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Luisa Morgantini: “L’ipocrisia internazionale e l’impunità israeliana”

“Ponti di pace” per restituire la dignità al popolo palestinese: è l’auspicio di una donna instancabile, protagonista infaticabile  in difesa dei diritti umani nel mondo. Luisa Morgantini, già vice Presidente del Parlamento europeo, sembra non conoscere limiti quando si tratta di giustizia: affermare la pace è possibile, prima di tutto è però indispensabile ”conoscere la realtà, rompere gli stereotipi”.

luisa-morgantiniLuisa Morgantini è stata eletta parlamentare europea nel 1999 e riconfermata nel 2004, ricevendo oltre 29mila preferenze. Nel 2007 è stata eletta Vicepresidente del Parlamento Europeo con l’incarico delle politiche europee per l’Africa e per i diritti umani, è stata membro della Delegazione per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese. Candidata al Premio Nobel per la Pace, la Morgantini ha risposto autorevolmente alla nostra intervista riguardo l’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”: partiamo da una frase che caratterizzò l’inizio di una vicenda, quella del conflitto israelo-palestinese, destinata a ricoprire un ruolo centrale nei rapporti tra le potenze mondiali fino ai giorni d’oggi. Cosa l’ha spinta ad occuparsi così attivamente del conflitto, portando sempre con se la parola Pace?

Ed invece quella terra è stata  popolata da sempre anche da popoli e credenti di religioni diverse. Quella frase, una mistificazione che tende a cancellare l’esistenza del popolo palestinese, a cancellare la memoria  e la presenza di  chi non è di religione ebraica. Ciò che mi ha spinta ad essere attiva in questo conflitto, è l’amore (non ho paura di essere retorica) per la giustizia e per i diritti di tutti e tutte. Giustizia e diritti calpestati dalla colonizzazione dei territori palestinesi da parte di Israele. L’orrore del massacro di Sabra e Chatila nel 1982 è quello che mi ha mostrato per la prima volta il calvario del popolo palestinese, i milioni di profughi, la distruzione, nel 48, di 493 villaggi palestinesi, l’occupazione delle case palestinesi, la continua demolizione di abitazioni palestinesi per far posto a coloni, il furto delle terre e dell’acqua, la tortura e la prigione, la separazione delle famiglie, la costruzione di un muro di apartheid e di annessione coloniale.

Insomma la profonda ingiustizia e l’ipocrisia della comunità internazionale che sa, conosce le violazioni della legalità internazionale e i crimini commessi da parte Israele, ma continua solo a deplorare e non ad  agire affinché Israele non sia un paese al di sopra della legge, ma diventi un paese che rispetta i diritti degli altri, definisca i suoi confini e cessi l’occupazione militare della Cisgiordania, Gaza e delle alture del Golan.

AssoPace Palestina, un’associazione molto attiva che dal 1988 organizza viaggi in Palestina e Israele “per una pacifica coesistenza tra i due popoli”: quale il più profondo messaggio che tale realtà si propone di dare al mondo?

Che è possibile costruire ponti di pace ad azioni comuni per affermare la pace  e la giustizia. Penso a quei palestinesi e israeliani che lottano insieme per farla finita con l’occupazione militare e la violenza. Persone che hanno saputo decostruire la figura del nemico e rifiutarsi di essere nemici, guardandosi nelle rispettive realtà, riconoscendo l’asimmetria tra l’essere un popolo occupato militarmente (i palestinesi) e un popolo ed uno Stato (gli israeliani), il cui esercito occupa militarmente un altro popolo e la sua terra.

Noi andiamo in Palestina e Israele per conoscere la realtà, rompere gli stereotipi, vedere con i propri occhi che cosa significa essere cacciati dalle proprie terre e dalle proprie case, vedere la quotidianità dell’occupazione militare, incontrare bambini che vengono picchiati ed arrestati dai soldati israeliani. Quando torniamo vogliamo essere messaggeri di verità, raccontare quello che abbiamo visto, continuare le nostre  relazioni, sostenere la resistenza popolare non violenta come quella dei comitati popolari che si sono costituiti a partire dal 2002 subito dopo l’inizio della costruzione del muro di apartheid e di annessione coloniale, condannato dalla corte internazionale dell’Aja nel 2004 ma che Israele ha continuato a costruire sottraendo terra ed acqua ai palestinesi, dividendo le famiglie palestinesi. I palestinesi che incontriamo ci dicono di volere la pace, ma una pace giusta, una pace con libertà, dignità e terra.

È sul “vittimismo” che troppo spesso si giustifica l’influenza politica di un Paese su altri. Possiamo dirlo anche per l’Unione Europea? Come ha reagito questa, soprattutto negli anni in cui lei ha ricoperto una carica importante all’interno, riguardo le violazione delle risoluzioni Onu da parte di Israele?

Non c’è dubbio che la politica israeliana fa uso del vittimismo e dell’Olocausto per agire impunemente nell’oppressione del popolo palestinese. L’ olocausto è stato aberrante così come lo è qualsiasi atteggiamento antisemita. Ma nessuno può usare la persecuzione e le sofferenze subite per soggiogare e cancellare l’identità di altri. Israele è impunita e questa impunità la rende ancora più arrogante.

