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Migranti africani rinchiusi nei lager sauditi

Un’indagine del quotidiano britannico Sunday Telegraph ha rivelato l’esistenza di centinaia di migranti africani rinchiusi nelle strutture saudite di detenzione in condizioni terribili. 

L’inchiesta ha rivelato foto scattate dai migranti sui loro telefoni cellulari che mostrano dozzine di uomini emaciati distesi sul pavimento in più file in piccole stanze con finestre sbarrate. 

“È un inferno qui. Siamo trattati come animali e picchiati ogni giorno”, ha dichiarato al Sunday Telegraph, Abebe, un’etiope che è stata trattenuta in uno dei centri per più di quattro mesi. 

Altri migranti hanno dichiarato di essere stati picchiati con cavi elettrici, con le guardie che lanciavano contro di loro abusi razziali. Almeno un adolescente si è tolto la vita impiccandosi, ha riferito il giornale.

Migranti africani sottoposti a condizioni disumanizzanti

“Le foto che emergono dai centri di detenzione nel sud dell’Arabia Saudita mostrano che le autorità stanno sottoponendo i migranti africani a condizioni squallide e disumanizzanti senza alcun riguardo per la loro sicurezza o dignità”, ha dichiarato Adam Coogle, vicedirettore di Human Rights Watch in the Middle East. 

Gli squallidi centri di detenzione nel sud dell’Arabia Saudita sono ben al di sotto degli standard internazionali. Per un Paese ricco come l’Arabia Saudita, non ci sono scuse per trattenere i migranti in condizioni così deplorevoli. 

Il giornale è riuscito a geolocalizzare due dei centri: uno è ad Al-Shumaisi, vicino alla città santa della Mecca, mentre l’altro è a Jizan, una città portuale vicino allo Yemen. Si ritiene che ce ne siano altri che ospitano migliaia di etiopi.

A marzo, il governo dell’Arabia Saudita ha deportato quasi tremila lavoratori migranti etiopi mentre era in corso l’epidemia di coronavirus. Altri 200mila migranti erano previsti per la deportazione, ma invece sono stati radunati in varie città all’interno del regno e sono stati lasciati in condizioni squallide nelle strutture di detenzione. 

di Yahya Sorbello

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