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Manipolazione e disinformazione contro l’Iran

Iran – L’attentato terroristico del 22 settembre che ha colpito la parata militare nella città iraniana di Ahvaz non è stato presentato dai mass media occidentali come terroristico, dimostrando l’ipocrisia dell’Occidente nell’uso di una scorretta terminologia, che nasconde una politica di destabilizzazione.

Iran-AhvazL’Iran ha subito un nuovo attacco terroristico, questa volta nella città di Ahvaz, nel sud-ovest del Paese, che ha provocato 25 morti e dozzine di feriti e che ha dimostrato l’ipocrisia dell’Occidente quando si tratta di dimostrare la sua condanna, come avviene di solito quando le sue città e i suoi cittadini sono vittime di attacchi terroristici.

Iran e il doppio standard occidentale

I governi europei e le loro società non sono scesi in piazza con i manifesti Je Suis Ahvaz. Non condannano il terrorismo di gruppi sostenuti da Paesi a cui vendono armi e garantiscono l’impunità. Non usano la terminologia corretta quando si tratta di Paesi e società che non fanno parte delle loro alleanze politiche. Mostrano quel doppio standard, quella duplicità che divide il mondo tra gli abitanti della prima e della seconda categoria. Ancora una volta, quell’Occidente guidato da Washington e dai suoi alleati, attraverso l’uso tendenzioso dei loro media, specifica un comportamento in cui la manipolazione, la disinformazione e le bugie fanno parte della loro politica internazionale.

Il flusso di informazioni in gran parte dei media occidentali, ripetuto letteralmente dai  suoi partner nelle monarchie costiere del Golfo Persico, in Israele e persino in nazioni lontane come quelle dell’America Latina, ha ridotto al minimo l’attacco terroristico ad Ahvaz. Un’azione criminale attribuita a una cellula del gruppo Al-Ahvaziya, movimento terroristico sostenuto dalla monarchia saudita, che ha rivendicato la responsabilità delle uccisioni in un’intervista all’agenzia di stampa britannica Reuters. Un attacco criminale che non ha distinto bambini, donne e uomini durante una parata militare che ha commemorato un nuovo anniversario dell’inizio della Sacra Difesa nella Guerra Imposta contro l’Iraq.

Nel complesso, l’analisi di questo atto terroristico ha dimostrato l’imbroglio di coloro che spesso riempiono i loro titoli, editoriali e pagine interne, i loro programmi televisivi, radio, con i più svariati aggettivi quando le vittime si trovano in qualsiasi città europea o quando si verifica in qualche Paese considerato vicino alle potenze occidentali. Allora gli aggettivi si moltiplicano: terrore, massacro, estremismo, costernazione, pazzia. Nessuno sforzo semantico è risparmiato nel descrivere tali attacchi come ciò che sono, atti intenzionali volti a generare destabilizzazione, terrore sociale.

Ma se questi attacchi da parte di gruppi terroristici, creati organizzati e sostenuti dalle stesse potenze occidentali e dai suoi partner, si svolgono in altre città in Siria, Iraq, Palestina, Yemen, Iran, non si parla di terrorismo, ma sono usati eufemismi: Attacchi, Azioni armate, Assalto armato. In questo modo, l’importanza di questi crimini non viene concessa, collocandoli in una categoria inferiore. Per i media occidentali, le vittime del Medio Oriente non hanno lo spessore di quelli uccisi nelle loro città.

La mancanza di solidarietà con i morti di un occidentale fa parte della sua mentalità coloniale che permea le nostre società. Che cosa interessa la morte di alcuni in un sobborgo sciita libanese, oppure la morte di centinaia di cittadini yemeniti o un paio di centinaia di palestinesi uccisi dal marzo 2018 per mano del regime sionista? In che cosa colpiscono il mondo occidentale quelle morti, quelle ferite, quel terrore quotidiano? Che importa, non sono i nostri. La stessa condotta per i morti iraniani.

La manipolazione e la disinformazione sono di per sé atti terroristici, accettarli significa avallare ed essere complici del crimine del terrore, che ha mentito, mente e continuerà a mentire, se non viene denunciato, svergognato, pubblicizzando i crimini dell’imperialismo, del sionismo e del wahhabismo.

di Cristina Amoroso

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