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Migrazione inversa, pericolo per il regime israeliano?

Per i fondatori del regime israeliano e per i suoi successivi leader l’immigrazione diretta in Palestina, considerata e presentata al mondo come terra promessa degli ebrei, ha rappresentato il fondamento per stabilire e sostenere uno Stato sionista in Medio Oriente. Ora che il mondo ebraico è parte delle “nuove diaspore etniche”, l’immigrazione inversa può rappresentare un pericolo per il regime israeliano fino a smantellarlo?

Sono due i termini in Israele che distinguono gli immigrati dagli emigrati, la migrazione diretta dalla migrazione inversa, gli “olim” sono gli immigrati, gli “yordim” le persone che lasciano il Paese. E sulla migrazione diretta il regime sogna una prospettiva per il suo futuro: coloni sempre più numerosi a sfida della disoccupazione e dell’insicurezza, apertura ad investimenti, garanzia di un’istruzione di alta qualità e il massimo del benessere.

A questa strategia non hanno giovato le avventure militari del regime israeliano nei confronti dei Paesi limitrofi, il lancio di diverse guerre contro le Striscia di Gaza e il vicino Libano. Nei giorni di guerra un sondaggio su 300 giovani immigrati ha rivelato che 6 su 10 immigrati nei territori occupati pensavano di ritornare nei Paesi d’origine. Il quotidiano Haaretz, in un rapporto, ha sostenuto che oltre un terzo dei coloni nei Territori occupati pensa ad abbandonare Israele. Inoltre, oltre 750mila israeliani, il 10% della popolazione,  vivono all’estero.

Misure del regime per far fronte alla migrazione diretta ridotta e contrastare quella inversa

Tel Aviv ha bisogno di accelerare l’afflusso degli immigrati, gli olim, in linea con i suoi progetti di insediamenti illegali che continuano ad espandersi. Oltre a sfruttare le crisi di diversi Paesi, preservando il vantaggio comparato della vita in Israele e convincendo gli ebrei a partire per i territori occupati, i funzionari hanno implementato una serie di piani che hanno lo scopo di incentivare gli ebrei in diverse parti del mondo per migrare nella Palestina occupata come una controproposta alla migrazione inversa, diventando una tendenza costante di giorno in giorno. A tal fine, sono stati stanziati cento milioni di Shekels (24 milioni di dollari) per incoraggiare gli ebrei ad immigrare in Israele.

Inoltre, il progetto Masa Israel Journey, lanciato nel 2004 dall’ufficio del primo ministro in associazione con l’Agenzia Ebraica con un budget di 10 milioni di dollari, mira ad assorbire ogni anno 20mila studenti ebrei per l’istruzione, con spese di un semestre pagate dal governo. Inoltre, una politica per incoraggiare i lavoratori stranieri a convertirsi all’ebraismo accanto all’approvazione di leggi più facili per l’assunzione degli immigrati è un altro modo per contrastare la migrazione inversa. Malgrado il fatto che la legge riconosca come ebrei solo persone nate da madri ebree, i funzionari israeliani cercano modi per consentire ai non ebrei di trasformare l’ebreo attraverso l’elusione delle leggi.

La migrazione inversa

Non ci sono statistiche precise sulla migrazione inversa. Secondo le autorità statistiche, i migranti inversi sono quelli che rimangono fuori da Israele per oltre un anno, esclusi gli studenti israeliani che studiano all’estero. Secondo i rapporti, il numero dei migranti inversi fino alla fine del 1993 tocca gli 800,471 ogni anno. Se il numero degli immigrati nei territori occupati è di 2,3 milioni, allora la percentuale di migrazione inversa è del 20%. Questo numero era del 12% alla metà degli anni ’70. Dalla metà degli anni ’70, soprattutto dopo la guerra arabo-israeliana del 1973, il numero di migranti inversi è salito a 11mila tra il 1975 e il 1979 rispetto ai 5.400 tra il 1973 e il 1974. La prima Intifada in Cisgiordania e Gaza ha effettivamente spinto tale immigrazione fuori da Israele. Solo nel primo anno della rivolta, 14.600 ebrei hanno lasciato la Palestina occupata.

Un fattore che porta alla migrazione inversa degli ebrei è la mancanza del senso di attaccamento  da parte di molti cittadini israeliani. Naturalmente, gli ebrei rimangono nel regime israeliano attratti dalle prime promesse di benessere. Quindi qualsiasi evento che causa loro stress finanziario e un soggiorno costoso li esorta ad invertire la migrazione.

La mancanza di radici storiche è un fattore aggiuntivo. Il 90% della popolazione israeliana è entrata in Palestina dopo la costituzione del regime, dato che la tendenza all’immigrazione era al suo apice negli anni ’60 e ’70. La mancanza di radici storiche sovrasta in grande misura la comprensione dei cittadini dell’identità e della nazionalità e provoca una migrazione inversa in occasione di incidenti impegnativi nella sicurezza.

Gli studi dimostrano che gli ebrei russi rappresentano la comunità più grande degli immigrati, ma soffrono di razzismo, reddito basso, standard di vita e non hanno fiducia in un futuro luminoso. La migrazione inversa degli ebrei russi nella loro patria o nei Paesi occidentali interpreta seriamente il grado di efficienza delle strategie di assorbimento degli immigrati da parte dei funzionari del regime israeliano. Molti affermano che la sola azione positiva dell’immigrazione è quella di ricevere la cittadinanza israeliana.

Non è un caso che “yordim” termine ebraico stigmatizzante significa chi “scende” dal luogo “più alto” di Israele alla Diaspora, contrariamente agli immigrati, o “olim”, che “ascendono” dalla diaspora ad Israele. Durante gli anni ’70, il primo ministro Yitzhak Rabin definiva gli emigranti israeliani “i caduti tra i deboli”, altri si riferivano a loro come “lebbrosi morali”.

Ma ora che la Diaspora israeliana, di israeliani e russi-ebrei, si è rivolta verso Paesi europei come l’Ucraina, saranno nuovi olim ad ascendere dalla Diaspora ad un secondo stato di Israele in Europa, ripristinando magari la Khazaria, come nuova terra promessa?

di Cristina Amoroso

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