Medio Oriente verso una destabilizzazione transnazionale

Medio Oriente – Nel corso della visita di Donald Trump in Arabia Saudita, è stato firmato un accordo economico strategico: Riad si impegna a investire 600 miliardi negli Usa, tra cui 142 solo per armi.
Il valore dell’accordo sulle armi tra Stati Uniti e Arabia Saudita ammonta a 142 miliardi di dollari, una cifra sbalorditiva che equivale all’incirca al bilancio della difesa di Israele per sette anni consecutivi. Non si tratta di una semplice transazione; è un messaggio strategico. Segnala un riarmo del Golfo sotto il patrocinio di Washington, in un momento in cui la regione è sull’orlo del baratro.
Mentre il terrorista al-Julani atterrava a Riyadh per stringere la mano al suo capo, Donald Trump, gli Emirati Arabi Uniti stavano siglando un altro accordo sulle armi. Non si tratta di eventi isolati. Fanno parte di una più ampia campagna di militarizzazione, che prepara i regimi a un riallineamento regionale post-Gaza.
Allo stesso tempo, India e Pakistan, due vicini dotati di armi nucleari, si stanno avvicinando a una guerra dettata o impulsiva, uno scontro che potrebbe scoppiare in qualsiasi momento. Con le tensioni in aumento in Kashmir e l’intensificarsi dello schieramento di truppe da parte di entrambe le parti, la minaccia di un genocidio non è più teorica. È operativamente possibile e, in questo clima geopolitico, moralmente sacrificabile per chi detiene il potere. Stiamo assistendo al lento crollo dell’attuale ordine regionale, le prime scosse di una catastrofe più ampia e orchestrata.
Medio Oriente e il “progetto” Siria
Il “progetto” takfirista esportato dalla Siria non sta morendo, sta mutando. Presto verrà riattivato o trascinato verso est, con l’Iraq prossimo in linea. Segnali provenienti dall’intelligence irachena suggeriscono già che la minaccia è in arrivo, non alle spalle. La quiete post-Mosul è ingannevole; cellule dormienti e finanziamenti esterni stanno aprendo la strada a una seconda fase di caos.
Il Belucistan è di nuovo in ebollizione e il Tehrik-i-Taliban Pakistan non è più solo una minaccia di confine, ma una frattura interna. Il Pakistan si trova ora ad affrontare un’instabilità multidirezionale e la dottrina militare della “profondità strategica” è crollata in un incubo per la sicurezza interna. La credibilità dello Stato in Belucistan e Khyber Pakhtunkhwa si sta erodendo rapidamente e le insurrezioni non sono più scollegate; sono sempre più coinvolte in un gioco più ampio.
Ma nessuna analisi è completa senza i Talebani. Lungi dall’essere un cuscinetto o uno stabilizzatore, sono ora un’incognita: sia una fonte di ricadute regionali che un potenziale canale per nuovi corridoi estremisti che si estendono dall’Asia centrale al subcontinente indiano. Il loro atteggiamento ambiguo nei confronti degli elementi takfiri non fa che gettare benzina sul fuoco.
Quello a cui stiamo assistendo non è un insieme sparso di crisi, ma l’emergere di un’ondata di destabilizzazione transnazionale. Il modello siriano si sta evolvendo, non si esaurisce, e questa volta il suo asse attraversa Iraq, Pakistan e Afghanistan, con il sostegno di potenze che beneficiano di una regione frammentata e sanguinante. Solo il tempo ce lo dirà. Ma i segnali ci sono tutti.
di Redazione