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Italia. Scuola: condanna della Corte di Giustizia Europea. Ora chi paga?

di Salvo Ardizzone

La Corte di Giustizia Europea ha emesso il 26 una sentenza con cui boccia lo sconcio di uno Stato italiano che condanna centinaia di migliaia di lavoratori al precariato a vita. La portata del provvedimento è nei fatti enorme, e si comprenderà a pieno solo nei prossimi mesi; per adesso coinvolgerà almeno 250mila precari della scuola, fra personale docente e personale Ata, ma, in un prossimo futuro, coinvolgerà certamente il personale della sanità, dove il precariato è assai diffuso, e anche tutti gli altri Enti Pubblici e privati.

Per tracciare in breve la vicenda, già nel ’99 veniva emanata una direttiva europea, recepita in Italia due anni dopo, secondo la quale chiunque fosse stato impiegato per almeno tre anni come precario presso lo stesso Ente pubblico o azienda, dovesse essere stabilizzato. L’Italia è purtroppo incapace di riformare il suo sistema produttivo con riforme serie, che valorizzino la forza lavoro, premino il merito e la produttività, eliminino gli enormi sprechi e le inefficienze su cui troppi ingrassano, così mantiene la sostenibilità del sistema unicamente comprimendo salari e retribuzioni. Mantenere un soggetto nel precariato, oltre a esercitare un continuo ricatto su chi può essere sbattuto fuori su due piedi, abbatte i costi per l’Ente che lo impiega perché non gli vengono riconosciuti scatti, anzianità e così via. È una maniera vigliacca di tenere il lavoratore in soggezione e non riconoscergli ciò che gli è dovuto.

Nel 2011 la direttiva europea venne aggirata con un decreto legge ad hoc, per bloccare i tanti ricorsi che già fioccavano nel mondo della scuola, ma, dopo una lunga battaglia, ora la sentenza della Corte Europea abbatte questa vergogna squisitamente italiana, aprendo prospettive di giustizia a centinaia di migliaia di lavoratori.

Il Governo aveva già compreso l’orientamento della Corte, e aveva provato a disinnescare la mina con l’ipocrita Decreto “La Buona Scuola”, che prevedeva la stabilizzazione di 150mila precari, spacciandolo come un libero atto di giustizia e non come una pezza su una condanna che stava per arrivare; adesso si aprirà una valanga di ricorsi in tutti i settori del pubblico impiego e non solo che avrà costi enormi, nell’ordine di miliardi fra arretrati e risarcimenti, per uno Stato  che sfrutta i deboli e si fa sfruttare dai potenti. È uno Stato squallido, che mentre continua a permettere le più sfacciate ruberie, prova sempre a truffare i propri cittadini anche dei diritti più sacrosanti.

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