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Mediterraneo al centro della nuova “Legge Navale”

Mediterraneo – È partita l’applicazione della “Legge Navale”; il Raggruppamento Temporaneo d’Impresa costituito da Fincantieri e Finmeccanica attraverso la controllata Selex Es, ha ricevuto il via libera per la realizzazione di 6 Ppa (Pattugliatori Polivalenti d’Altura) e una unità di supporto logistico (in gergo tecnico Lss, Logistic Support Ship). Il valore del contratto è pari a circa 3,5 Mld, mentre le consegne avverranno nel 2019 per la Lss e fra il 2021 e il 2025 per i Ppa, di cui in contratto è prevista l’opzione per altre 4 unità.

In realtà, la “Legge Navale” si avvale di un finanziamento complessivo di 5,427 Mld e prevede anche la costruzione di una nave d’assalto anfibio di tipo Lhd (Landing Helicopter Dock), il cui contratto è in fase di definizione. La spesa stanziata comprendeva i costi estremamente onerosi di tre mutui bancari ventennali; in sede parlamentare quei mutui sono stati eliminati liberando somme notevoli che saranno utilizzate per esercitare le opzioni previste sui Ppa e migliorare le dotazioni di tutte le unità. Stando alle indiscrezioni, entro fine anno sarà esercitata l’opzione per la realizzazione di un 7° pattugliatore.

Per capire di che stiamo parlando, le Ppa stazzano 4.500 tonnellate e possono essere attrezzate in vari modi a seconda della missione a cui verranno assegnate; in parole povere, saranno il cavallo da tiro tutto fare della Marina; l’Lss stazza 23mila tonnellate e sostituirà i vecchi rifornitori di squadra grandi un terzo; l’Lhd, una nave d’assalto anfibio con ponte di volo per elicotteri e capacità di comando e controllo di gruppi navali e operazioni anfibie, ne stazzerà 22mila.

Fin qui i contenuti salienti del provvedimento, a cui con tutta probabilità ne seguirà un secondo analogo entro il 2016, ma non se ne può comprendere il significato e la portata se non si considera che esso è figlio di un ribaltamento radicale delle linee guida della politica di sicurezza italiana.

A fine aprile, dopo una lunga gestazione, è stato presentato il Libro Bianco della Difesa; è un documento di indirizzo politico che fissa gli indirizzi e le priorità a cui i vertici militari sono chiamati a dare risposte. In esso, per la prima volta, viene designato come obbiettivo prioritario la tutela degli interessi italiani nell’area mediterranea; ovviamente c’è anche quello della difesa euro-atlantica (leggi gli impegni che derivano dall’appartenenza alla Nato), ma, discostandosi dal passato, in tutta l’impostazione è il Mediterraneo ad avere la netta prevalenza.

Ma c’è di più: nelle direttive impartite alle Forze Armate è previsto che l’Italia debba perseguire i propri interessi in quest’area non solo nell’ambito Nato, ma anche attraverso missioni condotte al di fuori di essa con altri Paesi e di cui dovrebbe essere in grado di prendere il comando e, se le condizioni lo dovessero richiedere, anche da sola, con interventi tecnicamente definiti Regional Full Spectrum, che abbracciano tutti i tipi di operazione, ad alta e bassa intensità.

Una simile dichiarazione, posta nero su bianco nel massimo documento ufficiale della Difesa italiana, rivolto non all’esterno ma ai vertici militari perché impostino su di esso strategie e programmi, è un fatto che stravolge tutti i documenti, linee guida e direttive che fin’ora avevano affermato l’esatto contrario, ponendo l’impegno Nato come unica missione basilare, da condurre sempre e comunque in strettissimo collegamento con essa, al suo interno e sotto le sue esclusive direttive.

Lasciando da parte le considerazioni su quello che è un atto politico a tutti gli effetti, ne consegue comunque che dalle direttive emerse la Marina è chiamata ad un ruolo essenziale, quale che siano le finalità dei compiti che le saranno assegnati. Al momento essa può contare su circa 60 unità significative, ma è una flotta mediamente vecchia, con molte navi al di là della vita utile; ciò comporta che solo due terzi di esse risultano contemporaneamente disponibili mentre le altre sono in manutenzione.

Ai ritmi attuali di radiazioni ed immissione di nuove navi in servizio, entro il 2025 l’Italia disporrebbe di 21 unità in tutto, comprese quelle del programma Fremm (il programma italo-francese per la realizzazione congiunta di fregate); uno strumento navale considerato irrilevante sia dal punto di vista tecnico che per il peso internazionale che avrebbe, e comunque incapace di perseguire obiettivi rilevanti.

Aumentare significativamente gli stanziamenti è escluso, vista la situazione di bilancio, così la Marina da un canto ha ideato unità capaci di avere impieghi differenziati e capaci di sostituire più navi; dall’altro ha redatto un progetto decennale, del costo complessivo di circa 10 Mld, per mettere in linea 30 unità e disporne di una cinquantina nel 2025, insieme alle dotazioni ed agli elicotteri a corredo.

Secondo i documenti di Stato Maggiore Marina, lo strumento navale avrebbe così a disposizione: 1 portaerei, 2 unità d’assalto anfibio, 2 caccia torpediniere, 10 fregate, 16 Pattugliatori, 2 rifornitrici di squadra, 10 cacciamine veloci, 6 sottomarini ed alcune unità di supporto, allo scopo di poter formare gruppi navali per la proiezione di forze nel teatro mediterraneo e naviglio per il controllo dello stesso.

di Salvo Ardizzone

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