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Messico tra lotta al narcotraffico e diritti umani

Sono passati dieci anni dall’inizio della lotta al narcotraffico in Messico. Anni in cui vivere nel paese è diventato un vero e proprio atto di resistenza ed in cui si sono succedute a ritmi indescrivibili le violazioni dei diritti umani. In questo arco temporale, infatti, si sono contati più di 163mila omicidi e 30mila “desaparecidos”. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani, nel periodo cui si fa riferimento, ha ricevuto 12.408 denunce a carico delle forze dell’ordine messicane per violazioni dei diritti umani di varia natura.

MessicoIl problema delle violazioni dei diritti umani in Messico è strettamente correlato all’utilizzo dell’esercito per ordinarie operazioni di polizia, avviato a seguito dello stato di emergenza dichiarato con l’avvio della “guerra” al narcotraffico. Questo decreto, emanato per porre fine al traffico di stupefacenti, ha aperto la strada a gravi violazioni commesse dalle forze armate nei confronti dei dissenzienti: attivisti per i diritti umani, ambientalisti, difensori delle popolazioni indigene, giornalisti, studenti e manifestanti.

Molte le voci che si sono levate per protestare contro queste violazioni e contro l’immobilismo del governo messicano. Le mancate risposte degli organi pubblici e la loro scarsa volontà di investigare sui crimini commessi dalle forze armate, ha spinto molti attivisti a rivolgersi ad Organizzazioni internazionali. L’Onu, così come altri organismi, ha emesso un gran numero di raccomandazioni rispetto l’utilizzo delle forze armate nelle azioni di polizia.

Il relatore speciale dell’Onu per le esecuzioni extra giudiziarie si espresso così in una nota del 2014: “E’ obbligatorio ridurre la partecipazione dell’esercito nelle attività di pubblica sicurezza (…) e introdurre una normativa chiara sull’uso della forza da parte delle forze dell’ordine”. Nello stesso periodo il Relatore Speciale per la tortura delle Nazioni Unite scrive nell’informativa annuale: “Bisogna esonerare definitivamente i militari dalle operazioni di polizia e limitare il loro utilizzo nelle operazioni speciali”. L’alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, nel 2015 espresse la seguente raccomandazione: “Adottare un cronoprogramma per il ritiro delle forze militari in merito alle funzioni di pubblica sicurezza.

A seguito delle mancate risposte da parte delle autorità, il 16 gennaio l’Onu ha inviato in Messico un suo alto rappresentante, Michel Forst, che ha incontrato i funzionari governativi ed un gruppo di attivisti dei diritti umani. Il commissario si è detto preoccupato dalle tante violazioni di diritti umani e dall’impunità di cui godono le forze armate. Inoltre ha espresso forti perplessità sulla legge di “Sicurezza Interna” al vaglio del Congresso, che potrebbe addirittura aggravare la situazione esistente.

Il decreto, promosso dai tre partiti della coalizione di maggioranza, ha come scopo quello di legalizzare e legittimare la presenza dell’esercito per operazioni di pubblica sicurezza. Molti attivisti hanno segnalato il fatto che questo decreto presenta due tipi di problematiche: la prima, di tipo legale, è che secondo la Costituzione il Congresso non può legiferare in materia di pubblica sicurezza. La seconda, di tipo materiale, è l’oggettivo aumento delle violazioni dei diritti umani avvenuto con l’utilizzo dell’esercito per funzioni di polizia.

Il centro di ricerca sui Diritti Umani Miguel Agustìn Pro ha evidenziato come a fronte dell’enorme numero di proteste ufficiali per violazioni di diritti umani (circa mille per anno nell’ultimo decennio) le autorità hanno emanato un ristrettissimo numero di raccomandazioni ufficiali, 14 in media, e come le inchieste ufficiali avviate nei confronti dei militari presentino spesso gravi incongruenze. Il caso più eclatante in tal senso è quello dell’inchiesta sui 43 studenti dispersi ad Ayotzinapa, su cui ha indagato il New York Times evidenziando gravi violazioni della legge commesse da funzionari pubblici per insabbiare l’indagine.

In definitiva, come espresso da più parti la legge per la “Sicurezza Interna” in discussione nel Congresso non risolverebbe il problema delle violazioni dei diritti umani anzi, legalizzando l’utilizzo dell’esercito per funzioni di polizia si corre il rischio che il numero di casi aumenti, come successo costantemente nell’ultimo decennio.

di Maurizio di Meglio 

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