Malcolm X e l’eterna lotta tra oppressori e oppressi
Il 21 febbraio di cinquant’anni fa, veniva ucciso Malcolm X in circostanze mai del tutto chiarite, ma comunque su mandato e per mano di elementi della Nation of Islam, l’organizzazione afroamericana musulmana di cui per anni era stato lo speaker ufficiale prima d’abbandonarla.
La difficoltà d’essere musulmani negli Usa non è recente, era vista come la religione degli schiavi neri; col tempo a questo pregiudizio s’aggiunse il fatto che diversi di loro, nel clima delle lotte per i diritti civili, dinanzi al segregazionismo della società bianca che li discriminava divennero “separazionisti”, promuovevano la costruzione di una nazione nera e musulmana all’interno di quella bianca che li emarginava.
Era una posizione delicata che portò diversi capi della Nation of Islam a disinteressarsi della vita pubblica americana evitando iniziative politiche, almeno fino alla metà degli anni ’90. Unica eccezione fu Malcolm X: il suo carisma, la devozione alla causa dei neri, la condotta immacolata e l’incorruttibilità ne fecero una figura centrale del Black Power. Considerato un terrorista dai bianchi, non uscì mai dal confronto dialettico e dall’elaborazione culturale che lo portò a posizioni politiche assai più avanzate di una semplice rivendicazione su base razziale.
Abbracciò l’Islam perché il Cristianesimo era la religione dei bianchi, che aveva accettato in pieno la schiavitù, e la collegava agli oppressori, contrapponendole l’Islam come religione dei neri. Ma più avanti, nel viaggio che compì in Medio Oriente e in Africa incontrando i principali leader politici delle Nazioni islamiche, vide il nesso stretto fra il colonialismo esercitato nel Terzo Mondo e la discriminazione razziale negli Usa, comprendendo che la lettura non era la contrapposizione fra bianchi e neri, bensì fra oppressori e oppressi.
Pochi mesi prima d’essere ucciso, spiegò che nell’organizzazione che stava costruendo dopo la sua uscita dalla Nation of Islam, troppo limitata per la sua elaborazione intellettuale e troppo legata al semplice elemento razziale, potevano entrare musulmani e non, e stava cominciando a definire una piattaforma comune con altri gruppi integrazionisti (che invece di estraniarsi dalla società americana volevano condurre battaglie politiche al suo interno), sulla base della rivendicazione dei diritti civili e sociali.
Memorabile è uno dei suoi ultimi discorsi in cui superava il pregiudizio verso i bianchi, dicendo che l’Islam gli aveva fatto comprendere che la condanna di tutti i bianchi era sbagliata quanto quella di tutti i neri da parte della società segregazionista. Per lui la lotta si doveva condurre contro le ingiustizie, i privilegi, il sistema oppressivo, a prescindere dal colore della pelle.
Per l’epoca erano posizioni troppo avanzate e per molti versi dirompenti sia all’interno del movimento dei mussulmani neri (di qui la sua eliminazione da parte di elementi “ortodossi” che lo percepivano come un pericolo), che della società bianca dominante, che le vedeva con insofferenza e molteplici sospetti.
Il pregiudizio della società americana nei confronti dei musulmani neri, ha sommato quello razziale a quello di nazionalismo di genere di cui erano portatori; per questo nei vari decenni gli esponenti del conservatorismo Usa hanno usato contro di loro il tema della razza e della diversità, viste come elemento di minaccia al sistema costituito e al suo corretto funzionamento.
È accaduto con Nixon nel ’68, durante la crisi dell’ordine pubblico causata dall’esplosione dei ghetti neri e dalle rivendicazioni sociali del Black Power. È accaduto con Reagan, che addebitò la perdita di competitività dell’economia americana ai troppi afroamericani alle linee di montaggio dell’industria, e non allo stesso Sistema America che li emarginava, negando loro istruzione adeguata e qualificazione professionale. È accaduto ancora con Bush, che legò la sicurezza nazionale alla lotta all’Islam e la lotta all’Islam alla comunità afroamericana, che contava una considerevole percentuale di islamici, accusandola implicitamente di possibile tradimento e connivenza col “nemico”.
Da ultimo, i musulmani neri sono stati accusati più volte di antisemitismo dalla potente lobby sionista americana e dai media ad essa collegati; in una famosa lettera al Wall Street Journal del 1997, Luis Farrakan, leader della Nation of Islam (che aveva finalmente recepito il messaggio di Malcolm X), smontava questa tesi spiegando chiaramente che i musulmani neri non erano affatto contro il giudaismo o gli ebrei in quanto tali, ma condannavano il sionismo e il comportamento aggressivo e imperialista di Israele.
Cinquant’anni fa moriva un uomo che, superata la rabbia contro discriminazioni e soprusi nei confronti della sua gente, aveva compreso che la lotta non riguardava il colore della pelle ma la divisione fra chi opprime e chi è oppresso, al di là di ogni altra bandiera o appartenenza. Una lezione più che mai attuale oggi.