

bulgariaIn Bulgaria, con un’affluenza record, ha vinto il candidato dell’opposizione Rumen Radev, ex comandante dell’Aviazione bulgara appoggiato dai socialisti. Il notevole successo che ha riportato travolgendo il suo rivale, il presidente del Parlamento Tsacheva, è un voto di protesta che ha voluto punire il sistema corrotto di oligarchi che si è radicato con la destra liberale e filo-atlantica. Inutile è stata la sterzata verso Mosca dell’ultima ora ostentata dal premier conservatore Borisov; per la candidatura espressa dal blocco di potere è stata una debacle.

In Bulgaria la Presidenza è una carica rappresentativa, ma la forte personalità di Radev, attento all’interesse nazionale e a riannodare il tradizionale legame con Mosca, può modificare la posizione del Paese soprattutto sull’onda del forte voto popolare. Borisov ha già presentato le dimissioni del Governo che aprono la strada a possibili elezioni anticipate, che potrebbero ribaltare gli attuali assetti di potere.

Alla base della protesta popolare, manifestatasi nel voto compatto per il neopresidente Radev, c’è la diffusa delusione e la protesta per un potere egemonizzato da una casta di oligarchi che ha trovato in una posizione euro-atlantica la condizione ideale per i propri interessi.

A Mosca, che è stata alla finestra ad osservare il suicidio politico d’un gruppo d’affaristi, non rimane che giocare la carta della tradizionale solidarietà slava con la Bulgaria, per inserire un ulteriore cuneo nella già traballante impalcatura della Ue e rompere l’assedio politico ed economico imposto da Washington.

In Moldova, nel ballottaggio per le presidenziali il candidato filo russo Igor Dodon ha battuto l’europeista Maia Sandu; tuttavia, la situazione nella piccola repubblica stretta fra fra Ucraina, Romania e la regione secessionista della Transnistria è assai diversa dalla Bulgaria.

La Moldova è praticamente uno Stato fallito in mano a pochissimi soggetti che lo saccheggiano a piacimento (memorabile la “sparizione” di 1,5 Mld di dollari dalle tre principali banche del Paese avvenuta nel 2014, senza che da allora sia stato fatto nulla per appurare i fatti). L’uomo forte, il vero padrone dello Stato, è il vicepresidente del Partito Democratico Vlad Plahotniuc, di cui Igor Dodon è solo una marionetta usata per fare gli interessi del suo centro di potere.

Gli oligarchi si sono orientati verso Mosca sia per assecondare una vasta parte dell’elettorato esasperato dalle ruberie e dai soprusi che esigeva un cambio di regime, sia per sottrarsi alle richieste di Bruxelles e del Fmi che, dopo aver elargito aiuti per attrarre il Paese nella propria orbita, volevano che fosse istituito almeno un simulacro di controllo sulla spesa pubblica, improponibile per Plahotniuc e i suoi soci, da cui passano tutte le decisioni rilevanti.

Comunque sia, per Mosca anche questa in Moldova è una vittoria sonante a costo zero: non solo allontana il Paese, già associato alla Ue, dallo scivolamento verso la Nato, ma blocca il tentativo della vecchia Amministrazione di far ritirare le truppe russe dalla regione separatista della Transnistria.

Alla luce di quanto detto, le presidenziali in Bulgaria e Moldova sono state un doppio colpo politico che s’è abbattuto su una Ue in crisi e su un’Amministrazione Usa paralizzata e incapace di ribattere.

di Salvo Ardizzone

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