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Mondo ultras, quando l’appartenenza è “scomoda”

Mondo Ultras – L’identificazione territoriale, la cosa più naturale che ci possa essere e che possa esistere e che, nel corso dei secoli, ha plasmato le civiltà e le culture che hanno contraddistinto l’umanità, viene oggi mostrata al grande pubblico come un concetto “arcaico” o, peggio ancora, da evitare perché impedirebbe l’armonia tra popoli e nazioni. L’unica cosa che però realmente l’identificazione territoriale sembra contrastare, è il progetto di egemonia di una vasta élite, la quale vede nell’attaccamento alla terra natia, una fonte di orgoglio che mal si concilia con l’uomo “neo liberale” voluto dal nuovo ordine mondiale, un uomo cioè del tutto atomizzato, svincolato da valori sociali, facile preda quindi di chi sta al potere.

ultrasIn Italia, attaccata l’identificazione religiosa, distrutta quella nelle istituzioni grazie a palesi mostruosità politiche partorite dalla classe dirigente nostrana, paradossalmente l’unica fonte di attaccamento territoriale, viene data dal calcio ed in particolar modo dagli ultras. Dipinti dai media come faziosi delinquenti che passano la domenica tirando sassi ai poliziotti, il mondo degli ultras è in realtà variegato, complesso, ma anche interessante da scoprire e da capire e va ben oltre il semplice attaccamento alle maglie della squadra della propria città.

Certo, nelle curve degli stadi italiani non mancano provocatori e facinorosi, ma le ultime leggi e le ultime norme sulla sicurezza degli stadi, non sembrano voler colpire loro, bensì il concetto stesso che ruota attorno allo spirito degli ultras: l’attaccamento al territorio ed il senso di comunità che si crea all’interno dei gruppi. Zainetto in spalla, bandiere alla mano, cori volti ad inneggiare al proprio territorio, i ragazzi e le ragazze (sempre di più) che compongono le tifoserie, sono, nel bene e nel male, gli unici che non baratterebbero il rispetto per la propria città con nulla e con nessuno. Lo spirito ultras, pur nelle aspre rivalità che esistono tra città e città, accomuna tutto lo stivale, da nord a sud; tra tifoserie si è arrivati anche a scontri dentro le strutture sportive, ma la passione e lo spirito di appartenenza al territorio, sono tratti in comune che poi esse stesso decidono di affrontare e difendere in comune.

La pressione mediatica contro gli ultras, è divampata dopo quel maledetto 2 febbraio 2007; a Catania, il derby tra la locale formazione ed i rivali storici del Palermo, si era trasformato in guerriglia fuori e dentro lo stadio e gli scontri causarono la morte dell’ispettore di Polizia, Filippo Raciti. La responsabilità della morte di Raciti è stata attribuita all’ultrà catanese Antonino Speziale, senza però che prove certe siano mai emerse durante il processo e senza che la stessa dinamica che ha portato al decesso del poliziotto sia mai stati del tutto chiarita. In quella tragica serata, molti testimoni parlano di un clima surreale già da qualche ora prima dell’inizio del match, così come in tanti affermano di aver visto con nitidezza i Carabinieri sparare, da fuori lo stadio, diversi lacrimogeni verso la curva Nord dell’impianto catanese, circostanza questa che ha portato alla perdita totale del controllo dell’ordine pubblico.

Insomma, in molti credono che quella sera si sono avute delle precise provocazioni, al fine di creare una situazione di guerriglia urbana e da lì in poi poter procedere a drastiche e dure leggi contro gli ultrà, che tuttavia però mai hanno fermato la violenza. E questo, porterebbe a pensare che, come affermato ad inizio articolo, tutto sommato il vero obiettivo è stanare lo spirito degli ultrà, uno dei pochi in Italia rimasti a difesa dell’identificazione territoriale e comunitaria, e non invece isolare i violenti.

Oggi, si arriva a chiudere le curve al minimo sfottò verso la tifoseria ospite: se un torinese prende in giro un napoletano, o viceversa, lo Stato considera tutto ciò “atto di discriminazione territoriale” e decide quindi di negare l’accesso di tutta la tifoseria ultrà dentro gli stadi. Il concetto è semplice: le differenze devono essere limate e nascoste, identificarsi con un territorio ed arrivare a marcare le differenze con un altro, è atto di razzismo. Dunque, da oggi negli stadi non si può urlare la verità, ossia che i romani sono diversi dai milanesi, che i palermitani sono altra cosa rispetto ai veronesi e così via, il messaggio che deve passare è che non dobbiamo essere forti nelle nostre secolari (e positive) differenze, ma tiepidi e “composti” in una scellerata rincorsa al pensiero unico e ad uno scellerato dominio dell’omologazione. Negli stadi italiani ad ogni modo, non esiste alcuna lotta senza quartiere ai veri violenti; l’unica guerra che è stata dichiarata, è quella, certamente non sportiva, contro l’identificazione territoriale.

Di seguito vi proponiamo un video verità sulla morte dell’ispettore Raciti

di Redazione

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