I governi che si sono succeduti dopo l’assassinio di Rabin da parte di un estremista ebreo, sono diventati sempre più di destra e praticato una politica di continua usurpazione di terre di ampliamento delle colonie. Oggi nel governo israeliano la fanno da padroni ortodossi e coloni. L’Unione Europea continua a deplorare e a condannare, l’ampliamento delle colonie, la condizione dei prigionieri nelle carceri, l’arresto di difensori dei diritti umani, deplorazioni continue, ma non osa fare l’unica cosa credibile e che possa fare pressione su Israele: interrompere le relazioni economiche privilegiate, non vendere o acquistare armi da Israele, che nessun prodotto delle colonie entri in Europa, applicare l’articolo 2 dell’accordo di associazione Italia-Israele che sostiene la sospensione di quell’accordo nel caso in cui il governo contraente non rispettassi i diritti umani. E’ dal 1980 che dichiara di sostenere due popoli e due stati ma ha permesso ad Israele di far si che la terra sulla quale fare lo Stato palestinese sia un territorio devastato da colonie e da strade fatte solo per i coloni, uno Stato che assomiglia ai bantustan sud africani.

Quali vantaggi, di diversa natura, ne ricava la società israeliana dall’occupazione dei territori?

Penso che a parte i vantaggi economici che derivano dallo sfruttamento delle terre palestinesi, dell’acqua, del fatto che l’occupazione militare non è un costo perché, anche qui violando la legalità internazionale che dice che un paese occupante è responsabile del benestare delle popolazione occupata, Israele è riuscito a rifilare il peso economico dell’occupazione sulla comunità internazionale che paga al posto di Israele, i vantaggi sono di un estensione dei territori, di recuperare la terra biblica israelita (a parte che anche in quel periodo vivevano anche altri popoli su quel territorio). Ma penso che invece gli svantaggi siano enormi, Israele è sempre di più una società malata, con profonde divisioni al suo interno: il razzismo verso i palestinesi ha contaminato anche i rapporti tra ebrei ortodossi, secolari, asefarditi, askenazi. Il melting pot dei primi anni dello Stato israeliano si è scomposto, oggi le divisioni sono enormi, e la comunità russa è diventata uno Stato nello Stato, così come i coloni. Chi occupa militarmente un altro popolo e pratica la violenza non può uscirne immune. Per fortuna d’Israele ci sono ancora voci di israeliani come quelle di Nurit Peled, Uri Avnery, Gideon levy, Michel Warshasky, Lea Tsemel e centiniaia e centiniaia di giovani israeliani che partecipano alle lotta insieme ai palestinesi per farla finita con il regime coloniale e di apartheid, o come quelli che rifiutano di prestare servizio militare. Sono la salvezza morale di Israele.

Vittorio Arrigoni, il giovane attivista italiano ucciso anni fa a Gaza, auspicava ad una soluzione binazionale, quindi Stato unico, per una risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Quali invece le sue prospettive, il suo auspicio per una Palestina libera e l’instaurazione della Pace?

Mah, il mio auspicio per tutti i popoli del mondo è che non vi siano frontiere. Certamente sarebbe bello se  le persone che abitano il territorio della Palestina storica (quella prima della partizione dell’Onu del ’47) potessero vivere tutti insieme in uno Stato laico e democratico. Ma forse ci vorranno mille anni per realizzarlo, vale comunque la pena enunciarlo.

Io mi augurerei che Israele cessasse l’occupazione militare dei territori del 1967, che Gerusalemme fosse una capitale condivisa per due popoli e due Stati, che ci fosse il riconoscimento da parte di Israele delle sue responsabilità di fronte ai profughi cacciati nel ’48 e nel ’67, e la possibilità del ritorno, che i coloni se ne andassero, oppure nel caso volessero rimanere dovrebbero essere cittadini palestinesi, così come ci sono più di un milione e 800mila palestinesi, cittadini israeliani (trattati con estreme discriminazioni). Quello che davvero vorrei è che i palestinesi potessero finalmente essere liberi e autodeterminati.

Emma Bonino scrisse anni fa una nota in cui spiegava perché fosse positivo fare “entrare Israele nell’Ue”: che strada pensa possa prendere adesso la politica italiana riguardo i rapporti Israele-Palestina?

Non solo Emma Bonino ma in parecchi hanno sostenuto questo. Io penso invece, visto che Israele esiste nel vicino Medio Oriente o Africa, che debba diventare un Paese normale all’interno di quell’area, che accetti il piano di pace dei paesi arabi proposto già nel 2002, che in cambio della fine dell’occupazione militare dei territori palestinesi occupati nel 1967, prevede la totale disponibilità economica e politica e il riconoscimento di Israele. In realtà i leader israeliani si riconoscono nelle aree del mondo occidentale e per avere il loro aiuto devono continuare con la propaganda dell’essere a rischio di distruzione da parte di tanti paesi nemici che li circondano. Non vedo nella diplomazia e nella politica italiana la possibilità di cambiare atteggiamento e reclamare da Israele il rispetto della legalità internazionale.

E mentre penso che sia indispensabile da parte dei movimenti, associazioni che credono nel rispetto dei diritti per tutte e tutti, continuare a lavorare per far conoscere la realtà e cercare di far cambiare politica ai nostri governi, sono anche consapevole delle nostre debolezze. Ma non abbiamo il diritto di desistere, ce lo insegnano milioni di palestinesi che ogni giorno resistono in modo non violento per non essere cancellati nella loro identità e cacciati dalla loro terra. Hanno il diritto alla libertà, giustizia e dignità.

di Redazione

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