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Monta la crisi in Transnistria, una nuova polveriera pronta ad esplodere

di Salvo Ardizzone

Alla ricerca di un casus belli che costringa la Russia a reagire, facendo esplodere un conflitto dagli esiti imprevedibili, il parlamento ucraino ha annullato cinque trattati di cooperazione militare con Mosca, fra cui quello relativo al passaggio di rifornimenti e personale russo sul territorio ucraino.

Non se ne comprende l’enorme importanza se non si pensa alla Transnistria: una striscia di terra fra Moldova e Ucraina che costituisce uno Stato di fatto (anche se non riconosciuto dall’Onu) retto dal ’92 da un Governo filo-russo. Allora, una guerra sanguinosa con migliaia di morti determinò l’indipendenza delle regioni orientali della Moldova (poco più di 3.500 chilometri quadrati con meno di 600mila abitanti), le più ricche e industrializzate con una forte componente russofona della popolazione.

Da quegli anni, un contingente di peacekeepers russi, transnistriani e moldavi, con alcuni osservatori ucraini, vigila su un fragile status quo, garantito anche dalla presenza dei 1.200/1.300 militari del Gruppo Operativo di Truppe Russe, erede della 14^ Armata di stanza nella regione ai tempi dell’Urss. E qui viene il punto: quei soldati hanno per missione primaria la custodia della riserva di armamenti e munizioni lasciata lì dall’epoca sovietica: 20mila tonnellate di equipaggiamenti conservate a Cobasna, ad appena 2 chilometri dal confine ucraino.

Quel materiale, a tutt’oggi pienamente operativo, è una chiave strategica per il controllo della regione. Adesso, con il blocco della Transnistria messo in atto dal parlamento ucraino, si aprono tre potenziali scenari che, in ogni caso, farebbero saltare l’incerto equilibrio della regione.

Il primo è un ponte aereo che rompa il blocco logistico e garantisca assistenza ai soldati russi ora isolati; la Transnistria non ha sbocchi sul mare e sarebbe l’unico modo per raggiungerla, ma gli aeroporti disponibili sono scarsi e, a parte l’alto costo dell’operazione, sarebbe altamente rischioso perché esporrebbe il via vai di velivoli da trasporto russi alla minaccia del missili S-300 ucraini. Se un “incidente” abbattesse un aereo, la crisi esploderebbe immediata.

Il secondo scenario, tutt’altro che improbabile, è costituito da un’operazione “preventiva” ucraina volta a controllare non solo l’armeria di Cobalsna, ma anche l’intero distretto industriale di Ribnita con il ponte strategico sul Nistru. A Balta, un nodo viario essenziale a soli 20 chilometri dal confine, sono già stati concentrati diversi battaglioni della Guardia Nazionale di Kiev, reparti politicizzati, spesso inquadrati da “consiglieri militari” americani, britannici e canadesi, assai più disponibili dell’Esercito regolare ad assecondare le avventure del Governo ucraino.

Anche in questo caso la reazione del Cremlino sarebbe istantanea, conducendo a quell’escalation voluta da Poroshenko e Yatsenyuk che, contando sull’appoggio Usa, puntano a far detonare la crisi per uscire da una situazione economica e sociale irrisolvibile.

L’ultimo scenario, il più probabile, contempla un isolamento che determinerebbe l’inevitabile strangolamento del Paese. A novembre ci saranno le elezioni e sono già in atto infiltrazioni di agenti provocatori e ultranazionalisti manovrati. Con l’inverno alle porte, un blocco economico e militare e quello delle forniture energetiche (il gas russo può giungere solo attraverso l’Ucraina), per la Transnistria sarebbe il collasso, aprendo la strada alla destabilizzazione dell’area.

Quali che siano gli sviluppi, la crisi è ormai innescata: da Kiev giungono già le dichiarazioni che “esiste una minaccia militare lungo il confine con la Transnistria”, a cui il vice presidente della Duma Serghei Jelezneac ha risposto seccamente annunciando che la Russia reagirebbe se i propri militari venissero minacciati.

Ancora una volta è in atto il meccanismo delle provocazioni attizzate col pieno consenso di una Casa Bianca, che continua a spostare uomini e mezzi nell’Europa dell’Est. Ancora una volta il cinico avventurismo di gruppi di potere pronti a tutto per il proprio interesse, non esita a mettere a repentaglio interi Paesi.

Ancora una volta l’Europa tace, succube e suddita.

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