Media e immigrazione nell’era coronavirus
Il coronavirus ha cambiato in modo radicale le nostre abitudini, le nostre vite e soprattutto ha cambiato le parole che vengono usate dai mass media. Di questo si è parlato nel “Rapporto Carta di Roma” dove si è messo in luce come, nell’utilizzo del linguaggio dei mass media, i migranti vengono indicati come veicolo di contagio, basta ricordare il periodo quando con i contagi ridotti al lumicino grazie al lockdown di due mesi, chi arrivava in Italia veniva tacciato di essere untore.
La narrazione del fenomeno migratorio, anch’esso come la vita di molti, è stato travolta dalla pandemia da coronavirus, migrazione che dopo le vicende Salvini è stata meno presente nei media, ma che ha subito una notevole mutazione linguistica nella metodologia con la quale i media italiani hanno raccontato le migrazioni. “Notizie in transito” è il nome del dossier presentato la scorsa settimana, scelto proprio pensando all’anno che sta per chiudersi.
L’analisi di Carta di Roma, insieme all’Osservatorio di Pavia, si è focalizzata oltre che sulle tre reti principali anche su facebook e twitter, lo studio è suddiviso in tre livelli che fotografa la stessa immagine. La riduzione delle notizie relative al fenomeno migratorio con un -34% rispetto al 2019. Il rapporto mette in luce alcune cornici in cui i media inseriscono la narrazione delle migrazioni, identificando come centrale quella relativa ai flussi. Oltre la metà delle notizie si sono focalizzate sugli arrivi, dividendosi tra cronaca e discorso politico e concentrandosi sugli sbarchi. “Sono tralasciati gli arrivi via terra e aria” sottolinea la portavoce dell’Unhcr Carlotta Sami, evidenziando la preoccupante assuefazione della società alle morti in mare.
Lessico e media
Il lessico legato al fenomeno migratorio consta di termini che si legano ad un’immagine di crisi infinita, utilizzando termini quali: “invasione”, “allarme”, “ondata” un lessico che richiama alla mente degli ascoltatori una situazione bellica, una narrazione uguale a quella utilizzata per descrivere la pandemia da coronavirus con termini come: “guerra”, “coprifuoco”, “trincea”.
L’utilizzo di un termine non è mai casuale, perché parafrasando Feuerbach “Siamo quello che parliamo”. Un ruolo in tutto ciò lo gioca la politica che riesce a condizionare la popolazione più con la propaganda che con il reale racconto dei fatti. L’arrivo della pandemia ha incattivito l’aspetto peggiore di questo racconto. Prima c’erano i clandestini, oggi ci sono i clandestini infetti”. Nel 13% dei titoli analizzati i migranti sono indicati come veicolo di contagio, in una narrazione che fa da sponda alla costruzione di una paura resistente nel tempo. Sulla paura si sofferma il direttore di Demos&PI, Ilvo Diamanti, parlando di “bisogno della paura, in particolare guardando al mondo della comunicazione e della politica”.
di Sebastiano Lo Monaco